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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - L'Opinione - La Repubblica - La Stampa Rassegna Stampa
02.07.2009 Iran : impiccati sei sostenitori di Moussavi
Cronache e analisi di Vincenzo Trione, Paolo Salom, Dimitri Buffa, Andrea Bonanni. Intervista a Shirin Ebadi di Alessandra Farkas

Testata:Corriere della Sera - L'Opinione - La Repubblica - La Stampa
Autore: Vincenzo Trione - Paolo Salom - Alessandra Farkas - Dimitri Buffa - Andrea Bonanni
Titolo: «Il 'quadrilatero della censura' che usa software occidentali - Il Nobel Ebadi: 'Il mio popolo non è mai stato tanto unito' -Quella verosimile manipolazione contro l'arroganza di Ahmadinejad - Impiccati sei sostenitori di Mousavi - Schiaffo degli ayatoll»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/07/2009, a pag. 23, l'articolo di Paolo Salom dal titolo " Il «quadrilatero della censura» che usa software occidentali " e l'intervista di Alessandra Farkas e Shirin Ebadi dal titolo " Il Nobel Ebadi: «Il mio popolo non è mai stato tanto unito» " e, a pag. 12, il commento di Vincenzo Trione dal titolo " Quella verosimile manipolazione contro l'arroganza di Ahmadinejad ". Dall'OPINIONE, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Impiccati sei sostenitori di Mousavi  ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 18, l'articolo di Andrea Bonanni dal titolo " Schiaffo degli ayatollah all´Europa 'Basta trattare, tramate contro di noi'  ". Dalla STAMPA, a pag. 38, la lettera Ufficio Stampa dell'ambasciata della repubblica islamica dell'Iran di Roma a Maurizio Molinari con la sua risposta dal titolo " E’ solido il sistema bancario dell’Iran  ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Vincenzo Trione : " Quella verosimile manipolazione contro l'arroganza di Ahmadinejad "

I fatti, innanzitutto. Da qual­che giorno, su Twitter, gira un’immagine di incerta provenienza. La memoria va all’oramai mitico frame con lo studente in piazza Tienanmen, che sfida l’avanzata di un carro armato: la forza delle utopie contro il vuoto del potere. Dinanzi a noi, un fotogramma dal profondo valore simbolico: una pa­gina del nostro presente.
Una donna con il velo nero, che in­dossa una maglietta verde sui jeans: estremo Oriente ed estremo Occidente in­sieme. È sola, a piedi. Ha il braccio destro in alto e il pugno chiuso. Di fronte, imponente, il muso di un Suv, dal cui tetto emerge — ieratico — Mahmud Ah­madinejad. Dietro, le guar­die del corpo.
Colpisce il gioco dei ge­sti: di disperata provocazione, quello della donna; mistico, quello del presi­dente iraniano. Quasi un involontario omaggio alla gestualità che si ritrova in tanti affreschi del Rinascimento. Un’istantanea che potrebbe essere letta ritornando alle riflessioni di Susan Son­tag in «Davanti al dolore degli altri», dove si sottolinea il valore testimoniale della fotografia, intesa come linguag­gio capace di documentare i passaggi più atroci della storia dell’umanità, riu­scendo a condizionare idee, credenze.
Uno scatto vero o falso? Certamente da poter acquisire e divulgare. È quan­to ha fatto un utente con il nickname «secondoprotocollo», che ha diffuso su YouTube la sua reinterpretazione di questa immagine: audace, forse volga­re. Si vede la figura femminile con il di­to medio alzato: un atto irridente.
Un fotomontaggio verosimile, i lin­guisti lo definirebbero «finzionale». Tutto ap­pare credibile, eppure non lo è. Una sorta di
melting pot iconografi­co, in cui l’anonimo au­tore è intervenuto sui materiali della cronaca per trasmettere un mes­saggio poetico e politi­co.
Dunque, una disinvol­ta manipolazione. Che, per un verso, ri­schia di indebolire il potere informati­vo ed etico della comunicazione «sul campo». Ma, per un altro verso, serven­dosi della rete, vuole violare le barriere della censura del regime. Per alludere a un’urgenza civile, al dramma di un po­polo, a una ribellione difficile. All’arro­ganza della politica contro la libertà del­le idee.

CORRIERE della SERA - Paolo Salom : "  Il «quadrilatero della censura» che usa software occidentali"

 Cina, Iran, Birmania e Arabia Saudita, il quadrilatero della censura

Un sospiro di sollievo. E anche molta sorpresa. La decisione del governo di Pechino di rinviare l’in­troduzione, obbligatoria, di un fil­tro informatico in tutti i pc vendu­ti nel Paese è stata accolta con sod­disfazione: dai produttori mondia­li di computer ma anche dai gover­ni occidentali e dai semplici utenti (sono 300 milioni i netizen cinesi). Fine, positiva, della storia? Non pa­re. Il software battezzato Green Dam, «diga verde» (in mandarino: Lübà-Huajì Hùháng) pare sia sta­to accantonato non tanto, o non solo, per le proteste interne ed esterne dovute al timore per l’en­nesima invasione nella privacy. Ma perché è semplicemente «nato vecchio»: di produzione locale — lo ha ideato la Zhengzhou Jinhui Computer System Engineering Ltd. — conterrebbe codici copiati da software di produzione estera risalenti al 2006 (un esempio: Cy­berSitter, programma sviluppato dall’americana Solid Oak Softwa­re) e dunque datati (oltre che pira­tati). In particolare, Green Dam po­trebbe provocare malfunziona­menti del sistema operativo e, an­che, aprire il pc all’intrusione di eventuali hacker (le «visite di con­trollo » da parte della polizia infor­matica erano probabilmente previ­ste).
Altri Paesi dove Internet (e dun­que la libertà) è sotto stretto con­trollo
hanno osservato con atten­zione la disavventura cinese. In­somma, meglio lasciar perdere i software di produzione domesti­ca. Meglio continuare a fare affari con quelle aziende occidentali che hanno finora garantito — parados­so dei nostri tempi — la possibili­tà di controllare, reprimere e arre­stare dissidenti «professionisti» come i semplici cittadini, autori di blog o di messaggi su Twitter. In­somma, tutti coloro che hanno cer­cato di veicolare sul web le loro istanze di protesta e di rivendica­zione dei diritti fondamentali.
L’esempio più recente ci porta in Iran. Dove, come ha ben spiega­to il Wall Street Journal , un con­sorzio tra la tedesca Siemens e la finlandese Nokia ha consentito al­le autorità di tenere sotto control­lo la Rete, rintracciando i «nemici della Rivoluzione» con sistemi tec­nologici talmente sofisticati da per­mettere di raccogliere, preventiva­mente, informazioni sui singoli utenti e, addirittura, distribuire fal­se notizie attribuendole a persone inconsapevoli. Perché queste due società avrebbero dovuto fare tut­to questo? La risposta è semplice: affari. La fornitura della tecnologia per il monitoraggio è stata inserita nel contratto firmato nel 2008 a fronte di un appalto per la vendita all’Iran di un sistema per le comu­nicazioni cellulari.
Soldi, soldi, soldi. Guardando un po’ più indietro le cronache hanno registrato episodi altrettan­to significativi, nella maggioranza dei casi connessi alla Repubblica popolare cinese: se non altro per la natura del suo sviluppo — tecnolo­gie all’avanguardia — e le caratteri­stiche del sistema di governo, an­cora immune da riforme. Dunque abbiamo il portale Yahoo! che, pur di entrare nel succulento mercato cinese, si è piegato alle richieste di Pechino fornendo informazioni sensibili su singoli utenti, informa­zioni che hanno portato all’arresto del giornalista Shi Tao e altri dissi­denti. E ancora, l’americana Cisco Systems che ha garantito alla Re­pubblica
popolare tecnologia e ap­parati per monitorare l’immenso oceano del web. La Juniper Networks (sede in California) che ha fatto milioni (in dollari) per ag­giornare, sempre in Cina, la Gran­de Muraglia di Fuoco, ovvero la barriera che oscura tutti i siti politi­camente sgraditi. E ancora Micro­soft e Google, che hanno accettato di autocensurarsi (limitando la li­bertà dei propri utenti) pur di fare affari in Oriente.
Il viaggio nelle nazioni dove la libertà è ancora soltanto una spe­ranza non è finito. Il «quadrilatero della censura», dopo Iran e Cina, ci porta in Birmania, Paese che ha vis­suto, nell’autunno del 2007, una stagione di protesta che — pro­prio come a Teheran nelle scorse settimane — senza Internet non avrebbe mai potuto minacciare il regime. Ma, come un rubinetto che sgocciola e viene serrato piano piano, la Rivoluzione zafferano dei monaci è stata strangolata, oltre che con i fucili, con i software for­niti, secondo un rapporto di Open­Net Initiative (associazione che riu­nisce i prestigiosi atenei di Cambri­dge, Harvard e Toronto), da un’azienda americana, la Fortinet. «È uno dei sistemi di censura e controllo più rigidi che abbiamo mai studiato», ha detto Ronald J. Deibert, direttore del Centro Studi Internazionali dell’Università di Toronto.
Chiudiamo con l’Arabia Saudi­ta. Da dove provengono i sistemi di censura dei siti «pornografici» o semplicemente scomodi? Rispo­sta: SmartFilter (San José, Califor­nia) e Blue Coat System (Sunnyva­le, California).

L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Impiccati sei sostenitori di Mousavi " 

Sei sostenitori del leader riformista Mir Hossein Mussavi sono stati impiccati lunedì. In Iran si sta scivolando dalla normalizzazione di cui si parlava ieri alle purghe che sono da oggi all’ordine del giorno. La notizia l’ha pubblicata il sito on line del “Jerusalem Post” precisando che la dritta giunge da fonti in Iran che hanno parlato per telefono con una cronista del giornale. Secondo dette fonti, le impiccagioni dei sostenitori di Mussavi sono avvenute nella città santa di Mashhad. Le stesse fonti hanno riferito che malgrado la repressione del regime e il diffuso clima di paura, ancora ci sono in Iran focolari di opposizione. Questa settimana a Teheran un influente leader religioso, l'ayatollah Hadi Gafouri, aveva difeso in pubblico i riformisti aggiungendo che per quell'intervento “la mia vita potrebbe essere adesso in pericolo”. Martedì un altro leader religioso, l'ayatollah Seyyed Jalaleddin Taheri-Esfahani, ha pure pubblicamente difeso Mussavi in un comizio nella città di Isfahan, aggiunge il giornale israeliano citando in merito una agenzia di stampa iraniana. “Il regime vuol far credere di aver vinto la partita, ma non dovete credergli”, ha detto al Jerusalem Post un sostenitore dei riformisti, aggiungendo che “anche se questo regime fosse sull'orlo del collasso, non permetterebbe che si sapesse fino all'ultima ora”. Impiccagioni a parte, ieri è stata anche la giornata dei sospetti lanciati dall’altro candidato imbrogliato, Mehdi Karroubi, contro la Russia. Karrubi, ha infatti proferito esplicite accuse alla Russia di avere addestrato le forze di sicurezza di Teheran che hanno represso le proteste e ha chiesto se l'Iran “sia diventata una delle ex repubbliche sovietiche”. In una dichiarazione pubblicata sul proprio sito, Karrubi respinge le accuse del governo secondo le quali in Iran gli oppositori del presidente Mahmud Ahmadinejad intendevano promuovere una “rivoluzione di velluto”. “Con questo incubo nelle loro menti – ha detto - hanno mandato forze in un paese vicino del nord per farle addestrare per impaurire e intimidire la gente”. “Le rivoluzioni di velluto – ha concluso Karrubi - sono avvenute negli ex Paesi satelliti dell'Unione Sovietica i o nelle ex repubbliche sovietiche. Per caso siamo mai stati uno di loro, o lo siamo diventati?” Giova ricordare che il presidente russo Dimitri Medevedev è stato, quattro giorni dopo le elezioni presidenziali, il primo leader mondiale a riconoscere e a ricevere Ahmadinejad, che si era recato negli Urali per un vertice del Gruppo di Shanghai. Peraltro ieri Ahmadinejad non deve essersi sentito le terga molto al sicuro se è vero come è vero che ha annullato la propria prevista presenza al vertice dell’Unione Africana prevista per oggi. Lo riferisce l'agenzia di stampa iraniana 'Fars'. “Era stato deciso che il presidente si sarebbe recato in Libia per partecipare al summit dell'Unione Africana, ma il viaggio è stato annullato”, scrive la 'Fars' senza fornire ulteriori dettagli. Ma, oltre alle impiccagioni, in Iran continuano le censure sui media : proprio il riformista Mehdi Karroubi, che si era rifiutato di riconoscere la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad alla presidenza dell'Iran e le autorità della Repubblica Islamica, si è visto bloccare l'uscita delle ultime affermazioni sul proprio giornale. È quanto si leggeva sul sito web di Etemad Melli, il partito di Karroubi, in una nota postata dopo che il Consiglio dei Guardiani aveva confermato i risultati delle contestate elezioni presidenziali dello scorso 12 giugno. Per Karroubi , “il governo uscito dal voto del mese scorso non è legittimo”. “La scorsa notte, dopo la diffusione delle affermazioni di Karroubi, rappresentanti della procura di Teheran e del ministero della Cultura hanno impedito la pubblicazione del giornale 'Etemad Melli”, si legge sempre sul sito web. “Volevano che le dichiarazioni venissero censurate e non pubblicate - prosegue la nota - per questo oggi il giornale non uscirà”. Vista sotto le prospettive che implicano queste notizie, la lotta del popolo iraniano per liberarsi da questo ignobile e oppressivo regime fatto di fondamentalismo islamico sembra ancora lunghissima. E molto di là da venire.

CORRIERE della SERA - Alessandra Farkas : " Il Nobel Ebadi: «Il mio popolo non è mai stato tanto unito» "

 Shirin Ebadi

NEW YORK — «Il popolo iraniano alla fine vincerà: il ritorno alla democrazia nel mio Paese è solo una questione di tempo». Al telefono da Bolzano, dove domani ritirerà il premio Alexander Langer, per conto di Nargess Mohammadi, un’attivista dei diritti umani alla quale in Iran hanno ritirato il passaporto e arrestato il marito, il premio Nobel Shirin Ebadi lancia l’ennesimo monito al regime di Teheran: «fatevi da parte».
«Bisogna annullare il voto e tornare subito alle urne, sotto l’egida dell’Onu — spiega la Ebadi al Corriere , coadiuvata dall’amica ed interprete Ella Mohammadi —: lo chiede il popolo iraniano, che non accetterà mai il risultato di queste elezioni truccate. Anche l’ex presidente Khatami le ha definite un golpe».
Impiccagioni, arresti, retate. È già guerra civile?
«Spero che il regime sia così saggio ed intelligente da evitarla, ascoltando la sua gente. Purtroppo da una parte abbiamo una dittatura violenta, dall’altra una popolazione pacifica che non ha neppure rotto un vetro durante gli scontri.
Nel dolore, come nella lotta, oggi noi iraniani siamo tutti uniti».
Eppure un gruppo di docenti ed avvocati iraniani ha scritto una dura lettera dove chiede che lei venga processata per aver criticato il regime.
«Quella lettera non reca neppure una singola firma perché a scriverla è stato il solo ministero degli Interni. Io so con certezza che i miei colleghi giuristi in Iran non firmerebbero mai un documento del genere. Anche la gente della strada in patria mi ama e mi stima».
Cosa succederà adesso?
«Milioni di iraniani continueranno a lottare fino alla vittoria. Non pecco di ottimismo: il mio popolo non era stato mai tanto unito quanto oggi».
Lei cosa ha intenzione di fare adesso?
«Invece di farmi intimidire ho intenzione di intensificare la mia attività in favore dei diritti umani nel mio Paese. Per questo mi trovo in Italia, dove tra l’altro parlerò di fronte al parlamento».
Teme per sé e per la sua famiglia?
«La paura è un istinto umano molto reale che bisogna vincere perché è così che andiamo avanti. Gli ideali sono molto più alti e nobili della paura».
Cosa spera di realizzare durante la sua visita in Italia?
«Voglio portare le mille voci oggi soppresse della mia gente. Desidero parlare a tutti i popoli del mondo, non solo all’Italia, per spiegare le vere aspirazioni del mio popolo».
Sarà l’ambasciatrice ufficiale dell’Iran nel mondo?
«Non voglio dare un nome alla mia missione. In fondo sono solo uno dei tanti passaparola. In una catena senza fine che nessuno potrà zittire».

La REPUBBLICA - Andrea Bonanni : " Schiaffo degli ayatollah all´Europa 'Basta trattare, tramate contro di noi' "

 Hassan Firouzabadi, capo di stato maggiore iraniano

BRUXELLES - Tra il regime iraniano e le autorità europee è ormai guerra dei nervi. Mentre i Ventisette stanno valutando la proposta britannica di ritirare temporaneamente tutti gli ambasciatori da Teheran per protesta contro l´arresto dei funzionari dell´ambasciata del Regno Unito, gli iraniani fanno sapere di aver già liberato otto dei nove fermati. Ma rilanciano la polemica dichiarando che ormai gli europei, con le loro «ingerenze», hanno perso il diritto di negoziare sulla questione nucleare.
E´ stato il capo di stato maggiore iraniano, Hassan Firouzabadi, a decretare la «scomunica» di Gran Bretagna, Francia e Germania, i tre governi europei che con Stati Uniti, Russia e Cina formano il gruppo di contatto a cui la comunità internazionale ha affidato il compito di negoziare per fermare il riarmo nucleare dell´Iran. «Il trio dell´Unione europea ha esercitato ingerenze ridicole nelle elezioni presidenziali e la loro inimicizia con l´Iran è ora palese. Ha così perso di credibilità e, quindi, non è più qualificato per negoziare con l´Iran fino a quando non si sarà scusato per questo grossolano errore», ha dichiarato Firouzabadi.
Da parte europea i toni, per ora, sono moderati. Ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini è intervenuto alla Camera per correggere il tiro rispetto alle dichiarazioni rilasciate due giorni prima da Silvio Berlusconi. Secondo quanto aveva detto il capo del governo, alla imminente riunione del G8, sotto presidenza italiana, i leader mondiali avrebbero «messo al primo posto» la questione iraniana e sarebbero stati favorevoli a nuove sanzioni contro Teheran.
Le dichiarazioni di Berlusconi, riprese dalla stampa internazionale, avevano suscitato una certa sorpresa. Ma ieri Frattini ha smentito il capo del governo: «Adesso appare prematura l´adozione di sanzioni ulteriori» contro l´Iran, ha detto riferendo in Parlamento, anche se l´ipotesi «viene evocata in qualche tavolo europeo più confidenziale». In realtà, come ha spiegato il ministro degli esteri, non solo i russi sono contrari ad aumentare la pressione sul regime di Teheran, ma la stessa amministrazione americana «non sarebbe pronta in qualche giorno a dare il via a un nuovo programma di sanzioni». «Il presidente Obama ha teso la mano verso Teheran fino alla fine di dicembre», ha ricordato il ministro «e non credo che possiamo ritirarla adesso».
Messi alle strette sulla questione della repressione seguita alla proclamata vittoria elettorale di Ahmadinejad, gli iraniani intanto cercano di ribaltare il tavolo giocando la carta del negoziato sul nucleare. Oggi, in occasione di una riunione di alti diplomatici dell´Unione, la presidenza svedese appena subentrata a quella ceca valuterà la possibilità di un gesto simbolico come il ritiro temporaneo e coordinato degli ambasciatori europei per protestare contro l´arresto dei funzionari iraniani impiegati presso la rappresentanza britannica a Teheran. Ma il ministro degli Esteri svedese Carl Bildt ha invitato alla cautela. Dobbiamo evitare - ha sostenuto - di «creare una situazione di contrapposizione tra l´Iran e il resto del mondo, dando così una scusa agli iraniani per far ricorso alla violenza e alla repressione».
Anche il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt è stato distensivo: «ci auguriamo che i dirigenti iraniani scelgano la via delle riforme piuttosto che quella della contrapposizione con il resto del mondo».

La STAMPA - Ufficio Stampa dell'ambasciata della repubblica islamica dell'Iran di Roma : " E’ solido il sistema bancario dell’Iran "

 Maurizio Molinari

Le  accuse degli Stati Uniti e alcuni Paesi occidentali al nucleare iraniano non sono " false e infondate " ma documentate anche da  numerosi rapporti dell’Aiea (più volte truffata dall'Iran per quanto riguarda la quantità di uranio in suo possesso), gli stessi che l'ambasciata sbandiera come fonte di smentita. Ecco lettera e risposta di Maurizio Molinari:

L’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran a Roma smentisce la fondatezza della notizia intitolata «Panico fra gli ayatollah - fuga di soldi all’estero» a firma di Maurizio Molinari, apparsa su codesto quotidiano in data 23 giugno 2009, in quanto contenente affermazioni fallaci nei confronti della Repubblica Islamica dell’Iran riprese anche da non meglio precisati «servizi di intelligence» e non supportate da prove e dati. La solidità del sistema bancario della Repubblica Islamica dell’Iran non è influenzabile dalle elezioni e campagne politiche, e una corretta informazione richiederebbe maggiore attenzione verso questo dato di fatto. Infine si rammenta che, nonostante le false e infondate accuse degli Stati Uniti e alcuni Paesi occidentali, numerosi rapporti del Direttore dell’Aiea confermano che non vi è nessuna deviazione nelle attività nucleari dell’Iran.
Questa Rappresentanza chiede la pubblicazione di questa smentita sul prossimo numero di codesto giornale in ottemperanza alla legge sulla stampa n. 47 dell’8.2.1948 articolo 8.
UFFICIO STAMPA DELL’AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN, ROMA


Ringraziamo l’ambasciata della Repubblica Islamica per la lettera nella quale si attesta una solidità del sistema bancario iraniano che l’articolo in questione non metteva in dubbio, concentrandosi piuttosto sui dati relativi ai destinatari bancari e all’ammontare dei fondi trasferiti fuori dall’Iran nelle ultime settimane. [M.MO]

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