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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Todd Hasak-Lowy, Prigionieri - Hanna Krall, Il re di cuori 29/06/2009

Prigionieri    Todd Hasak-Lowy
Traduzione di A. Olivieri Sangiacomo
Minimum Fax Euro 16,00

Il re di cuori     Hanna Krall
Traduzione di Valentina Parisi
Cargo Euro 16,50

Anche la narrativa ebraica ha, nel suo piccolo, alcuni luoghi comuni che la contraddistinguono. Non tanto nel senso di stereotipi o note di monotonia, quanto sul piano di quel tessuto mentale sul quale s’imbastisce l’invenzione letteraria. Todd Hasak-Lowy e Hanna Krall, ad esempio, sono assai distanti fra loro, posti quasi su due differenti universi. Il primo è nato nel 1969 a Detroit, insegna lingua e letteratura ebraica all’Università della Florida: di lui Minimum Fax ha appena pubblicato il primo romanzo, Prigionieri, la storia un poco surreale di uno sceneggiatore americano di successo, con moglie avvenente e figlio in procinto di bar mitzwah. Ed è proprio la maggiorità religiosa del pargolo che, merito (o colpa) di un rabbino pedagogo decisamente sopra le righe, finisce per mettere in crisi il nostro eroe, la sua sceneggiatura e svariate altre cose. Hanna Krall è nata invece a Varsavia nel 1937, ed è una delle più celebri scrittrici polacche di questa nostra contemporaneità. Alcuni suoi libri sono stati pubblicati da La Giuntina, ma ora vede la luce in italiano Il re di cuori per Cargo edizioni. E’ la storia di una donna che attraversa la guerra, il ghetto, le persecuzioni, il campo di sterminio, spinta dall’unico, tenace impulso di salvare il marito tanto amato. La Krall costruisce questa storia sulla base di una testimonianza orale, e vera: “Una signora, che non conoscevo, mi telefonò per annunciarmi che un’altra signora, che entrambe non conoscevamo, avrebbe desiderato un libro che parlasse di lei. Questo libro avrei dovuto scriverlo io”. Il personaggio che Krall inventa incastonandolo nella realtà inimmaginabile della Polonia nazista, è davvero potente nella sua capacità di rappresentare – attraverso un’unica voce – tutto l’inferno di allora. Izolda conosce Szajek solo perché, nel ghetto di Varsavia, passa a casa di una sua amica per infilare nelle scarpe un paio di lacci nuovi. Da quel momento vivrà per lui, per lui cambierà identità trasformandosi in una specie di ariana (benché invano): “Il suo dolore è peggiore, perché lei è peggiore. Tutto il mondo la pensa così e non è possibile che tutto il mondo si sbagli nella percezione del bene e del male, o meglio, nella percezione di quel che è meglio e di quel che è peggio. E lei è peggiore, ed è per questo che è travestita”. Con il romanzo di Hasak-Lowy ci troviamo, apparentemente, a una distanza abissale. Daniel Bloom vive in un mondo ovattato di benessere, è narcisista perchè se lo può permettere, visto che è anche molto brillante. D’accordo, sul momento è lievemente in calo di ispirazione, ma nulla di preoccupante. E’ circondato da persone interessanti, come il suo camaleontico agente che cambia nome a ogni piè sospinto. Però un giorno Daniel decide di andare in Israele (con suo figlio che non ne vorrà sapere), e tutti fanno del loro meglio per considerarlo svitato. Anche lui, del resto, nutre qualche perplessità su tale improvvida decisione. Nella sostanza, il povero Daniel capisce che, per dirla banalmente, è in cerca di se stesso. Parafrasando al proposito una battuta del libro, a Daniel ogni tanto capita di amare le cose che odia. E viceversa. E il rabbino incaricato della preparazione di suo figlio per il bar mitzwah, che ben presto diventa una specie di guru personale un poco recalcitrante ma certo non in carenza d’inventiva, di sicuro non gli facilita le cose. Eppure questi due libri hanno, nella filigrana della narrazione, un tessuto connettivo comune. Fatto di un certo sarcasmo. Della capacità quasi virtuosistica di giocare con la realtà. Krall usa un linguaggio sincopato, che spesso assomiglia a una sceneggiatura. HasakLowy, che dichiara di avere per maestro il fluviale scrittore israeliano Yaakov Shabtai, ha invece una prosa esuberante. Ma l’effetto, sulla pagina, è di pari incisività. Il lettore è spiazzato in entrambi i casi dalle incursioni dell’ironia anche nei momenti più tragici, dal senso di spaesamento che abita saldamente in entrambi i libri. “Daniel vuole solo andar via: questo desiderio urgente, a lungo ignorato ma negli ultimi tempi bene accetto, così sorprendentemente chiaro, ha fatto passare in secondo piano la destinazione e persino l’identità del suo compagno di viaggio”. Sono scritture erranti, insomma, nell’inquietudine che diventa linfa narrativa. Uno stato d’animo che è specchio del dramma in Krall, agiato passatempo in Hasak-Lowy, ma il cui effetto stilistico non risulta troppo dissimile: come se scrivere da diverse estremità del mondo portasse inevitabilmente a un improbabile ricongiungimento.

Elena Loewenthal
Tuttolibri – La Stampa


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