Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 28/06/2009, a pag. 1-2, l'articolo di Hamid Karzai, presidente dell'Afghanistan, dal titolo " Piano Marshall per l'Afghanistan " e, a pag. 3, l'articolo di Emanuele Novazio dal titolo " Il G8: ora attenti al voto di Kabul ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " L’America cambia strategia sull’oppio ". Ecco gli articoli:
La STAMPA - Hamid Karzai : " Piano Marshall per l'Afghanistan "
Hamid Karzai
La linea Durand, tracciata nel 1893 dagli inglesi a seguito della seconda guerra anglo-afghana, ha spaccato l’Afghanistan. Per soffocare il senso di identità comune di un intero paese e il patriottismo e l’orgoglio delle tribù Pashtun, gli amministratori coloniali promossero anche l’estremismo religioso.
Lo Stato che seguì il dominio coloniale britannico continuò questa politica. Purtroppo, la risposta occidentale all’invasione dell’Unione Sovietica nel 1979 spinse attivamente l’estremismo nella regione.
Decidendo di sostenere i gruppi radicali locali ed esterni insieme alle principali organizzazioni afghane di Mujaheddin contro i sovietici, l’Occidente e i suoi alleati crearono ciò che oggi è una delle più gravi minacce per la sicurezza internazionale. Agli estremisti, che erano favoriti rispetto alla massa della resistenza afghana, furono date le risorse non solo per combattere i sovietici ma anche per mettere a punto un programma politico violento per minare l’ordine sociale tradizionale e creare campi di addestramento mimetizzati da madrasse. Questi campi di addestramento continuano a sfornare un flusso costante di giovani con posizioni radicali e molto proni alla manipolazione.
Dopo il ritiro sovietico dall’Afghanistan, continuarono i legami profondi tra gli estremisti locali e le reti terroristiche internazionali. Aiutati e istigati da elementi all’interno delle istituzioni statali e finanziati da una rete internazionale di sostenitori, questi gruppi hanno acquisito capacità che vanno ben oltre Afghanistan e Pakistan.
Per impedire a questa minaccia di diffondersi ulteriormente e di creare maggiore scompiglio nella regione e nel mondo, si deve adottare un approccio su tre fronti.
Innanzitutto, i Paesi all’interno e all’esterno della regione devono riconoscere la gravità della minaccia rappresentata da incessanti attività da parte dei terroristi e dai trafficanti di droga nella regione. Per combattere la piaga che questi rappresentano per il benessere e la sicurezza di tutti noi, dobbiamo impegnarci con sincerità a lavorare insieme. Possiamo riuscire nello sforzo solo se coloro tra noi che considerano sponsorizzare l’estremismo uno strumento di politica capiscono che esso non solo minaccia la sicurezza degli altri ma mette anche in pericolo, come già evidente, la loro stessa sicurezza.
In secondo luogo, i terroristi devono essere stanati dai loro rifugi sicuri. Questo richiederà la distruzione di nascondigli, delle reti di comunicazione e delle rotte sulle quali passano i rifornimenti. Al contempo, tuttavia, bisogna essere molto accorti a non provocare vittime tra i civili. Fondamentalmente, tuttavia, queste aree non possono essere riconquistate solo dalle forze straniere, possono essere rese sicure solo migliorando di molto le risorse e le capacità delle forze di sicurezza locali, rivitalizzando le strutture sociali tradizionali e riguadagnando la fiducia della popolazione.
In terzo luogo, si deve affrontare la straziante povertà dell’area e la mancanza quasi totale di servizi di base per la gente. Un’area che ha patito decenni di guerra, di distruzione fisica e sociale ha bisogno di qualcosa che somigli molto a un Piano Marshall. Un tale programma di assistenza a lungo termine favorirebbe la crescita economica e offrirebbe servizi di stato di base, in particolare per una migliore istruzione, salute e migliore occupazione. Soprattutto, deve esserci un impegno per la creazione di uno Stato di diritto e per il rispetto dei diritti umani della popolazione. L’impegno internazionale richiesto deve essere in termini di decenni piuttosto che di anni.
Chiaramente, un’attuazione con risultati positivi di questo approccio triplice richiederà l’impegno da parte della comunità internazionale a mettere a disposizione sostanziose risorse finanziarie e politiche per l’Afghanistan e il Pakistan. Senza una tale strategia globale e senza sufficienti risorse per renderla impresa di successo, il mondo si troverà di fronte a una serie di crisi sempre più ampie che porranno una minaccia anche maggiore non solo alla regione ma a tutto il mondo.
L’Afghanistan ha già fatto immensi sacrifici per combattere il terrorismo internazionale. Seguirà la rotta intrapresa fino a quando questa piaga, che perpetua insicurezza e instabilità nella nostra regione, non verrà eliminata. L’Afghanistan continuerà a sviluppare relazioni sempre migliori e più profonde con i suoi vicini al fine di combattere il credo estremista di odio e distruzione che minaccia la sicurezza dei popoli ben oltre la nostra regione. Per raggiungere questi obiettivi così importanti l’Afghanistan continuerà a cercare la partnership e la collaborazione dei suoi amici e alleati all’interno della comunità internazionale.
La STAMPA - Emanuele Novazio : " Il G8: ora attenti al voto di Kabul "
Afghanistan
Il G8 da il via libera alle aperture di Hamid Karzai verso i «fratelli talebani», che il presidente aghano ha invitato ad andare a votare alle presidenziali di agosto. La strategia di Karzai per raggiungere una riconciliazione nazionale a Kabul va «fortemente incoraggiata», dichiara Franco Frattini a conclusione della tre giorni triestina che si è concentrata sul dossier afghano-pakistano e sulla crisi iraniana. Dopo l’esperienza di Teheran, i ministri hanno auspicato che le elezioni presidenziali «siano credibili», «in condizioni di sicurezza per un risultato legittimato», ha detto Frattini. «Bisogna distinguere, nella galassia talebana, fra i gruppi vicini ad al Qaeda e quelli che possono essere ricondotti nella legalità in funzione di una strategia di pacificazione», sottolinea il ministro degli Esteri italiano anche a nome dei colleghi.
Certo, la mancata presenza di Teheran ha privato la riunione di Trieste - che ieri è stata interamente dedicata all’esame della normalizzazione della regione «AfPak» - di un interlocutore importante. «Un’occasione mancata per l’Iran», commenta il capo della Farnesina: la Repubblica Islamica «dovrà adesso dimostrare di volersi impegnarsi non soltanto a livello bilaterale», come già avviene con l’Afghanistan. I suoi interessi nella regione, «almeno in teoria, coincidono» infatti con quelli occidentali. Basta pensare al pericolo droga: l’Iran è la prima destinazione del traffico di stupefacenti provenienti dall’Afghanistan, il 6% della sua popolazione è tossicodipendente, un record mondiale.
Frattini conferma inoltre che i nostri militari a Herat - dove Afghanistan e Iran condividono oltre 600 chilometri di confine - sottolineano l’importanza della cooperazione operativa con gli iraniani, che procede da tempo, ma non è «organizzata». Se Teheran avesse partecipato alla conferenza, sarebbe stato invitato a renderla più «strutturata».
Con o senza l’Iran - che ieri ha protestato per le critiche alla repressione delle dimostrazioni di piazza espresse venerdì dagli otto Grandi («interferenze nelle libere elezioni iraniane», ha lamentato un portavoce del ministero degli Esteri) - la soluzione della crisi afghano-pakistana è legata secondo il G8 al successo di una «cooperazione regionale» allargata ai Paesi musulmani, a quelli confinanti, a India e Cina, oltre che ai donatori e alle istituzioni internazionali come le Nazioni Unite e la Banca Mondiale. Ieri a Trieste erano una quarantina le delegazioni impegnate nell’esame del dossier afghano, con l’obiettivo di dare «coerenza e concretezza» agli sforzi della comunità internazionale, ai quali spesso è mancato il coordinamento.
Il G8 allargato ha selezionato alcuni settori di impegno, che saranno sottoposti al vertice dell’Aquila. Dal controllo delle frontiere alla lotta ai traffici illeciti, la droga prima di tutto, che alimentano i signori della guerra: i Paesi della regione si sono impegnati ad agire «in maniera raccordata». Fino allo sviluppo economico e sociale: rimuovendo barriere e restrizioni al commercio, sostenendo gli investimenti in infrastrutture e nello sfruttamento delle risorse naturali. E sostenendo «l’agricoltura legale», con finanziamenti a colture redditizie che sostituiscano l’oppio. Sullo sfondo, resta naturalmente il problema della sicurezza, come l’attacco di ieri a una pattuglia di italiani conferma. Anche se, commenta il capo della nostra diplomazia, «la sicurezza è uno strumento, non il fine».
Frattini ha confermato che nessun cittadino iraniano ha chiesto asilo nella nostra ambasciata di Teheran. Dopo le violenze contro i dimostranti, tuttavia, l’Italia ha concesso decine di visti - validi solo per il nostro Paese - a iraniani sfuggiti alla repressione. Frattini chiede però un «forte coinvolgimento dell’Europa», e «una sola voce» dei Ventisette su un tema che rischia di infiammare ulteriormente le relazioni fra Repubblica Islamica e Paesi occidentali.
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : "L’America cambia strategia sull’oppio "
Richard Holbrooke
TRIESTE — Bill il chimico era arrivato a Kabul due anni fa. Nominato da George W. Bush per il passato da ambasciatore in Colombia e soprannominato per la tattica prediletta contro i cartelli della droga: irrorare dall'alto le coltivazioni (cocaina od oppio) con gli spray diserbanti. Dalla fine di aprile, William Wood non è più ambasciatore in Afghanistan e con lui se n'è andata anche la vecchia strategia americana. Perché c'è un nuovo plenipotenziario di Barack Obama nella regione, che si chiama Richard Holbrooke e con il suo stile aggressivo non ha mai nascosto le critiche alle scelte del presidente repubblicano. «Il programma per la lotta al traffico di droga — scriveva sul Washington Post nel 2008 — costa 1 miliardo di dollari l'anno ed è probabilmente il progetto meno efficace nella storia della politica estera degli Stati Uniti. Non è solo sperperare i soldi, rafforza i talebani e Al Qaeda».
Ripete le stesse parole a Trieste, dov'è intervenuto al G8 dei ministri degli Esteri. «Sradicare serve a distruggere qualche ettaro, per il resto non fa nulla — dice Holbrooke in un'intervista alla Associated Press —. Abbiamo deciso di spostare i nostri investimenti e gli sforzi a piani per contrastare i trafficanti e imporre la legge. Soprattutto vogliamo incentivare i contadini a coltivare prodotti alternativi. Gli agricoltori non sono i nemici, devono trovare un modo per vivere. Fino ad ora li abbiamo spinti ad allearsi con i talebani». Il documento finale approvato dagli Otto sostiene «lo sviluppo dell'agricoltura, che dia posti di lavoro, alzi i livelli di reddito e offra possibilità diverse dalla coltivazione dei papaveri».
L'oppio afghano copre il 93 per cento della produzione mondiale e frutta ai fondamentalisti oltre 300 milioni di dollari l'anno, tra estorsione in cambio di protezione e tasse imposte ai contadini. I guadagni vengono reinvestiti per finanziare la guerra contro le truppe occidentali. Dopo l'attacco americano del 2001, le distese dei campi di papaveri sono cresciute fino a 160.000 ettari. Dalla fine di agosto, attorno al periodo delle elezioni presidenziali, ventimila soldati verranno inviati nelle aree di Helmand, Kandahar e Zabul, le province dove si concentra l'«oro bianco» per l'eroina. «Distribuire i semi per il frumento ai contadini non basta — spiega Vanda Felbab- Brown della Georgetown University al quotidiano Usa Today —. Il punto è garantire accesso ai finanziamenti e alla terra». Antonio Maria Costa, direttore dell' Unodc, l'ufficio Onu per la lotta alla droga e alla criminalità, appoggia la svolta americana. «La distruzione dei campi come avviene in Colombia, dove vengono eliminati oltre 230 mila ettari l'anno, è efficace. In Afghanistan, quest'anno ne sono stati sradicati solo 6.500: così non funziona ed è anzi controproducente».
L'International Council on Security and Development, un pensatoio strategico con sedi a Londra e Kabul, ha proposto di legalizzare la coltivazione di oppio da rivendere alle industrie per produrre morfina. «I farmaci a base di oppiacei scarseggiano per l'ottanta per cento della popolazione mondiale», commenta Reza Aslan sul Daily Beast, il giornale online di Tina Brown. Costa la considera una vecchia idea, ormai abbandonata anche da chi l'aveva lanciata. «La domanda mondiale non è sufficiente, perché nei Paesi in via di sviluppo non c'è purtroppo ancora una cultura dell'uso degli antidolorifici e con la produzione annuale afghana copriremmo la richiesta di morfina per tre anni».
Per inviare la propria opinione a Stampa e Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti