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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica - Libero - La Stampa Rassegna Stampa
05.07.2009 Funzionaro dell'ambasciata britannica a Teheran rischia la pena di morte
Laqueur: 'La politica delle mani tese di Obama ci porterà sull’orlo di una crisi atomica'

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - Libero - La Stampa
Autore: Viviana Mazza - Vanna Vannuccini - Francesco Carella - Alain Elkann
Titolo: «Iran, lavorava per Londra ora rischia la pena di morte - Iran, torture e false confessioni la vendetta di Ahmadinejad - La politica delle mani tese di Obama ci porterà sull’orlo di una crisi atomica -La mia arte sospesa per l'Iran»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/07/2009, a pag. 18, la cronaca di Viviana Mazza dal titolo " Iran, lavorava per Londra ora rischia la pena di morte  ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 12, la cronaca di Vanna Vannuccini dal titolo " Iran, torture e false confessioni la vendetta di Ahmadinejad  ". Da LIBERO, a pag. 23, l'intervista di Francesco Carella a Walter Laqueur dal titolo " La politica delle mani tese di Obama ci porterà sull’orlo di una crisi atomica". Dalla STAMPA, a pag. 31, l'intervista di Alain Elkann a Shirin Neshat, artista iraniana residente a New York dal titolo "La mia arte sospesa per l'Iran  ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Iran, lavorava per Londra ora rischia la pena di morte  "

 Abdolsamad Khorramshahi, avvocato di Hossein Rassam

«Hossein è persona incredi­bilmente calorosa, un rispetta­bile padre di famiglia che ama l’Iran». Hossein Rassam, 44 an­ni, iraniano, è il capo degli ana­listi politici dell’ambasciata bri­tannica a Teheran, accusato dal­le autorità dal suo Paese di aver «agito contro la sicurezza nazionale». Così lo descrive Ka­rim Sadjadpour, studioso ira­niano del Carnegie Endowment for International Peace , molto ascoltato a Washington.
Nella notte di sabato 27 giu­gno, Rassam, il cui lavoro inclu­de tradurre dal farsi all’inglese articoli e informazioni, è stato arrestato insieme ad altri 8 di­pendenti dell’ambasciata, con l’accusa di aver istigato le prote­ste in cui milioni di iraniani hanno chiesto l’annullamento delle «elezioni-truffa». Sette di­pendenti sono stati rilasciati, secondo Londra. Rassam è ad Evin, carcere di Teheran usato per i prigionieri politici. Ed è stato incriminato, ha detto ieri il suo avvocato Abdolsamad Khorramshahi, lo stesso che di­fese Roxana Saberi, giornalista condannata a 8 anni per spio­naggio e poi rilasciata in appel­lo. «Abbiamo preparato i docu­menti
per la difesa - ha detto il legale —. Incontrerò il giudice la prossima settimana». L’incri­minazione contro Rassam (che avrebbe confessato, secondo un ayatollah vicino alla Guida suprema Khamenei) copre di­versi reati previsti dalla legge: dalla propaganda anti-sistema a quelli di spionaggio e di esse­re «mohareb» («nemici di Dio»), quest’ultimo punito con la morte.
Come Rassam, altri iraniani sono stati incriminati per «atti­vità contro la sicurezza nazio­n ale»: il giornalista di
Newsweek Maziar Bahari e una dozzina di politici riformisti tra cui Mohammed Ali Abtahi (ex vice del presidente Khata­mi), che avrebbero confessato (sotto tortura, secondo gli atti­visti) di partecipare a un com­plotto straniero contro l’Iran. Il giornale Kayhan , «voce» di Khamenei, accusa il leader del­l’opposizione Mousavi d’essere un agente degli stranieri e chie­de che lui e Khatami siano pro­cessati — lo vogliono pure 100 parlamentari (uno dei quali di­ce che i manifestanti sono «mohareb» e meritano la mor­te).
«Avendo lavorato all’amba­sciata britannica di Teheran per anni — spiega Sadjadpour — Hossein sa che le autorità lo tenevano d’occhio. E’ stato sempre molto cauto. Non ho dubbi che sia stato incarcerato per motivi politici. Da tre de­cenni il regime iraniano usa co­sì gli ostaggi». Nel 1979 fu l’am­basciata Usa. Oggi quella bri­tannica. Un comandante milita­re, Mir Faisal Bagherzadeh, ha detto che di quest’ultima sarà requisita anche la sede, nel nord di Teheran.
Rassam era cauto, e forse ot­timista. Nel 2004, in un’intervi­sta alla
Reuters a un mese dalle parlamentari, dopo che il Con­siglio dei Guardiani bandì 2.500 candidati, si disse convin­to che quasi tutti sarebbero sta­ti riammessi. Sbagliava. E vin­sero gli ultraconservatori.

La REPUBBLICA - Vanna Vannuccini : " Iran, torture e false confessioni la vendetta di Ahmadinejad  "

 Said Mortazavi,  "il macellaio della stampa". Ti guardi intorno per scegliere la prossima vittima?

Fin dal primo giorno dopo le elezioni sono cominciati gli arresti. Ogni giorno nuovi nomi. Idesaparecidos sono ormai quasi tremila. Accademici, giornalisti, intellettuali: Khamenei è evidentemente deciso a estirpare dalle radici il movimento riformista.Non a caso ha affidato le indagini a Said Mortazavi, chiamato "il macellaio della stampa" dopo che la giornalista canadese Zahra Kazemi morì in prigione in conseguenza delle torture.
Venti giorni dopo l´inizio delle proteste popolari contro il golpe che ha attribuito la vittoria delle elezioni al presidente in carica Mahmud Ahmadinejad negandola al vero vincitore, Mir Hossein Moussavi, l´intero gruppo dirigente riformatore è in prigione. Di notte, gli agenti dei servizi segreti e i picchiatori basij hanno fatto irruzione nelle case di ex deputati, ex ministri, giornalisti, e li hanno arrestati. La televisione di Stato ha accusato «i principali organizzatori delle manifestazioni di protesta di essere in possesso di armi e di esplositivi». Chi ha osato chiedere agli agenti se fossero in possesso di regolare mandato di arresto ha ricevuto subito un assaggio del trattamento che gli sarebbe stato poi riservato in carcere. Si sa di condizioni di detenzione brutali, con i prigionieri obbligati a restare per ore in piedi con le mani legate dietro la schiena, di interrogatori estenuanti, di torture, di waterboarding, tutto allo scopo di estrarre false confessioni.
I metodi sono ben conosciuti fin da quando, all´inizio della presidenza Khatami, la polizia segreta colpì scrittori e intellettuali dissidenti. Ne furono uccisi otto in due mesi. Poi fu la volta degli aderenti al Movimento Nazionale per la Libertà. Ora è arrivato il turno dei riformatori, che non sono mai stati contro il regime islamico e sono stati giovanissimi rivoluzionari ai tempi di Khomeini.
Della maggior parte degli arrestati, il cui elenco completo è pubblicato nel sito di Human Rights Watch, non si sa dove siano. Di alcuni si sa che dal carcere di Evin sono stati trasferiti in un famigerato covo dei servizi segreti nelle vicinanze di Karaj. I primi ad essere arrestati sono stati i dirigenti di Mosharekat, il maggior gruppo riformatore: l´ex ministro dell´Interno Mostafa Tajzadeh, parlamentari come Behzad Nabavi e Mohsen Mirdamadi, portato via insieme alla moglie; l´economista Said Leylaz, l´ex vicepresidente Ali Abtahi, stretto collaboratore di Khatami; Mohammea Ghuchani, caporedattore del giornale di Karroubi. Due giorni fa è stato bloccato all´aeroporto un economista di fama internazionale, Bijan Khajepour, che veniva da Londra e non aveva partecipato alle manifestazioni. Anche di lui non si hanno più notizie.
Gli arresti hanno due obiettivi: da una parte togliere all´opposizione le teste migliori, dall´altra impedire ai media internazionali di parlare con interlocutori conosciuti e autorevoli: è l´ultimo anello di una censura senza precedenti che ha colpito la stampa internazionale fin dall´inizio delle proteste con il pretesto che i media avrebbero complottato insieme ai paesi occidentali per destabilizzare la Repubblica islamica. «Alcuni dei nostri nemici in diverse parti del mondo cercano di presentare come dubbia questa chiara e assoluta vittoria elettorale», aveva detto Khamenei nell´ormai celebre preghiera del Venerdì quando mise tutto il suo peso a sostegno di Ahmadinejad.

LIBERO - Francesco Carella : "La politica delle mani tese di Obama ci porterà sull’orlo di una crisi atomica  "

 Walter Laqueur, i suoi libri sono nella nuova rubrica '' libri raccomandati''

«L’Iran avrà la bomba atomica e Barack Obama non muoverà un dito». Parola di Walter Laqueur, analista di punta dell’International Research Council di Washington, nonché autore di autorevoli studi su Islam, terrorismo e Medio Oriente. Dice il professore: «L’atomica targata Teheran innescherà nell’area mediorientale una corsa folle verso il nucleare. Lo scenario, in una regione già scossa da un’altissima tensione politica, rischia di diventare apocalittico». Walter Laqueur in questi giorni si trova in Inghilterra e segue dal suo studio londinese sia le notizie che arrivano dalla Corea del Nord- che provoca gli Stati Uniti lanciando 7 missili - sia l’evoluzione della crisi iraniana. «La provocazione coreana- spiega Laqueur- risulterà poca cosa rispetto al pericolo che il mondo correrà, quando l’Iran di Ahmadinejad avrà nel proprio arsenale le armi nucleari. I coreani non hanno alcuna possibilità, né economica né militare, per andare oltre gesti dimostrativi come quello di queste ultime ore, mentre l’atomica nelle mani dei mullah toglierà il sonno all’intero Occidente». Intanto, l’Unione europea risponde alla decisione di Teheran di processare i funzionari arrestati nell’Ambasciata britannica, con la convocazione dei propri ambasciatori. «Se all’Ue togliamo la retorica, non rimane più nulla. L’Unione non ha una politica estera comune e, anche se l’avesse, continuerebbe a non contare alcunché a causa della sua inesistenza militare». Converrà che la stessa cosa non si può dire dell’Amministrazione statunitense, mentre Israele possiede già i piani di un’azione militare autonoma contro l’Iran. «È assai probabile che Israele possa agire militarmente e in piena autonomia. I tempi, naturalmente, sono top secret. Viceversa, penso che l’opzione militare targata Usa sia letteralmente scomparsa dall’agenda della Casa Bianca. Temo che l’Amministrazione americana abbia già deciso di accettare il nucleare iraniano come un dato di fatto. Dopo le aperture di Barack Obama, fra Iran e Usa si aprirà un dialogo, ma con scarsi risultati pratici». La sento pessimista. Perché ?«L’Iran ha bisogno di un nemico potente per mobilitare le masse islamiche e giustificare la dittatura in casa propria. Gli Stati Uniti sono il miglior bersaglio per la propaganda di quel regime. Un accordo con chi incarna il nemico assoluto non rientra nei piani dei mullah. La cosa piuttosto singolare è che gli americani facciano finta di non capire».In altri termini, lei ritiene che non vi sia un’alternativa alla guerra. «La guerra in Medio Oriente potrebbe essere evitata solo se gli Usa e la NATO concedessero serie garanzie a tutti i Paesi eventualmente attaccati dall’Iran di potere contare sull’immediato aiuto americano. Ma né Obama né la Nato prenderanno impegni di questa natura. L’establishment israeliano ne è consapevole e si prepara di conseguenza».L’atomica iraniana non sarà pronta prima di cinque-otto anni. Vi è ancora tempo sufficiente per trovare una soluzione attraverso la via diplomatica.«In attesa dell’operato della diplomazia, non mi meraviglierei se scoprissimo l’esistenza di forme di cooperazione fra Paesi ad alto tasso di aggressività- come l’Iran - e le organizzazioni terroristiche jihadiste. La “civiltà nucleare” è in grado di produrre armi di sterminio di massa alla portata anche di piccole organizzazioni terroristiche. Basterebbero pochi kamikaze, per fare precipitare l’umanità nell’abisso».

La STAMPA - Alain Elkann : " La mia arte sospesa per l'Iran "

 Shirin Neshat

Shirin Neshat, lei è ormai una famosa artista internazionale vive a New York. Ma perché ha lasciato l’Iran nel 1974?
«Originariamente lasciai l’Iran come facevano molti giovani per andare all’Università. Poi, dopo la Rivoluzione, tornai varie volte finché la mia famiglia ritenne che non si dovesse più tornare. Così sono rimasta 12 anni negli Stati Uniti senza mai tornare».
E ha trovato il Paese molto cambiato dopo dodici anni?
«Sì, un cambiamento enorme sia dal punto di vista esteriore dell’aspetto della gente e dei luoghi, sia dal punto di vista della vita privata delle persone. Un vero choc».
Ma perché ha deciso dopo di restare definitivamente negli Stati Uniti?
«Perché ero sposata e avevo un figlio, e perché a un certo momento ho avuto dei problemi con il governo».
Ma ora ritorna?
«No, dal 1996 non sono tornata per questioni di sicurezza e soprattutto la mia famiglia mi ha chiesto di non tornare».
Ma la sua famiglia vive lì?
«Sì, sono tutti lì. Parliamo al telefono e ci incontriamo altrove. Loro non possono venire negli Stati Uniti e io non posso andare in Iran. L’altro anno per esempio ci siamo visti a Roma. Sono venuti sedici membri della mia famiglia e io mi sono data molto da fare attraverso degli amici italiani e l’Ambasciata d’Italia a Teheran per ottenere il visto. Siamo stati dieci giorni quasi tutti in un solo appartamento».
Cosa pensa di quanto accade oggi in Iran?
«E’ un momento molto profondo, forse più importante della rivoluzione islamica. Le immagini che vediamo sono molto forti e noi sappiamo che il 75% della popolazione ha meno di trent’anni. La gente che un tempo voleva la rivoluzione islamica adesso è una generazione che ha vissuto tra la dittatura per trent’anni e dice basta. Non sono interessati all’ideologia come i loro genitori».
Non è un po’ rischioso, come poteva essere la primavera di Praga?
«Ogni giorno è vitale. Lo seguiamo da molto vicino, l’opposizione è grande, ma c’è sempre un grande rischio. Ci sono molte speranze di far saltare il regime ma loro usano ogni mezzo per fermare l’opposizione. Ma non potranno uccidere milioni di persone. Potranno portare i loro carri armati, potranno arrestare le persone ma non bisogna fermarsi, bisogna combattere».
Adesso che la stampa non ha diritto di accesso cosa succede?
«Si sa tutto lo stesso grazie ai video, a Facebook, ai telefonini: continuiamo a vedere immagini che sono di una brutalità davvero spaventosa. Gli iraniani dentro e fuori al Paese chiedono alla comunità internazionale di dichiarare illegittimo il governo. Bisogna appoggiare l’opposizione, chi si batte per difendere i diritti umani».
Lei lavora ancora come artista?
«Da settimane lavoriamo solo come iraniani all’estero per aiutare la gente».
E le Nazioni Unite?
«Andiamo ogni giorno a dimostrare qui a New York, chiediamo anche a Obama e ai membri del Congresso di far smettere quanto sta accadendo. L’elezione è stata una frode, e questo è provato. Non significa che vogliamo un intervento militare: gli iraniani possono fare da soli, però hanno bisogno del sostegno della comunità internazionale e questo lo ripeto e non mi stanco di ripeterlo».
E il suo lavoro?
«Ho fatto un film, “Women without Men”, che è una sorta di fiction che si svolge nel 1953 in Iran, quando a Teheran succedevano avvenimenti simili a quelli di oggi. Nel film si vede come la storia si ripete. Questo film verrà proiettato in Europa, io mi auguro molto che venga ospitato da diversi festival cinematografici».
Ma lavora ancora con i suoi video e le fotografie?
«Ho lavorato a dei video in Laos e in Vietnam. Ho fatto un video e anche una serie di fotografie che verranno esposte in una galleria in Belgio e quindi in settembre a Parigi, solo che negli ultimi dieci giorni, come le ho detto, ho smesso tutto per occuparmi soltanto del mio Paese».
Ma quanto durerà secondo lei la Rivoluzione in Iran?
«Non si può dire. Siamo in mezzo: quelli che si stanno ribellando hanno molto potere e il governo anche ha molto potere».
Ma cosa dicono gli altri musulmani nel mondo?
«In Egitto e in Marocco stanno dalla parte del governo perché sono contro Israele e gli Stati Uniti. In Turchia, dove invece i musulmani sono più secolarizzati, appoggiano la democrazia contro questa dittatura che ci opprime da trent’anni».
E’ preoccupata per i suoi genitori?
«Sì, non possono più chiamare al telefono e mi preoccupo per loro e anche per le mie sorelle, il resto della mia famiglia e anche per i miei amici che sono in prigione. Cercherò di fare qualunque cosa per non interrompere le comunicazioni».

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