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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio - L'Opinione - La Stampa - L'Unità Rassegna Stampa
30.06.2009 Il G8 sembra orienta­to verso una linea dura contro l’Iran
Che sia la volta buona? Cronache e analisi di Viviana Mazza, Cecilia Zecchinelli, Dimitri Buffa, Amy Rosenthal, Mehdi Karroubi

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio - L'Opinione - La Stampa - L'Unità
Autore: Viviana Mazza - Cecilia Zecchinelli - Amy Rosenthal - Dimitri Buffa - Mehdi Karroubi - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Ahmadinejad confermato presidente L’Italia: 'Dal G8 possibili sanzioni' - La Bbc in farsi nemico numero 1, Ma la gente la ama - Occhio all'atomica, Mr. Obama - L'Iran usa la tecnica del bastone e della carota con Inghilterra, Usa ed Europa - Karroubi: q»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/06/2009, a pag. 14, la cronaca di Viviana Mazza dal titolo " Ahmadinejad confermato presidente L’Italia: «Dal G8 possibili sanzioni» " e l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " La Bbc in farsi nemico numero 1, Ma la gente la ama ". Dal FOGLIO, a pag. II, l'analisi di Amy Rosenthal dal titolo " Occhio all'atomica, Mr. Obama  ". Dall'OPINIONE, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " L'Iran usa la tecnica del bastone e della carota con Inghilterra, Usa ed Europa ". Dalla STAMPA, a pag. 5, la lettera di Mehdi Karroubi dal titolo " Karroubi: quei giudici non sono indipendenti ". Dall'UNITA', a pag. 24, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Nawal El Saadawi, scrittrice egiziana, dal titolo " Diamo a Neda e alle sue sorelle iraniane il Nobel per la pace ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Ahmadinejad confermato presidente L’Italia: «Dal G8 possibili sanzioni» "

Mahmoud Ahmadinejad re­sta presidente. Il Consiglio dei Guardiani, organo di religiosi responsabile della supervisio­ne del voto in Iran, ha confer­mato ieri il risultato delle ele­zioni del 12 giugno, dopo un ri­conteggio del 10% dei voti. Se­condo i media di Stato, sono state riaperte 34 urne «scelte a caso». Dopo 7 ore, il verdetto: «irregolarità minori». Risulta­to atteso: il Consiglio aveva già definito il voto il più «sano» in 30 anni. Una verifica rifiutata da Mir Hossein Mousavi, che si dichiara il legittimo vincitore, dal riformista Mehdi Karroubi e dal conservatore Mohsen Re­zai. Non hanno inviato i propri rappresentanti: chiedono l’an­nullamento del «voto-truffa».
Il G8 sembra intanto orienta­to verso una linea dura contro l’Iran. Il presidente del Consi­glio italiano Silvio Berlusconi, presidente di turno del G8, ha parlato per la prima volta di nuove possibili sanzioni: «An­che dalle recenti telefonate che ho avuto con gli altri leader mondiali credo che si andrà in questa direzione», ha detto, ag­giungendo che l’Iran «sarà il primo argomento d’esame» al summit di luglio. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha espresso dubbi sul riconteggio di un «numero relativamente ridotto di schede»: «C’è un enorme carenza di credibilità sulle elezioni. Non penso che sparirà». E rischia di aggravar­si la crisi diplomatica per l’arre­sto dei 9 dipendenti iraniani dell’ambasciata britannica a Teheran: 5 sono stati rilasciati, «gli altri sono sotto interrogato­rio », informa il ministero degli Esteri iraniano, che accusa l’am­basciata di averli «mandati tra i rivoltosi per dirigerli e istigar­li ». «Inaccettabile, ingiustifica­to »: da Londra, il premier Gor­don Brown chiede di rilasciarli tutti subito. Clinton lo appog­gia. L’Iran precisa di non voler chiudere le ambasciate né «ri­durre i rapporti con alcun Pae­se europeo, inclusa la Gran Bre­tagna ». Ma è l’Ue a minacciare di ritirare gli ambasciatori «temporaneamente», in solida­rietà con lo staff britannico, se­condo fonti diplomatiche cita­te dal quotidiano Guardian.
Per placare la piazza, Ahma­dinejad chiede alla magistratu­ra un’inchiesta sulla morte «so­spetta » di Neda, la studentessa diventata simbolo dell’Onda verde, ma non cita i testimoni che sostengono che il killer è uno dei paramilitari basiji lega­ti al governo. Ieri, comun­que, il capo dei paramilita­ri, Hossein Taeb, ha detto che alcuni impostori si sarebbero «travestiti da basiji e da poliziotti per infiltrarsi nei cor­tei e causare il caos».
Nel pomeriggio, cen­tinaia di agenti sono stati dispiegati a Teheran, molti in via Vali Asr, dove i manifestanti si erano dati appuntamento per una catena uma­na. Gli oppositori arre­stati in tutto sarebbero 2000: 1.160 ammessi dal­le stesse autorità secondo
Amnesty International, che ne ha identificati 300 per no­me. Tra gli ultimi, domenica, ci sono attori, can­tanti, il docente di legge Kambiz Nou­rozi, e il figlio di un ayatollah pro-Ahmadinejad, Mehdi Khazali, che sostenne che il presi­dente ha origini ebraiche. Prelevato giovedì notte a casa l’avvocato Mohammad Mostafaei, legale di Delara Darabi (impiccata a maggio) e di 20 bambini nel braccio del­la morte: si era detto disposto a rappresentare gli iraniani arre­stati in proteste pacifiche.

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " La Bbc in farsi nemico numero 1, Ma la gente la ama "

 BBC Persian Tv

«L’amore degli iraniani per tv e radio straniere non è una novità: vuoi per la sete di notizie che la censura dei nostri me­dia non spegne, vuoi perché qui in Iran, a differenza di quanto avviene in Medio Oriente, il governo è antioccidentale ma la gente no». Mashallah Shamsolvaezin, noto commentatore poli­tico di Teheran, ex direttore di giornali riformisti (chiusi) e ca­po del sindacato giornalisti (tra un arresto e l’altro), così spiega il successo dei tanti media che diffondono dall’estero. In lingua farsi e illegalmente. Voice of America, Pmc, Kirn, Zameneh, per­fino Radio Israel: l’elenco è lungo. Ultima arrivata, ma già pri­ma per ascolti, è la Bbc Persian Tv.
«Visti il caos da sempre creato in Iran dalla Bbc con la radio e i suoi storici tentativi per dividere la società iraniana, il suo ca­nale tv in lingua persiana sarà proibito» aveva precisato in gen­naio il potente capo dell’Irshad, ovvero il ministero di Cultura, Informazione e Censura. Sei mesi dopo il lancio, la tv di Londra è già la più amata dagli iraniani. Tra gli 8 e i 10 milioni di tele­spettatori (su 70 milioni di abitanti), 8 ore di trasmissioni salite poi a 11, 140 giornalisti nella sede di Londra, 3 milioni di contatti giornalieri al sito. E dall’inizio delle proteste (13 giugno) un fiume di notizie anche in entrata: 10 mila mail al giorno e 10 video al minu­to. L’informazione fai-da-te dei giovani iraniani ha trovato un forte e fidato alleato.
Non è un caso che il regime non gradisca. Già Londra per Teheran è da sempre il «picco­lo Satana» (onore diviso con Israele, solo un po’ meno im­portante del «Grande Satana» attribuito agli Usa). La
Bbc ora ne è il peggior strumento di tentazione. E quindi, divieto assoluto ai giornalisti iraniani di collaborarvi in patria (a Lon­dra vi lavorano molti esuli, tra cui il celebre oppositore-blog­ger Sina Moutalebi, incarcera­to a Evin nel 2003). Divieto agli altri canali di cederle fil­mati. Disturbi del segnale (la Bbc ha appena aggiunto due satel­liti). Confessioni alla tv di Stato di «nemici della Repubblica», arrestati alle proteste e costretti ad ammettere di esservi stati «spinti proprio dalla Bbc ». Accuse continue di «complotti», «spionaggio», «organizzazione delle proteste». Fino all’estre­mo, quasi surreale se non fosse drammatico, raggiunto dopo la morte di Neda Agha Soltan, la 26enne uccisa a Teheran una set­timana fa da un miliziano. «Ad ammazzarla è stato un sicario pagato dalla Bbc », hanno scritto due giornali ultraconservatori, accusando in particolare il corrispondente a Teheran Jon Leyne, poi espulso.
«Niente di vero, ovviamente, siamo molto popolari solo per­ché siamo seri e indipendenti», dicono alla sede di Londra della tv, che ha inoltre beneficiato dei blocchi più o meno efficaci in Iran di Internet e sms. E del fatto che rispetto alle altre tv stra­niere rivali a partire da
Voice of America, la Bbc non fa propa­ganda, o almeno questa è la percezione. Ma come insegna Al Jazeera, creata nel 1996 dai giornalisti dell’appena chiusa Bbc in arabo, anche la tradizione british di indipendenza e serietà (ammesso che sia rispettata) può dare molto fastidio. Più anco­ra che dall’America di Bush, la tv del Qatar è stata (ed è) combat­tuta da tutti i regimi arabi.

Il FOGLIO - Amy Rosenthal : " Occhio all'atomica, Mr. Obama "

Kenneth Pollack non è affatto ottimista sugli sviluppi della rivoluzione in Iran. Dice al Foglio che, se dovesse pensare a come sarà la Repubblica islamica tra tre anni, e a chi la guiderà, gli viene in mente un unico nome: Mahmoud Ahmadinejad. Le proteste dopo le elezioni del 12 giugno sono state straordinarie – spiega Pollack – ma è forte il timore che tutto si esaurisca e che restino soltanto i cocci (dopo le botte dei bassiji) su cui ricostruire un secondo, ancor più duro mandato di Ahmadinejad. Pollack ha lavorato negli anni clintoniani al Consiglio per la sicurezza nazionale occupandosi di Iran e prima ancora aveva trascorso sette anni nella Cia come analista militare per il Golfo Persico. Oggi è il direttore del Saban Center per la politica in medio oriente della Brookings Institution. Divenne famoso, anche fuori dal circuito degli esperti, dopo l’11 settembre con un libro del 2002 dal titolo inequivocabile: “The threatening storm – The case for invading Iraq”. L’operazione – sostenere da sinistra la necessità di destituire Saddam Hussein – gli conquistò l’etichetta di “falco liberal” che, un paio di anni dopo, Pollack tentò di scrollarsi di dosso con scuse sull’invasione americana in Iraq e con nuovi libri volti a evitare un’altra invasione, questa volta dell’Iran. Ora sta ultimando – uscirà a settembre – un libro già parecchio chiacchierato dal titolo “Which Path to Persia? Options for a New American Strategy towards Iran”. Il primo capitolo è stato pubblicato la settimana scorsa, il resto arriverà dopo l’estate. “Ho scritto questo pamphlet assieme ad altri esperti d’Iran della Brookings Institution – spiega Pollack – cioè Daniel Byman, Martin Indyk, Suzanne Maloney, Michael O’Hanlon e Bruce Riedel. Il primo capitolo riguarda la strategia della persuasione e dice che gli Stati Uniti devono essere molto flessibili su quello che possono offrire agli iraniani”. Poi il pool iraniano descrive altre nove alternative. Pollack le riassume così: “‘Engagement puro’, che significa lasciar stare il bastone e andare avanti soltanto con le carote; poi ci sono tre capitoli dedicati alle opzioni militari e tre dedicati alle azioni coperte, con un gran finale sul ‘containment’. Ma penso che ci siano buone possibilità che il regime iraniano non sia interessato a fare un accordo con gli Stati Uniti e così noi saremo costretti a scegliere tra alternative che non sono del tutto tangibili”. Come molti analisti che gravitano nell’orbita obamiana, anche Pollack sperava in un cambiamento in Iran deciso dalle urne. Intervistato dal Foglio prima del voto, aveva mostrato una vaga predilezione per Mehdi Karroubi, l’unico dei candidati con il turbante che, dopo l’esito del voto, si era inizialmente schierato con il “fronte verde” salvo poi ritirare ogni appoggio. Ma Pollack era stato anche in qualche modo profetico: “Ahmadinejad ha già fatto un mandato, sa come manipolare la sua gente e al limite può chiamare i suoi amici bassiji (è un ex del gruppo volontario di sicurezza che sta terrorizzando Teheran, ndr) per aiutarlo”. Di fronte ai fatti di Teheran, la comunità internazionale deve trovare un nuovo registro. Londra sta già sperimentando le sue difficoltà diplomatiche, dopo aver subito la “strategia delle ambasciate”, come viene chiamata la tecnica della Rivoluzione islamica per intimidire gli stranieri “oppressori” e impedire loro di “interferire negli affari iraniani”. Barack Obama, dopo un inizio cauto, cautissimo – e criticato anche e soprattutto a sinistra – ha iniziato a rilasciare dichiarazioni a sostegno della piazza. Ma una strategia va comunque definita, dice Pollack. Presentando il suo libro assieme ai colleghi della Brookings Institution, Pollack ha cercato di approfondire le diverse alternative che oggi ha a disposizione l’Amministrazione Obama. La premessa è questa: “Non vogliamo togliere dal tavolo alcuna alternativa in modo preventivo”. Eppure a Washington non si fa che discutere del fatto che l’Amministrazione stia già lavorando come se il nucleare – e quindi la bomba atomica – fosse già un dato di fatto. Pollack non sposa questa teoria, e anzi sottolinea che non è affatto una strategia vincente quella di iniziare con: “Ok, accettiamo il vostro programma nucleare”. Tutt’altro. “Sarebbe un errore – dice – Non accettiamo il loro programma nucleare. Vogliamo che finisca. La domanda è: possiamo fermarlo?”. Come analista, spiega Pollack, può parlare di “bastoni e carote”, “ma sarebbe un grave errore se a farlo fosse il presidente degli Stati Uniti”. Obama non ha ancora deciso una strategia precisa: ha certamente allungato la mano verso Teheran e ha aperto al dialogo, ma ora che il regime sta sopprimendo nel sangue i rimasugli della protesta contro il voto rubato diventa più difficile anche la strategia del dialogo. Ecco perché le nove alternative di Pollack assumono tutto un altro significato. La persuasione, la prima delle alternative, “è quella adottata dall’Amministrazione Obama”. Ma c’è già una critica da parte di Pollack: “Questa è la strategia del bastone e della carota. Una delle aree in cui l’Amministrazione non ha fatto finora un buon lavoro è proprio quella dei ‘bastoni’: non puoi parlare dei ‘bastoni’. I ‘bastoni’ sono semplicemente sul terreno, e anche gli iraniani sanno quali sono. Fare minacce con i ‘bastoni’ caccia l’America in un angolo”. E infatti la seconda alternativa presentata da Pollack è quella dell’“engagement”, cioè del confronto diretto usato però come tattica, “per cercare di capire ed esplorare quale tipo di relazione Teheran abbia intenzione di mettere in campo”. Se – come ha detto Obama – gli iraniani vogliono migliorare le relazioni, allora l’“engagement” diventa strategia. Altrimenti è necessario passare all’alternativa successiva. Poiché non tutti hanno un approccio diplomatico, ecco “tre diversi approcci militari” alla questione iraniana. La prima è la “big enchilada, l’invasione”, come la definisce Pollack. E’ il modello già adottato in Afghanistan e in Iraq: vai, invadi, rovesci il regime, sradichi il programma nucleare e da lì riparti. Certo – commenta sarcastico Pollack – non è che gli Stati Uniti siano bravissimi in questo, soprattutto quando si dimenticano che c’è anche la ricostruzione da fare. “Se l’invasione è troppo, allora perché non dei raid aerei?”, chiede Pollack introducendo la seconda delle tre opzioni militari. Ma anche questa alternativa è difficile: nel lungo periodo potrebbe alienare ancora di più gli iraniani invece che favorire un miglioramento delle relazioni. La terza opzione è sintetizzata così: “Leave it to Bibi”, cioè che se ne occupino gli israeliani perché “noi non abbiamo – come ha detto Pollack durante la presentazione del pamphlet – i ‘cojones’ per fare qualcosa”. Ma anche questa strada è molto sconnessa, e le reazioni dei paesi vicini a Israele – a cominciare dal Libano e dall’alleato iraniano Hezbollah – potrebbero essere devastanti. Ecco che così si arriva alle ultime alternative, che riguardano il “regime change”. C’è un capitolo dal titolo “Rivoluzioni di velluto” cui Pollack sta mettendo mano. Come si può fare un regime change, aiutando gruppi “ribelli” o organizzando un golpe militare? Questi sono fenomeni troppo difficili da controllare, spiega Pollack, “a volte serve soltanto essere fortunati”. Già, ma intanto nelle strade di Teheran si continua a resistere e a essere picchiati. “Alla fine, se tutto va male, c’è il contenimento. Ma l’ultima grande domanda cui nessuno ancora sa dare una risposta – conclude Pollack – riguarda il nucleare. Il ‘containment’ assume che, poiché non riusciremo a fermare il programma nucleare, questo sarà messo in atto e ci sarà un Iran armato con armi nucleari. Potrà a quel punto funzionare la deterrenza?”.

L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " L'Iran usa la tecnica del bastone e della carota con Inghilterra, Usa ed Europa "

E’ il metodo più antico del mondo, in voga da sempre nei regimi autoritari come la repubblica islamica dell’Iran: quello del bastone e della carota. E ieri, dopo le proteste della Gran Bretagna, degli Usa e dell’Europa per la presa in ostaggio da parte dei cosiddetti “guardiani della rivoluzione” di ben nove dipendenti iraniani dell’ambasciata del Regno Unito in Iran, è stato il giorno dell’ortaggio arancione. Sin dalla mattinata infatti i primi cinque dipendenti erano stati rilasciati e immediatamente gli esponenti della diplomazia di Teheran smentivano di volere chiudere ambasciate occidentali come invece fatto trapelare nella serata di domenica. Inoltre il regime metteva in scena due farse in un giorno solo. Quella del riconteggio dei voti, ma solo del 10% di essi ( che sarebbero del tutto ininfluenti al cambiamento dell’esito finale in ogni caso), e quella della richiesta, un bel po’ oltraggiosa a ben vedere, da parte del presidente Ahmadinejad di aprire un’inchiesta sulla morte di Neda. Intanto i paesi arabi, tramite un editoriale pubblicato sul giornale governativo egiziano, Al Aharam, giudicano assurda e debole la risposta europea all’arroganza iraniana. E ci accusano di temporeggiare, infischiandocene dei morti e dei manifestanti catturati e torturati, e di puntare solo al sodo della risoluzione del dossier nucleare di Teheran. Per la cronaca ieri è scesa in campo anche “Amnesty-amnesy” international sostenendo che i prigionieri verificati sarebbero 300, anche se i giornali di tutto il mondo parlano di milgiaia di desaparecidos. “È l'unica cifra verificabile e noi vogliamo procedere con un criterio di esattezza nel diffondere queste informazioni”, ha detto Drewery Dyke, responsabile per il settore Medio Oriente e Africa di Amnesty presso il quartier generale dell'organizzazione a Londra. “Si è anche parlato di diverse migliaia di arresti - spiega ancora Dyke - sono voci circolate anche in Iran e che hanno raggiunto Amnesty, ma è impossibile effettuare alcuna verifica su quel tipo di cifra”. Quando si tratta di Israele o degli Usa, “Amnesty” si dimostra di solito molto ma molto meno prudente nel propagare notizie più o meno verificabili. Come si diceva, intorno a mezzogiorno ora italiana, il portavoce del cosiddetto e grottesco “consiglio dei guardiani della rivoluzione”, Abbas Ali Katkhodai, ha detto che l'organismo aveva cominciato il riconteggio del 10 per cento dei voti espressi nelle elezioni presidenziali del 12 giugno, come promesso nei giorni scorsi. Katkhodai ha detto che non si è arrivati a “nessun risultato chiaro” in un incontro avuto stamani tra il “consiglio dei guardiani” e il candidato moderato Mir Hossein Mussavi, che aveva posto delle condizioni per cooperare all'operazione e rinunciare così ad una richiesta di annullamento della consultazione. Il portavoce di quegli assassini da strada ha detto alla televisione di Stato che il riconteggio si concluderà entro oggi. Ahmadinejad, come si diceva, ieri ha avuto l’ardire di chiedere all'ayatollah Hashemi Shahroudi, responsabile della giustizia nella Repubblica Islamica, di fare luce sull'omicidio della giovane Neda, la ventiseienne uccisa la scorsa settimana durante una manifestazione di protesta contro la sua stessa rielezione. “Le chiedo di indagare accuratamente sull'omicidio della nostra cittadina, Neda Agha Soltani, affinché i veri colpevoli vengano individuati e arrestati immediatamente”, si legge nel testo. Nella lettera, Ahmadinejad parla di “morte avvenuta in circostanze poco chiare, che necessitano una verifica precisa”. Non mancano poi gli attacchi ai “media stranieri”, che il presidente accusa di “strumentalizzare la morte di Neda per infangare la reputazione della Repubblica Islamica”. “Questo non gli sarà permesso, perché troveremo i colpevoli, responsabili dell'uccisione della nostra cittadina, Neda Agha Soltani”, si legge ancora. La lettera di Ahmadinejad arriva in risposta alle critiche della comunità internazionale alle autorità iraniane, in seguito alla morte della giovane, e dopo che il governo di Teheran non aveva concesso l'autorizzazione ai genitori di Neda per svolgere nella capitale i funerali della ragazza. Tra le righe si capisce che il regime cerca un qualsivoglia facile capro espiatorio da dare in pasto all’opinione pubblica interna e occidentale, possibilmente già da morto, bello e pronto. Un impiccato dei tanti in Iran, per chiudere così la cosa.

La STAMPA - Mehdi Karroubi : "Karroubi: quei giudici non sono indipendenti"

 Mehdi Karroubi

Il Consiglio dei Guardiani ha nominato una commissione per il riconteggio del dieci per cento dei voti nelle urne e ha invitato un mio rappresentante a partecipare ai lavori. Ho sottoposto al Consiglio i seguenti punti:
1) Alcuni dei membri della commissione, precedentemente alla loro nomina, hanno espresso chiaramente la loro posizione al riguardo e quindi la loro neutralità e il loro giudizio finale al riguardo è poco credibile. Pertanto si propone di sottoporre la questione ad una commissione indipendente e neutrale i cui membri siano scelti tra quanti risultino più affidabili.
2) Il semplice conteggio da parte della commissione non è sufficiente in quanto la mia denuncia precedentemente e ampiamente espressa continua a rimanere inattesa. La riassumo brevemente.
a) i dubbi sull’esame riguardo l’eleggibilità e la conformità individuale dei candidati, in conformità all'articolo 115 della costituzione,
b) le irregolarità prima delle elezioni,
c) le irregolarità nel giorno delle elezioni,
d) le irregolarità durante l'annuncio dei risultati.
Pertanto il riconteggio del dieci per cento delle urne non potrà risolvere in alcun modo la situazione. In particolar modo non è per nulla chiaro che cosa sia avvenuto in queste due settimane al contenuto delle urne prescelte. C'è da sottolineare inoltre che due giorni dopo l'annuncio dei risultati delle elezioni e in seguito alle dichiarazioni dell'onorevole ministro dell’Interno di mettere a disposizione dei candidati le informazioni relative alle urne, richiesta del sottoscritto più volte rinnovata anche in seguito, purtroppo, ad oggi, queste informazioni non sono ancora pervenute ai candidati. Il ministero ci deve dire il motivo per il quale non ha inviato ai candidati queste informazioni.
Non potremmo mai, di fronte a questa mancanza, considerare attendibile il riconteggio delle urne prescelte.
3) Il problema principale è l'attendibilità dei voti presenti nelle urne: in tal senso è necessario verificare il numero dei votanti nei seggi prescelti affinché non siano stati dati più voti con la stessa calligrafia. Inoltre resta sorprendente che in alcuni dei seggi prescelti la percentuale dei partecipanti al voto sia superiore al 90 per cento degli aventi diritto, lo stesso motivo per cui in passato il Consiglio dei Guardiani ha annullato il risultato di alcune votazioni.
Infine, secondo gli studi statistici, la distribuzione uniforme delle percentuali nella scelta dei candidati sul territorio, così come è stata presentata, richiede una approfondita valutazione dell’attendibilità dei risultati.
Malgrado le irregolarità, nel caso in cui venga nominata una commissione veramente indipendente da parte del Consiglio dei Guardiani, che tenga conto di tutti i precedenti punti, sarò ben soddisfatto e invierò il nominativo del mio rappresentante affinché ne faccia parte.

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Diamo a Neda e alle sue sorelle iraniane il Nobel per la pace "

 Nawal El Saadawi

Se il mondo ha ancora una coscienza, se esiste ancora il diritto-dovere all’indignazione, allora questa indignazione dovrebbero riempire le piazze di tutto il mondo a sostegno degli eroi di Teheran. E se il Nobel per la Pace ha ancora un senso, dovrebbe essere assegnato alla memoria di Neda, la ragazza uccisa dalle squadracce del regime, divenuta il simbolo di un movimento che sfida un potere teocratico e fascista». A parlare Nawal El Saadawi, l’autrice egiziana femminista più conosciuta e premiata. I suoi scritti sono tradotti in più di trenta lingue in tutto il mondo. Per le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne e per la democrazia nel mondo araba, la scrittrice egiziana, 78 anni, compare su una lista di condannati a morte emanata da alcune organizzazioni integraliste.
La brutalità del regime non spegne l’onda verde di Teheran. Come leggere questo movimento?
«Quella in atto in Iran è una rivoluzione di popolo contro dittature interne ed esterne. È la ribellione eroica contro lo sfruttamento e contro i poteri forti, economici, politici, religiosi. Le donne e gli uomini iraniani, giovani e anziani, stanno combattendo contro l’oppressione, la disuguaglianza, l’ingiustizia. La loro voce è la voce del popolo iraniano. Nessun potere può azzittirli prima che gli eroi di Teheran raggiungeranno il loro obiettivo».
Al di là delle proteste formali, il mondo sembra assistere passivamente agli eventi di Teheran.
«È una vergogna. Un’assoluta vergogna. Se esiste ancora il diritto-dovere all’indignazione, questo diritto deve riempire le piazze di tutto il mondo a sostegno della rivoluzione iraniana. Nessuno può girare la testa da un’altra parte. Nessuno può dire: non sapevo. Il silenzio è complicità verso un potere che sta reprimendo nel sangue una rivolta democratica».
Lei parla di silenzio. Un silenzio che domina nelle capitali arabe.
«Dica pure complicità. Perché a quei leader arabi abbarbicati al potere, a élite che hanno fatto scempio di diritti e di democrazia, a questi satrapi la rivoluzione iraniana fa paura, molto di più del regime teocratico di Ahmadinejad e Khamenei. Fa paura perché hanno il terrore che l’onda verde di Teheran possa propagarsi a tutto il mondo arabo e musulmano. Da qui il silenzio. Il silenzio dei complici».
L’Occidente deplora la repressione messa in atto dal regime.
«Deplora ma continua a fare affari con quel regime. Gli affari contano più dei diritti. Il petrolio più della libertà rivendicata dal popolo iraniano. È la doppia morale dell’Occidente: a parole si esaltano i principi di democrazia, nei fatti si continuano a sostenere, o comunque a non intaccare, regimi che della democrazia fanno scempio quotidiano».
Il simbolo di un’onda che non si arresta è Neda Agha Soltan, la giovane iraniana uccisa in una delle prime manifestazioni di piazza.
«Ho pianto per Neda. E allo stesso tempo mi sono sentita orgogliosa, come donna, come musulmana, Orgogliosa perché sono le donne il motore di questa rivolta, sono loro esprimerne lo spirito più alto. Perché sono le donne ad essere doppiamente vittime di un regime teocratico e sessista come è quello iraniano. La loro è una doppia ribellione. Mi lasci aggiungere, che se il premio Nobel per la Pace avesse ancora un senso, questo premio dovrebbe essere assegnato a Neda e alle donne iraniane».
Perché le donne fanno paura al potere come ai fondamentalisti?
«Fin dall’inizio della storia dell’umanità,i governanti, ma anche i fondamentalisti e gli stessi Dei maschili, erano contro le donne. Perché erano contro Eva, la nostra progenitrice. Perché lei ha mangiato dall’albero della conoscenza, e quindi e diventata una peccatrice. Da lì sono cominciate due cose: è iniziata l’oppressione delle donne, e contemporaneamente la conoscenza veniva proibita. L’oppressione, la schiavitù sono iniziate con Eva e proseguite con Iside, la divinità femminile della conoscenza. Tutto questo accade perché gli uomini – non solo quelli che esercitano la loro protervia maschilista in nome di Allah - hanno paura delle donne, e hanno paura perché le donne sono più intelligenti degli uomini. Eva era più intelligente di Adamo... Per questo si ha paura delle donne in una società che è, al tempo stesso, patriarcale, capitalista e teocratica».

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