Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Anp e Hamas d'accordo solo su una questione Attaccare Netanyahu
Testata:L'Unità - Il Manifesto Autore: Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio Titolo: «Netanyahu dimostri di volere la pace. Fermi le colonie - Caute aperture a Obama. Non all’Anp»
Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 26/06/2009, a pag. 29, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Salam Fayyad dal titolo " Netanyahu dimostri di volere la pace. Fermi le colonie " e dal MANIFESTO, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Caute aperture a Obama. Non all’Anp " con le dichiarazioni di Khaled Meshaal preceduti dal nostro commento. Ecco gli articoli:
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Netanyahu dimostri di volere la pace. Fermi le colonie "
Salam Fayyad
Netanyahu ha fatto agli arabi delle proposte che vengono così liquidate da Salam Fayyad, premier dell'Anp :" Il primo ministro israeliano – rileva Fayyad – parla sì di uno Stato palestinese, ma poi fa seguire a questa “apertura” tali e tanti vincoli da svuotarne di ogni significato concreto. Penso alla questione dei confini, allo status di Gerusalemme, al diritto al ritorno, come al riconoscimento pregiudiziale dello Stato d'Israele come Stato ebraico. Il signor Netanyahu gioca con le parole, ma i fatti, purtroppo, indicano ancora una volontà di rottura ". Nessuna delle condizioni avanzate da Netanyahu è accettabile, secondo Fayyad. A partire dal riconoscimento di Israele come Stato ebraico. Diversamente da quanto ritiene Fayyad, mai contraddetto da Udg, Netanyahu non "gioca con le parole". Il suo impegno per la pace con gli arabi e per la fondazione di uno Stato palestinese è reale. Non è Israele a opporsi alla nascita dello Stato palestinese, ma gli arabi. L'arroganza di Fayyad ne è una dimostrazione. Avanza solo pretese, senza prendere in considerazione nessuna delle proposte di Netanyahu. Ecco l'intervista:
Il messaggio inviato a Benjamin Netanyahu è chiaro. «Israele deve fermare ogni forma di insediamento e non può continuare a insistere per la loro “crescita naturale”. Questo è un punto per noi dirimente su cui misurare le reali intenzioni del governo israeliano». Il giorno dopo la missione in Europa del primo ministro israeliano, la parola al premier dell'Autorità nazionale palestinese, Salam Fayyad. «Il primo ministro israeliano – rileva Fayyad – parla sì di uno Stato palestinese, ma poi fa seguire a questa “apertura” tali e tanti vincoli da svuotarne di ogni significato concreto. Penso alla questione dei confini, allo status di Gerusalemme, al diritto al ritorno, come al riconoscimento pregiudiziale dello Stato d'Israele come Stato ebraico. Il signor Netanyahu gioca con le parole, ma i fatti, purtroppo, indicano ancora una volontà di rottura». Signor primo ministro, nel suo viaggio in Europa, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito che Israele è disposto a prendere in considerazione uno Stato palestinese smilitarizzato. «Il punto non è la smilitarizzazione. Ma sono le altre questioni cruciali su cui il primo ministro israeliano glissa, o peggio ancora, affronta dicendo che su questo non si negozia o su quest'altro lo si fa ma a condizioni che nessun dirigente palestinese, neanche il più disposto al compromesso, potrebbe accettare». A cosa si riferisce? «A questioni dirimenti quali lo status di Gerusalemme, il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi, ai confini dei due Stati e, prima di ogni altra cosa, al nodo degli insediamenti». Gli insediamenti, per l'appunto. Netanyahu rivendica il diritto d'Israele a sostenere la “crescita naturale” degli attuali insediamenti. «Non c'è nulla di “naturale” in quella crescita. La colonizzazione dei territori occupati è stata una costante dei governi israeliani succedutisi in questi anni. La novità politica, in positivo, semmai è un'altra». Quale sarebbe? «Mi riferisco alla determinazione con cui il presidente degli Usa, Barack Obama, pone il blocco degli insediamenti come atto indispensabile per ridare slancio al processo di pace. Il presidente Obama, come peraltro la segretaria di Stato Hillary Clinton hanno chiarito molto bene cosa intendano per blocco degli insediamenti, e , lo stesso hanno fatto leader europei come il presidente francese Nicolas Sarkozy: non solo la non costruzione di nuovi, ma anche lo stop alla crescita degli attuali. La nostra posizione coincide pienamente con quella del presidente Obama». Più in generale, qual è la richiesta che Lei avanza per riaprire un tavolo negoziale con Israele? «Una scrupolosa realizzazione della Road Map (il Tracciato di pace del Quartetto – Usa, Ue, Onu, Russia – per il Medio Oriente, ndr.). Da qui occorre partire e riprendere i negoziati dal punto in cui erano giunti con il precedente governo israeliano (guidato da Ehud Olmert, ndr.). Non è pensabile, e comunque per noi è inaccettabile, azzerare tutto solo perché in Israele è cambiato il governo». Dal dialogo con Israele, a quello interpalestinese. Lei ha molto insistito in queste settimane sulla necessità di una unione nazionale «L'unità è vitale per dare più forza alla causa palestinese. Per questo ho fatto appello al popolo palestinese perché si unisca attorno al progetto di stabilire uno Stato e di formare le sue istituzioni. Così lo Stato della Palestina potrà diventare realtà in un arco di tempo non lungo, alla fine dell'anno prossimo o al massimo fra due anni. E quando parlo di Stato palestinese, mi riferisco alla Cisgiordania, a Gerusalemme Est, e a Gaza. Perché mai e poi mai accetteremo di spaccare in due il nostro territorio e il popolo palestinese. Ciò che vogliamo è uno Stato di cui i palestinesi possano andare fieri: questo è il nostro obiettivo». Quando parla del popolo palestinese si riferisce anche alla diaspora? «Certo che sì. So a cosa vuole alludere: al diritto al ritorno. Su questo punto voglio essere molto chiaro: non è nostra intenzione usare i rifugiati per alterare gli equilibri interni a Israele. Un compromesso che contempli le rispettive necessità ed aspettative, è possibile, ed è già stato materia di discussione. E Netanyahu lo sa bene». Almeno sulla smilitarizzazione è possibile un'intesa? «Siamo disposti a discuterne senza pregiudiziali. Ma lo stesso deve fare Israele sugli altri punti chiave di un accordo di pace globale, a cominciare dagli insediamenti e dai confini. L'unilateralismo così come la politica dei fatti compiuti non aiutano certo il dialogo».
Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Caute aperture a Obama. Non all’Anp"
Khaled Meshaal
Ecco le dichiarazioni di Meshaal, leader del movimento terrorista Hamas riguardo alla pace con Israele, la nascita dello Stato palestinese e la liberazione di Gilad Shalit : " ha ribadito di poter accettare la creazione di uno Stato palestinese nei territori occupati da Israele nel 1967 (Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est) ma ha escluso il riconoscimento di Israele da parte del suo movimento.(...) Nel terzo anniversario della cattura del caporale israeliano Ghilad Shalit, Meshaal ha chiesto «uno scambio serio di prigionieri», altrimenti, ha avvertito, il militare «avrà lo stesso destino dei suoi predecessori», ". Niente riconoscimento di Israele (non è specificato se si riferisca allo Stato di Israele in sè o solo al suo carattere ebraico) e un ricatto su Gilad Shalit. E' sempre più evidente cosa interessa ai leader di Hamas. Il primo obiettivo è la cancellazione di Israele. Ecco l'articolo:
KhaledMeshaal, leader di Hamas in esilio a Damasco, ieri ha ribadito di poter accettare la creazione di uno Stato palestinese nei territori occupati da Israele nel 1967 (Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est) ma ha escluso il riconoscimento di Israele da parte del suo movimento. Il discorso era atteso: le indiscrezioni anticipavano un discorso rivolto al presidente Obama. Il leader di Hamas in esilio invece si è tenuto nei binari delle posizioni già note e ha dedicato spazio soprattutto ai motivi alla spaccatura interna palestinese, alla vigilia della ripresa, domani al Cairo, dei colloqui per la riconciliazione tra il movimento islamico e il partito Fatah del presidente dell’Anp AbuMazen. «Apprezziamo il nuovo linguaggio usato da Obama e lo consideriamo un primo passo verso un dialogo diretto e senza condizioni (tra Usa e Hamas)», ha dichiarato Meshaal. «Il discorso tenuto da Obama (il 4 giugno al Cairo) sul congelamento degli insediamenti israeliani èmolto positivo, ma non è sufficiente», ha aggiunto, «l’Amministrazione Usa e il Quartetto devono capire che la maggior parte del popolo palestinese non compra illusioni». Il capo di Hamas ha avuto parole dure verso l’Anp di AbuMazen, pur sottolineando l’urgenza di una riconcializione palestinese. Ha sminuito il significato della recente liberazione di alcuni militanti islamici in Cisgiordania e ha puntato l’indice contro gli apparati di sicurezza dell’Anp che, ha detto, «sono l’ostacolo principale alla riconciliazione ». In Cisgiordania, ha insistito, sono in atto «pratiche vergognose dell’Anp sotto gli occhi del generale Dayton». Obama deve «richiamare Dayton nel suo paese» ha esortato. Nel terzo anniversario della cattura del caporale israeliano Ghilad Shalit, Meshaal ha chiesto «uno scambio serio di prigionieri», altrimenti, ha avvertito, il militare «avrà lo stesso destino dei suoi predecessori», ossia di altri soldati israeliani scomparsi e mai più tornati vivi in patria.
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