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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.07.2009 Londra propone il ritiro di tutti i diploma­tici europei dall'Iran
Ma alcuni dipendenti iraniani dell’ambasciata britan­nica a Teheran saranno proces­sati

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Mir Hossein Moussavi - Paolo Lepri - Viviana Mazza
Titolo: «La brutalità non fermerà la protesta - La vecchia Europa e la sindrome del poliziotto buono con l'Iran - L’Iran processa i dipendenti dell’ambasciata britannica - Pochi credono alla propaganda»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/07/2009, a pag. 1-17, l'articolo di Mir Hossein Moussavi dal titolo " La brutalità non fermerà la protesta ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 8, l'analisi di Paolo Lepri dal titolo " La vecchia Europa e la sindrome del poliziotto buono con l'Iran ",a pag. 15, la cronaca di Viviana Mazza dal titolo " L’Iran processa i dipendenti dell’ambasciata britannica " e la sua intervista a Mohammad Rasoulof, regista iraniano, dal titolo " Pochi credono alla propaganda ". Ecco gli articoli:

La STAMPA - Mir Hossein Moussavi : "La brutalità non fermerà la protesta "

Quella che doveva essere la festa della rinascita del popolo si è trasformata in qualcosa di orribile, hanno tradito le tradizioni islamiche e rivoluzionarie. Con l’assalto ai dormitori universitari, con il sangue versato degli studenti, con i giovani bastonati e offesi, con una televisione di Stato screditata, i giornali imbavagliati.
Ci siamo svegliati con un clima da colpo di Stato, con un popolo sfiduciato nei confronti delle elezioni e del governo. Chiunque stia dietro a questi fatti presto dovrà fare i conti con una dura realtà. Saranno in grado di pagare questo conto salato?
Avremo un governo in pessimi rapporti con la nazione che si troverà in condizioni molto difficili. La maggioranza della società, della quale faccio parte anche io, non accetterà mai la legittimità di un governo che essendo privo del sostegno della gente e privo di etica, non potrà essere che un governo senza direzione, senza progetto, senza legalità e senza una coerente politica economica. Il pericolo incombe. Un sistema che per 30 anni si è retto grazie alla fiducia della gente, non può sostituire in una notte questa fiducia con le forze di sicurezza. Questa fiducia in questi giorni si è incrinata. Se non fosse vero che questa fiducia è venuta meno, perché non autorizzare le manifestazioni e i raduni per dimostrare il contrario?
Dobbiamo fare un passo indietro. Non è ancora tardi. Possiamo ancora riconquistare la fiducia incrinata. Bisogna farlo per garantire la sopravvivenza del sistema. Liberate i figli della rivoluzione rinchiusi nelle carceri. La gente come può avere fiducia in un sistema che arresta i suoi figli, amici e colleghi per una semplice protesta? Imporre un clima poliziesco alla società non fa che incrinare il rapporto tra la gente e il sistema. La stampa libera è il polmone attraverso cui respira una società libera. E per non incrinare di più il rapporto di fiducia con la nazione, non soffocate ulteriormente i polmoni di un popolo.
Torniamo all’Islam. All’Islam vero, quello di Maometto che fino al giorno del Giudizio riuscirà sempre a trovare risposte nuove ed originali per i nuovi problemi dell’umanità. Torniamo a quell’Islam che ci invita all’onestà e alla correttezza.
Torniamo alla ragione. Un Paese con la grandezza dell’Iran, con i grandi ideali della sua Rivoluzione Islamica, e con nemici forti e vendicativi, non può gettare via 30 anni di esperienza per essere governato dalle decisioni frettolose di singoli individui.
Torniamo alla legalità, alla Costituzione che rappresenta un patto sacro con il popolo. Rispettiamo le leggi che noi stessi abbiamo approvato, altrimenti tutto crollerà.
Ma la fiducia si conquista non nascondendo nulla alla gente e dimostrando chiarezza. Che fiducia può esserci in un Paese dove anche le notizie più banali vengono nascoste all’opinione pubblica? Torniamo alla gente. Perché ricorrere sempre a mezzi polizieschi? Tutto questo non è né rivoluzionario e ancor meno un comportamento islamico. L’Islam predica a braccia aperte pronte ad accogliere tutti. Ci siamo messi alle spalle in pochi mesi una distanza che sembrava lunga e non percorribile. Abbiamo percorso insieme questo cammino, per ripulire l’aria dalle incertezze e dalla menzogna, dalle differenze sociali, dalle diversità generazionali e dalle incomprensioni familiari. Volevamo lasciarci alle spalle i segni della disperazione crescente e ridurre le distanze che aumentavano tra il popolo e il sistema. Abbiamo cercato di trasformare le elezioni in un nuovo patto nazionale, un clima di riconciliazione, un’atmosfera di gioia, iuno spazio dove i candidati potevano discutere con il sorriso sulla labbra delle loro idee per il futuro della nazione.
Siamo partiti insieme per opporci alle intrusioni nella vita privata delle persone, per impedire a chiunque di seminare l’odio e il sospetto. Eravamo insieme per costruire il governo dell’amore e della ragione. Guardavamo tutti all’Islam e alla nostra civiltà millenaria come fonte d’ispirazione. Nelle moschee echeggiava il grido dell’Iran, e dai tetti delle case si alzava il nome di Allah. Nessuno considerava l’Iran qualcosa estraneo alla rivoluzione o all’Islam. L’Iran, l’Islam e la rivoluzione erano diventati qualcosa di diverso dall’integralismo, dal fanatismo e dall’occidentalismo.
Tutti i tentativi che oggi compiono sono per demoralizzarvi e costringervi a rinunciare alle vostre proteste legali. Fin quando la nostra morale sarà un’altra, questi governanti non si sentiranno realmente legittimi. Sperare nel futuro è la nostra forza. E’ una nostra responsabilità storica continuare la nostra protesta e non smettere di rivendicare i nostri diritti. E’ una nostra responsabilità non permettere che il sangue versato da centinaia di migliaia di martiri alimenti un governo poliziesco.

CORRIERE della SERA - Paolo Lepri : " La vecchia Europa e la sindrome del poliziotto buono con l'Iran "

Il poliziotto cattivo non esiste più, da quando George Bush ha ceduto il posto a Barack Obama, ma nonostante questo tutti o quasi tutti, nell’Unione europea vogliono fare il po­liziotto buono con l’Iran. Due settima­ne fa i capi di Stato e di governo dei Ventisette si sono riuniti a Bruxelles mentre il regime degli ayatollah comin­ciava a stringere la sua morsa repressi­va contro la «rivoluzione verde» divam­pata dopo i brogli elettorali di Mah­moud Ahmadinejad.
In quella occasione furono prodotte sedici righe in tutto, «allegato 8 alle conclusioni della presidenza». Uno dei passaggi centrali di quello storico testo afferma: «Esortiamo le autorità di Tehe­ran ad assicurare che sia garantito a tut­ti gli iraniani il diritto di riunirsi e di esprimersi pacificamente». Sembra di sognare. Nei giorni successivi è accadu­to di tutto a Teheran. Prima le violenze di Stato, terribili. Poi il bavaglio alle proteste e il blocco delle manifestazio­ni. Quindi le ritorsioni, gli arresti, le rappresaglie, le confessioni estorte, i processi sommari. Uno degli ultimi episodi è stato l’arre­sto di alcuni dipendenti dell’ambascia­ta britannica accusati di aver «fomenta­to le proteste». La reazione dell’Unione europea a questa mossa, che coinvolge direttamente un Paese membro, si è fat­ta attendere stancamente per tutta la settimana. Il balletto — andato in sce­na tra Stoccolma (capitale della nuova, ennesima presidenza di turno) e Bruxel­les — si è finalmente concluso ieri non con il richiamo degli ambasciatori da Teheran, come si prevedeva in un pri­mo tempo, ma con la decisione di con­vocare i rappresentanti diplomatici del regime iraniano.
In ordine sparso, come al solito. Qualcuno lo ha già fatto ieri. Altri si ade­gueranno presto. Ma c’è anche chi mo­strerà di non avere nessuna fretta. Sem­bra quasi una gara per essere il poliziot­to buono più buono. Intanto Ahmadi­nejad minaccia di rivedere le relazioni economiche e commerciali con «gli Sta­ti sponsor del terrorismo». Una frase detta in una lingua conosciuta da mol­ti.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " L’Iran processa i dipendenti dell’ambasciata britannica "

 Ayatollah Ahmad Jannati, capo del Consiglio dei Guardiani

La preghiera del venerdì a Teheran torna ad essere la ram­pa di lancio per un attacco alla Gran Bretagna, già definita il 19 giugno dalla Guida suprema Ali Khamenei il «più malvagio dei nostri nemici». Ieri una nuo­va minaccia: alcuni dipendenti iraniani dell’ambasciata britan­nica a Teheran saranno proces­sati. L’Unione Europea rispon­de con un «approccio gradua­le », convocando per ora gli am­basciatori iraniani.
Nove impiegati dell’amba­sciata britannica erano stati ar­restati domenica con l’accusa di avere istigato le proteste do­po le presidenziali del 12 giu­gno. Secondo i media di Stato, sono stati rilasciati tutti tranne uno; Londra dice due. Ad an­nunciare l’«inevitabile» proces­so è stato l’ayatollah Ahmad Jannati, capo del Consiglio dei Guardiani, lo stesso organo che ha confermato la vittoria del presidente Mahmoud Ahmadi­nejad, dopo un riconteggio par­ziale dei voti.
«Dopo le elezioni il nemico non poteva tollerare la gioia del­la gente e ha tentato di avvele­nare il popolo. Avevano proget­tato la rivoluzione di velluto pri­ma del voto», ha detto Jannati. «Naturalmente saranno proces­sati, hanno confessato». Non ha precisato a quante persone si riferisse.
Londra, i cui ambasciatori so­no stati espulsi da Teheran, è «molto preoccupata». Ha pro­posto il ritiro di tutti i diploma­tici europei da Teheran. Ieri a Bruxelles i 27 membri dell’Ue hanno deciso invece di convo­care gli ambasciatori iraniani per lanciare «un messaggio for­te di protesta». «Esigiamo la li­berazione immediata degli im­piegati locali — ha avvertito la Svezia, neopresidente dell’Ue —. Altrimenti, l’Ue prenderà nuove misure». Insieme alla li­mitazione dei visti di ingresso a funzionari iraniani, il ritiro de­gli ambasciatori «resta sul tavo­lo »: se ne discuterà al G8 al­l’Aquila, dicono fonti diplomati­che, «ma l’accordo è per un ap­proccio graduale». Soprattutto Germania e Italia vogliono evi­tare lo scontro duro. E non vo­gliono mettere a repentaglio il dialogo sul nucleare iraniano. «Non esistono prove certe che l’Iran voglia dotarsi di un’arma nucleare, almeno nei documen­ti in possesso dell’Agenzia Inter­nazionale per l’Energia Atomi­ca », ha detto intanto ieri Yuki­ya Amano, nuovo capo del­l’agenzia Onu. Da Teheran, Ah­madinejad ha fatto sapere che sospenderà i rapporti commer­ciali con i «paesi sponsor del terrorismo».
La sfida lanciata ai «nemici stranieri» è un modo per con­trollare
i nemici interni, dice al Corriere il direttore degli Studi iraniani a Stanford, Abbas Mila­ni. «Il regime ha due obiettivi. Come consiglia Shakespeare, di­strae il popolo con guerre stra­niere: consapevole della rabbia della gente per la truffa elettora­le, cerca di creare una crisi inter­nazionale per distrarli... e intan­to rafforza l’assurda accusa che i milioni di iraniani scesi in stra­da siano 'marionette' degli stra­nieri ». Jannati ha invitato i ma­nifestanti a «pentirsi e chiedere perdono a Dio». Sono previste oggi a Teheran 29 esecuzioni: ne dà notizia l’avvocato Mohammad Mostafaei, rilascia­to dopo 5 giorni di carcere a Evin (è uscito su cauzione «più determinato di prima a difende­re i diritti umani»). Tra i con­dannati potrebbero esserci di­versi manifestanti, avverte l’or­ganizzazione «Iran Human Ri­ghts ». Le accuse sono: traffico di droga, ma anche disturbo dell’ordine e «mohareb» («guer­ra contro Dio»). «Mohareb» è l’accusa che alla preghiera dello scorso venerdì un altro ayatol­lah aveva rivolto ai manifestan­ti. Ma il leader dell’opposizione Mir Hussein Mousavi e i blog­ger non cedono: oggi le «madri in lutto» protesteranno al par­co Laleh, e poi palloncini e il 6 luglio sciopero generale.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Pochi credono alla propaganda "

 Mohammad Rasoulof

La tv di Stato iraniana trasmette le «confessioni» di cittadini che hanno ma­nifestato nelle strade e si dichiarano ter­roristi. Accusa gli stranieri di complotto. Ha mandato in onda il riconteggio dei vo­ti, definendolo legittimo. Quanti iraniani ci credono?
«La maggior parte della gente non ha fi­ducia nella tv, perché dice l’opposto di ciò che accade nella vita. I loro parenti e vicini vengono arrestati e picchiati, e intanto la tv mostra qualcosa di simile a un film di Charlie Chaplin».
Il regista iraniano Mohammad Rasoulof è arrivato a Roma da Teheran per presenta­re il suo documentario
Head Wind al Festi­val «Senza Frontiere». Sociologo di forma­zione, nel film mostra come gli iraniani, nelle grandi città come nel deserto, siano assetati di conoscenza al punto di sfidare la legge per dotarsi di parabole satellitari e al­tri mezzi per comunicare col mondo. Ra­soulof ha partecipato alle proteste a Tehe­ran.
Il regime spende milioni per censurare la Bbc e la accusa di complottare contro l’Iran. Ha una tale influenza sulla gente?
«La gente ha votato un presidente ma dai voti ne è uscito un altro, e si domanda: dove sono finiti i voti? Non bisogna vedere la Bbc o Voice of America per capirlo: la gente lo vive».
Le proteste continueranno?

«Può darsi che il movimento sparisca fi­sicamente dalle strade, ma non vuol dire che nel cuore del popolo sia finita. Anche quella scarsa fiducia che c’era nei confronti del governo è sparita. In questi giorni c’è stata un’unità tra intellettuali e popolo: è una cosa nuova, con un effetto radicale».
Ha visto violenze nelle strade?
«Tantissimi feriti. La scena più dolorosa cui ho assistito... il giorno dopo il voto, i sostenitori di Ahmadinejad festeggiavano in piazza Vali Asr: hanno picchiato la gente comune ai margini della piazza con i basto­ni in cui era avvolta la bandiera iraniana».

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