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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.07.2009 Afghanistan: i talebani usano bambini per gli attentati suicidi
Cronache di Guido Olimpio, Marco Nese

Testata:Corriere della Sera
Autore: Marco Nese - Guido Olimpio
Titolo: «Attentato fallito agli italiani 'Battaglia infernale' per gli Usa - E i talebani comprano bimbi-kamikaze»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/07/2009, a pag. 14, la cronaca di Marco Nese dal titolo " Attentato fallito agli italiani «Battaglia infernale» per gli Usa  " e, a pag. 15, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " E i talebani comprano bimbi-kamikaze ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Marco Nese : " Attentato fallito agli italiani «Battaglia infernale» per gli Usa  "

Avanzano lungo un fronte di 90 chilometri. Sono i 4 mila ma­rines mandati a prendere il con­trollo della fascia meridionale della valle del fiume Helmand. Stanno ingaggiando scontri mi­cidiali coi talebani. Sono «impe­gnati in una battaglia inferna­le », dice l’uomo che li guida, il generale Larry Nicholson.
Dopo i primi due giorni, l’operazione Khanjar (in afgha­no, «Colpo di Spada») ha per­messo agli americani di penetra­re nel regno dei coltivatori di oppio. Combattono in un’area chiamata Garmsir. «Dovranno affrontare — afferma il genera­le Nicholson — sfide molto du­re ». Si muovono senza copertu­ra aerea. Per evitare il rischio di colpire i civili con il lancio di bombe e raffiche di artiglieria dall’alto. L’avanzata avviene in un clima rovente, con un caldo che raggiunge i 44 gradi. In alcu­ni casi, piccoli gruppi di taleba­ni reagiscono con azioni di guer­riglia, tipo mordi e fuggi. Molti però sono finiti circondati e cat­turati. Le truppe americane, af­fiancate da 650 soldati afghani, sono entrate in due centri abita­ti, Nawa e Garmsir, a ovest di Kandahar, e hanno negoziato l’ingresso in quello di Khan Ne­shin. Dopo averne scacciato i ta­lebani, cercano di conquistare la fiducia dei civili. Non a caso il Dipartimento di Stato ha invia­to al seguito dei marines due funzionari con il compito di in­tavolare colloqui coi capi locali. «Il nostro scopo principale — spiega il capitano Bill Pelle­tier — è stabilire un rapporto con la gente. Consideriamo fon­damentale parlare coi leader, ca­pire di cosa hanno bisogno, qua­li sono le loro priorità, e chiari­re che la nostra missione è pro­teggere la gente più che uccide­re i nemici». Sono le linee guida della nuova strategia decisa da Barack Obama e messa in atto dal suo uomo forte inviato in Af­ghanistan, il generale Stanley McChrystal.
Gli ordini della Casa Bianca mirano a strappare ai talebani la valle dell’Helmand, dove le coltivazioni di oppio sono così vaste che permettono di ricava­re il 90 per cento dell’eroina con­sumata nel mondo. Mettere gli stivali militari su questo territo­rio significa sottrarre ai talebani la loro più cospicua fonte di gua­dagno, i dollari provenienti dal traffico di droga. I marines si in­stalleranno nella zona. «Una del­le preoccupazioni della gente — racconta il capitano Pelletier — è che noi ce ne andiamo e i talebani ritornano. Stiamo cer­cando di far capire che siamo ve­nuti per restare e garantire la si­curezza ». Per questo Washin­gton ha deciso di inviare altri 21 mila uomini in Afghanistan, dove entro la fine dell’anno sa­ranno attivi 68 mila soldati ame­ricani.
Con compiti diversi rispetto ai marines, nella valle dell’Hel­mand sono in azione anche 800 militari britannici. Hanno occu­pato tredici ponti sul fiume Hel­mand per impedire ai talebani di passare da una parte all’altra.
I britannici hanno perso in com­battimento un ufficiale, il tenen­te colonnello Rupert Thorneloe. La Russia, inoltre, ha accettato il passaggio attraverso il suo ter­ritorio di truppe e armi destina­te all’Afghanistan.
In vista delle elezioni del 20 agosto tutti i militari sono mobi­­litati. Anche gli italiani. Ieri 600 parà della Folgore hanno con­dotto un’operazione contro un
gruppo di insorti nella valle di Musahi, dalle parti di Kabul. Nell’ovest invece gli uomini del­la Folgore hanno subito un nuo­vo attacco. Un attentatore suici­da si è lanciato contro un carro Lince a bordo di un’auto. «Due militari — riferisce il ministro della Difesa Ignazio La Russa— sono stati leggermente feriti in un attacco suicida a 20 chilome­tri da Farah. Uno ha riportato un taglietto alla bocca e l’altro una ferita a un orecchio». Il mi­nistro ha confermato che per ga­rantire lo svolgimento delle ele­zioni saranno inviati in Afghani­stan altri 500 soldati.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " E i talebani comprano bimbi-kamikaze "

WASHINGTON — La falange della morte è sempre più giovane. La compongono bambini e adole­scenti, trasformati dai loro recluta­tori in kamikaze. I talebani ne han­no così bisogno che sono pronti a comprarli in base ad un tariffario che cambia a seconda dell’urgen­za e della distanza dall’obiettivo. Se i terroristi hanno fretta di com­piere un attacco possono pagarlo anche 14 mila dollari, se invece hanno tempo la cifra si riduce del­la metà.
I reclutatori di Beitullah Meh­sud, il leader dei talebani pachista­ni, vanno di villaggio in villaggio e fanno l’offerta a poveri padri di famiglia che cedono i loro figli in cambio di quella che per loro è una fortuna. Molti sono convinti che i ragazzi andranno in una scuola coranica gestita dagli isla­misti e ignorano quello che acca­drà in seguito. Altri sanno che i bimbi diventeranno dei mi­ni- guerrieri. Infatti, i militanti con­ducono i ragazzini in centri dove impartiscono poche nozioni mili­tari ma si dedicano soprattutto al­l’indottrinamento.
Il ricorso ai baby-kamikaze ha un duplice vantaggio per gli estre­misti che si battono contro la coali­zione. Il primo è operativo. I mino­ri o gli adolescenti — come le don­ne — suscitano meno sospetti.
Il secondo è propagandistico. Prima di partire per la missione, i bambini registrano video di salu­to che sono poi venduti nei bazar. Messaggi che raccontano della «mutazione». Da innocenti a ro­bot pronti ad uccidere.
«Qualche ipocrita sostiene che lo facciamo per soldi o perché ci hanno manipolato. No, è Allah che ci ha ordinato di fare questo ai pagani», sono le parole pronuncia­te
da Arshad Alì, 15 anni, poco pri­ma di diventare «shahid», marti­re. Una promessa di martirio inci­sa su un cd insieme a quella di un altro aspirante kamikaze, ancora più giovane: «Se muoio, non pian­gete per me. Sarò in Paradiso ad aspettarvi».
Gli attentatori suicidi rappresen­tano un’arma sia tattica che strate­gica. I talebani li usano come for­ma di pressione e per reagire alle offensive. Infatti ne hanno biso­gno in numero elevato. Nei centri urbani impiegano l’attacco «a scia­me », con un gruppo di kamikaze che piomba sull’obiettivo da dire­zioni diverse. Di solito, gli attenta­tori sono preceduti da mujahedin armati che devono eliminare senti­nelle o rimuovere ostacoli.
Nelle aree di campagna, invece, i militanti preferiscono il kamika­ze individuale. Studiano il passag­gio delle pattuglie alleate, control­lano i check point, verificano con l’aiuto di spie il modus operandi delle truppe straniere. Quindi desi­gnano l’uomo o il ragazzo a cui af­fidare l’ordigno. Per farlo esplode­re è sufficiente premere su una sorta di spinotto. In alcuni casi è un telefonino ad attivare l’inne­sco.
Un bimbo di appena 11 anni, catturato dalla polizia afghana, ha raccontato che i suoi accompagna­tori gli avevano consegnato una strana giacca «che lo avrebbe tenu­to caldo». Era in realtà un gi­let- bomba che probabilmente sa­rebbe stato fatto detonare a distan­za. Chi li arruola non ha certo scru­poli. Come ha raccontato un lea­der talebano «questi sono ragazzi che hanno fretta di incontrare Dio».

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