Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/06/2009, a pag. 48, l'articolo di Bernard-Henri Lévy dal titolo " Il re è nudo e i giovani lo sfidano: in Iran siamo solo all’inizio " a pag. 3, la cronaca di Andrea Nicastro dal titolo " Braccialetti verdi, sospesi 4 giocatori: hanno sfidato il regime sul campo di calcio " e, a pag. 2, l'intervista di Viviana Mazza a Ramin Jahanbegloo, filosofo iraniano, dal titolo " È un movimento democratico gandhiano ". Dalla STAMPA, a pag. 15, la cronaca di Maurizio Molinari dal titolo " Obama alza la voce: “Violati i diritti umani” " e, a pag. 14, l'intervista di Marina Verna a Hamid Sadr, scrittore iraniano che vive a Vienna dal 1979, dal titolo " Fino a ieri erano manifestazioni laiche. Ora si rischia il caos ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " L'undicesimo giorno di Obama ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 15, l'intervista di Alix Van Buren a Hooman Majd, scrittore iraniano dal titolo " Gli Usa costretti alla prudenza come per la Cina di Tienanmen " e quella di Francesca Caferri al mullah Kadibar dal titolo " Il clero non sta con Khamenei la volontà popolare va rispettata " precedute dal nostro commento. Dal RIFORMISTA, a pag. 13, l'intervista du Joseph Zarlingo a Alastair Crooke, esperto di movimenti politici musulmani, consigliere del governo britannico ed editorialista del Guardian, dal titolo " La vera contesa è sull'eredità di Khomeini ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Bernard-Henri Lévy : " Il re è nudo e i giovani lo sfidano: in Iran siamo solo all’inizio "
Neda Soltan
Qualunque cosa accada, che la protesta divampi incontrollata o al contrario segni il passo, che finisca per trionfare o si estingua, terrorizzata dal regime, colui che d’ora in poi non merita altro che l’appellativo di presidente non eletto, Ahmadinejad, è destinato a essere un presidente da strapazzo, illegittimo, in declino.
Qualunque cosa accada, qualunque sia l’esito della crisi scoppiata quindici giorni fa per lo scandalo di una frode elettorale di cui non si può più seriamente dubitare, nessun dirigente iraniano oserà comparire sul palcoscenico mondiale, né presentarsi ai negoziati con Obama, Sarkozy, Merkel, senza essere circondato non già dall’aureola di luce sognata da Ahmadinejad, come disse durante il suo discorso alle Nazioni Unite nel 2005, bensì dalla nube sulfurea che appesta gli imbroglioni e i macellai.
Qualunque cosa accada, l’ayatollah Khamenei, successore di Khomeini e, a tal titolo, guida suprema del regime, sarà costretto ad abbandonare il suo ruolo di arbitro, per essersi sfacciatamente schierato per una fazione contro le altre e avrà pertanto perso, anche lui, quel che restava della sua autorità: «Solo Dio conosce il mio voto», aveva ribattuto con prudenza, quattro anni fa, a quanti lo invitavano sin d’allora a denunciare i brogli. «Nel nome di Dio misericordioso, mi impegno a imbavagliare, massacrare e sciogliere ogni assembramento» ha risposto stavolta agli ingenui che si immaginavano che fosse lì per far rispettare la Costituzione.
Qualunque cosa accada, il blocco degli ayatollah oggi ha messo in bella mostra le feroci divisioni che lo lacerano: da una parte, quelli che spalleggiano Khamenei e approvano la decisione di soffocare il movimento nel sangue; dall’altra, quelli che minacciano, come l’ex presidente Rafsanjani, capo della potentissima Assemblea degli esperti, l’eruzione di un vero e proprio vulcano di rabbia, se non si terrà conto dell’ondata di proteste; e altri ancora, come il grande ayatollah Montazeri, confinato agli arresti domiciliari a Qom, che invoca il riconteggio dei voti e il lutto nazionale per le vittime della repressione. Per non parlare poi dei vertici religiosi dell’«Ufficio dei seminari teologici», che non temono più di formulare l’ipotesi, ieri ancora sacrilega, di dimissionare Khamenei per sostituirlo con un «Consiglio di guida».
Qualunque cosa accada, e al di là delle schermaglie di apparato, il popolo si sarà per sempre dissociato da un regime dal fiato corto e colpito al cuore.
Qualunque cosa accada, una gioventù che si credeva convertita ai principi dell’islam politico e che, stando ai resoconti, appena un mese fa, al ritorno da Ginevra di Ahmadinejad, pare avesse riservato al presidente non eletto un’accoglienza trionfale, questa gioventù ha già proclamato a gran voce di vergognarsi di un simile presidente.
Qualunque cosa accada, ci saranno a Teheran, a Tabriz, a Isfahan, a Zahedan, a Ardebil, milioni di giovani che nel breve spazio di qualche giorno saranno diventati più grandi dei loro anni, come il timido Mousavi, e avranno compreso che si poteva sfidare un potere con le spalle al muro a mani nude, senza provocazioni né violenze.
Qualunque cosa accada, si è verificato un avvenimento straordinario, il miracolo di un’insurrezione popolare che, nelle presenti circostanze, forte del suo mimetismo cieco e quasi inconsapevole di sé, come l’Angelo della Storia, pensa di andare in avanti mentre, in realtà, si guarda indietro. Un avvenimento che sembra riproporre, ma al contrario, le scene descritte trent’anni fa nelle stesse strade, da un Michel Foucault lontanissimo dall’immaginare che la vera rivoluzione era ancora a venire e che sarebbe stata l’opposto esatto di quella da lui narrata. Qualunque cosa accada, nel calore delle manifestazioni pacifiche si è forgiato un corpo politico che incarna un attore nuovo che fa il suo ingresso in scena e senza il quale non sarà più possibile scrivere la storia successiva della nazione.
Qualunque cosa accada, il bel viso di Neda Soltani, uccisa a bruciapelo lo scorso sabato per mano di un sicario dei Basij, come pure le immagini dei ragazzini pestati a morte dagli squadroni dei guardiani della rivoluzione e degli acrobati in motocicletta, i video dei cortei sconfinati, impressionanti per la calma e la dignità, avranno fatto grazie a Twitter il giro del cyberpianeta e pertanto del mondo intero.
Qualunque cosa accada, il re è nudo.
Qualunque cosa accada, il regime degli ayatollah è condannato, a breve o lungo termine che sia, a scendere a patti o a scomparire. Si dimentica sempre che l’altra rivoluzione, la prima, quella che trent’anni fa mise in piedi questo nazional-socialismo all’iraniana, durò quasi un anno intero: perché mai dovrebbe essere altrimenti per questa di oggi, democratica, rispettosa della legalità, che muove i primi passi? La terra trema a Teheran e scommetto che siamo solo all’inizio.
CORRIERE della SERA - Andrea Nicastro : " Braccialetti verdi, sospesi 4 giocatori: hanno sfidato il regime sul campo di calcio "
Repressione dei manifestanti
Le notti di Teheran si fanno silenziose. «C'è una sorta di non dichiarato stato d'assedio — scrive via e-mail un ingegnere dei quartieri occidentali —. Ci sono centinaia di posti di blocco, pattuglie che circolano in continuazione per evitare i falò di spazzatura che bloccavano il traffico fino a domenica sera. Le auto o anche i passanti a piedi vengono perquisiti. Basiji e agenti dei servizi segreti entrano negli appartamenti, interrogano, cercano, arrestano. C'è tanta paura tra la gente per la violenza e l'odio che si sono visti nei giorni scorsi da parte delle forze di sicurezza. Molti preferiscono restarsene a casa. Persino il grido 'Allah Akbar' è diventato pericoloso ». L'aveva chiesto il candidato dato per sconfitto dal computo ufficiale, Mir Hussein Mousavi: ogni sera dalle 22 alle 23 salite sui tetti e gridatelo nel buio.
«Sembrava una scelta furba, esente da rischi, alla portata di tutti, come accendere i fari dell’auto in pieno giorno, gesti innocui pur di continuare a protestare — racconta l'ingegnere nascosto sotto uno pseudonimo —. Invece squadre di basiji hanno cominciato ad avvisare la gente che chi è scoperto a urlare 'Dio è grande' può venir arrestato ». Un paradosso, per una Repubblica che si definisce islamica. Ma come ha detto al Corriere il dissidente Akbar Ganji l'Iran sta cambiando pelle. Meno islamica, più militare.
Il clima notturno si ripete di giorno. Il regime sta mettendo in campo il suo strabordante apparato di sicurezza. E la folla fatica a radunarsi. I siti dell’opposizione all’estero segnalano la presenza di carri armati parcheggiati in almeno due delle piazze principali, ma non ci sono conferme indipendenti. In ogni caso, fino ad ora, non sono stati necessari.
A frenare le proteste sono bastati i branchi di motociclisti in divisa nera e randello facile, gli spari ad altezza uomo, le centinaia e centinaia di arresti. Il regime pare abbia anche istituito dei tribunali speciali per processi in direttissima contro i manifestanti arrestati. Garanzie e avvocati sembrano non essere tra le caratteristiche delle nuove corti. Ci sono anche le difficoltà tecniche per comunicare. Internet funziona sempre peggio. I siti vengono filtrati o cancellati, ma quel che è peggio viene prosciugata la fonte che li alimenta. L'intera redazione del quotidiano Kalimeh Saiz, la «Parola verde» che sosteneva Mousavi, è stata trasferita in prigione. Non può diffondere quel che sembra essere l’appello di Mousavi per l’ennesima manifestazione: domani alle 16 davanti al Parlamento. Appello che circola sulla Rete, ma senza il timbro dell’ufficialità. La protesta è in fase calante. Ma molti ricordano che ci volle un anno di cortei e sangue per cacciare lo scià. Se rivoluzione sarà, non sarà uno sprint, piuttosto una maratona.
Sono tantissimi i blogger che non tornano a casa per paura di essere arrestati. Basta scattare una foto con il telefonino per essere sospettati. E persino i calciatori della nazionale iraniana sembrano dover pagare l’insubordinazione. Mercoledì scorso l’Iran giocava in Sud Corea per la qualificazione ai Mondiali e 4 giocatori entrarono in campo con un polsino verde. Verde come il colore della protesta contro i presunti brogli elettorali. Erano i calciatori più rappresentativi e amati. Dei quattro solo il capitano ha avuto il fegato di fare anche il secondo tempo con il verde al polso.
Secondo il giornale filogovernativo Iran, i quattro sono stati espulsi dalla Federazione Calcio. Sono Ali Karimi, 31 anni, Mehdi Mahdavikia e Vahid Hashemian di 32 e Hosein Ka'abi di 24. Nei giorni scorsi alcuni si erano giustificati dicendo che il verde è il colore dell’Islam. Ma, di questi tempi, neppure gridare «Allah Akbar» è più sicuro in Iran.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama alza la voce: “Violati i diritti umani”
Finalmente Obama ha condannato la repressione dei manifestanti iraniani. E poi?
Barack Obama rende omaggio al «coraggio delle donne iraniane», tradisce un attimo di commozione parlando del video sull’uccisione della giovane Neda e avverte il governo di Teheran: «Se volete il rispetto della comunità internazionale, dovete prima dimostrare di rispettare il vostro popolo». La conferenza stampa del Presidente degli Stati Uniti alla Casa Bianca è mirata a recapitare messaggi espliciti alla Repubblica Islamica, ai manifestanti e anche al pubblico americano.
Nei confronti di chi guida la repressione a Teheran, Obama indurisce ancora i toni rispetto al comunicato di sabato, nel quale aveva chiesto lo «stop alle violenze»: «Gli Stati Uniti e la comunità internazionale provano choc e indignazione per le minacce, le percosse e le detenzioni». La frase serve ad attestare che la richiesta di fermare le violenze non è stata esaudita. È per questo che i giornalisti gli chiedono «quali saranno le conseguenze per Teheran». Obama non lo dice, «perché non è ancora chiaro quale sarà l’esito» della crisi, ma, tradendo la formazione da giurista di Harvard, ribadisce quali sono i «diritti universali» che il regime degli ayatollah sta violando: «Il diritto di libertà di riunione e il diritto di libertà di parola». Potrebbe essere il terreno scelto dalla comunità internazionale per isolare Ali Khamenei e Mahmud Ahmadinejad, se autorizzassero una repressione stile Tienanmen. «Se il governo iraniano vuole il rispetto della comunità internazionale, deve rispettare i diritti della sua gente». Sono messaggi che il team dei consiglieri, guidato da David Axelrod e Rah Emanuel, ha confezionato per far comprendere a Teheran che la repressione violenta che incombe potrebbe avere un prezzo molto alto.
Subito dopo Obama parla ai manifestanti di Teheran: «Abbiamo visto il coraggio delle donne che si oppongono alla brutalità e alle minacce, e abbiamo visto le immagini lancinanti di una donna sanguinante fino alla morte sulle strade». È il riferimento alla giovane Neda, uccisa dai proiettili dei basiji. Quando parla di lei il Presidente tradisce un attimo di commozione, per dire: «Nonostante gli sforzi del governo iraniano di espellere i giornalisti e isolarsi, potenti immagini e parole ci hanno raggiunto attraverso cellulari e computer, abbiamo visto cosa stanno facendo gli iraniani, chi si batte per la giustizia è sempre dalla parte giusta della Storia». È un sostegno aperto per i manifestanti, ma se Obama non lo afferma a chiare lettere è perché teme di nuocere proprio a loro: «Il governo iraniano accusa la Cia di orchestrare i disordini. Sono accuse false, assurde».
È questo il motivo che porta a rimandare al mittente le richieste dell’opposizione repubblicana di un maggiore coinvolgimento: «Il popolo iraniano è in grado di parlare da solo, noi rispettiamo la sovranità della Repubblica Islamica e non interferiamo». La Casa Bianca resta convinta che spingersi oltre contro Teheran si trasformerebbe in un pericoloso boomerang. Dietro le quinte, intanto, ferve la diplomazia: un’alta delegazione del Pentagono è arrivata a Pechino per definire una posizione comune sulle due crisi nucleari aperte con Iran e Nord Corea.
Il FOGLIO - " L'unidicesimo giorno di Obama "
E l’undicesimo giorno Barack Obama parlò come un neoconservatore, dichiarandosi per la prima volta “sconvolto e indignato” per quello che sta succedendo in Iran e valutando non meglio precisate “conseguenze” se il regime islamico continuasse a insanguinare i diritti universali del suo stesso popolo. Ci ha messo un po’ di tempo, ma alla fine Mr. Cool ha abbandonato le cautele della prima settimana, quando aveva addirittura lodato il senso dello stato dell’Ayatollah Khamenei, sottolineato la sovrapponibilità tra i due contendenti Ahmadinejad e Moussavi e spiegato che non sarebbe stato compito suo mettere becco su una vicenda interna iraniana. Le critiche di destra e di sinistra, il voto unanime del Congresso, l’atteggiamento più duro degli alleati europei, ma soprattutto l’inaspettata ferocia del regime e la coraggiosa tenuta dei rivoltosi hanno convinto Obama a cambiare rotta, malgrado in conferenza stampa abbia provato a convincere i giornalisti di essere stato coerente fin dal primo giorno. Gli Stati Uniti, ora, “condannano duramente le azioni ingiuste”, la “violenza”, il “pugno di ferro”, “le minacce, i pestaggi, le retate” del regime iraniano. I manifestanti di Teheran, ha detto Obama, sono “dalla parte giusta della storia” e “hanno il diritto universale di associarsi e parlare liberamente”. Il regime iraniano, ha continuato Obama, se vuole il rispetto del mondo deve governare “con il consenso, non con la coercizione”. Parole, toni e contesto sembrano presi da un manuale del piccolo neoconservatore o, come ha fatto notare un irriverente giornalista, dall’ultimo discorso di John McCain. Il punto è che Obama sa che non può fare business con gli ayatollah insanguinati di sangue, ammesso che loro ne avessero mai avuto voglia. L’offerta per negoziare pacificamente la questione del nucleare resta in piedi, così come l’invito ai diplomatici iraniani a partecipare ai festeggiamenti del 4 luglio nelle ambasciate americane in giro per il mondo. Ma la risposta di Teheran, ha ammesso il presidente, “non è incoraggiante” e difficilmente cambierà davanti ad hamburger, hot dog e giochi pirotecnici. Le immagini della giovane ragazza uccisa per strada, definite da Obama “strazianti”, sono state il punto di non ritorno anche per un’Amministrazione che crede nella possibilità di convincere gli ayatollah a diventare più buoni. Oggi quell’ipotesi non è più realistica.
CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " È un movimento democratico gandhiano "
Ramin Jahanbegloo
«Stiamo vivendo un momento 'gandhiano' in Iran» dice Ramin Jahanbegloo, il filosofo iraniano incarcerato nel 2006 nel suo Paese con l’accusa di sostenere la «rivoluzione di velluto», oggi docente di Storia contemporanea dell’Iran a Toronto.
Nel suo libro pubblicato a dicembre, Leggere Gandhi a Teheran (Marsilio), Jahanbegloo individuava nella riflessione gandhiana percorsi di nonviolenza per promuovere sviluppi liberali nel mondo islamico, a cominciare dall’Iran. Ma l’«Onda verde» ha superato le sue stesse aspettative.
Mousavi, come dicono alcuni, è un Gandhi islamico?
«No, non lo definirei un Gandhi islamico. Ha mostrato molto coraggio, ma per essere un Gandhi devi essere a un altro livello di psicologia umana, avere qualità profetiche. Forse Mousavi ha preso la via di Gandhi senza rendersene conto. D’altra parte Gandhi diceva che la nonviolenza è antica quanto le montagne: chiunque si trovi davanti all’ingiustizia è spesso portato alla nonviolenza. E così è diventata una strategia rilevante per il movimento iraniano».
Il movimento ha superato dunque Mousavi?
«Se Gandhi adottò l’arcolaio come simbolo della nonviolenza, il movimento in Iran all’inizio ha assunto Mousavi come simbolo, ma poi ha trovato in Neda la madre della resistenza nonviolenta. Queste manifestazioni senza precedenti in 30 anni sono spesso viste come uno scontro tra i sostenitori di Mousavi e Ahmadinejad, ma credo che le richieste vadano oltre le elezioni e oltre Mousavi: è in corso una crisi di legittimità del sistema. C’è una dialettica tra coloro che cercano la democrazia con metodi non violenti e il potere che usa la violenza. E’ un movimento per il cambiamento, fatto soprattutto di giovani, frustrati da economia, politica e società. Gandhi diceva: devi essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Persone come Neda, la studentessa di filosofia caduta sotto i proiettili, mostrano che la gioventù in Iran è abbastanza matura da portare al cambiamento».
Lei credeva che i giovani iraniani non fossero pronti?
«Per lungo tempo, tutti hanno pensato che fossero vittima di quella che chiamo 'sindrome di James Dean': che fossero ribelli senza causa, senza spessore etico, edonisti, individualisti, egoisti. Ma stanno mostrando di possedere il senso della solidarietà, della reciprocità, della nonviolenza» .
L’islam ha nella sua tradizione il fondamento spirituale per una disobbedienza civile non violenta?
«Tutti i tipi di religione e di spiritualità hanno un potenziale non violento accanto a un potenziale violento. Non vedo contraddizione tra spiritualità e nonviolenza».
E l’Iran ha una tradizione simile?
«La rivoluzione del 1979 è stata essa stessa un movimento nonviolento contro la dittatura. Nella storia abbiamo avuto tanti tiranni, ma molti dei nostri eroi sono figure mistiche e religiose non violente ».
Obama dice che «renderà testimonianza » al coraggio degli iraniani. Per il Wall Street Journal è una dichiarazione «gandhiana »: è «la testimonianza che dà potere all’approccio nonviolento rendendo pubblica la sofferenza privata».
«Credo che non sia un approccio 'gandhiano', ma cauto. Da quando è al potere, ha cercato il dialogo con l’Iran, ma si trova in una situazione complicata. Se la violenza nelle strade dovesse aumentare, sarà difficile un dialogo tra Iran e Stati Unit, e anche tra Iran ed Europa. L’Iran si trova in un momento cruciale sia per la politica interna che estera. Il 'genio' della nonviolenza è uscito dalla lampada ed è difficile che possa rientrarvi. Né Obama né Berlusconi né Sarkozy possono ignorarlo. Ma hanno fatto bene a non fare dichiarazioni più aggressive. Non devono dare la sensazione che il movimento sia diretto dagli stranieri ».
Che probabilità di successo ha la protesta?
«L’unico modo è che resti nonviolenta o sarà una carneficina. Credo che possano non solo avere la solidarietà del mondo ma anche quella di parte della nomenklatura. E anche se l’attuale regime dovesse prevalere e Ahmadinejad restare, il cambiamento arriverà nei mesi e anni a venire. E’ già cambiata la mentalità della gente. Il paradigma repubblicano, motore della rivoluzione del ’79, e il principio di sovranità popolare sono stati violati dal paradigma autoritario. Non credo però che la resistenza porterà a una rivoluzione di velluto. Ciò che è accaduto in Cecoslovacchia e nell’Est europeo potrebbe non accadere in Iran. Ma ciò che conta è lo spessore morale di ogni iraniano, è sfidare l'illegittimità della violenza, è la volontà di costruire il futuro dell’Iran sull’idea di verità».
La STAMPA - Marina Verna : " Fino a ieri erano manifestazioni laiche. Ora si rischia il caos "
Hamid Sadr
Hamid Sadr, lei da tempo vive a Vienna ma immagino abbia ancora contatti con l’Iran. Che cosa le raccontano?
«Innanzitutto io non parlo mai di Iran ma di Persia. Il mio Paese ha una storia millenaria con il nome di Persia, mentre la Repubblica islamica dell’Iran è una definizione del secolo scorso e riflette solo un breve periodo storico da cui io ho preso le distanze. Laggiù vive ancora una parte della mia famiglia, in questo periodo ci telefoniamo ogni giorno, mi raccontano l’atmosfera, mi rassicurano sulle loro condizioni. So che le manifestazioni continuano, che le strade non sono ancora libere».
Che idea se n’è fatto?
«Ho visto grandi cambiamenti di umore. Inizialmente c’era solo stupore per l’esito del voto, si chiedevano la riconta o nuove elezioni. Era un’opposizione laica, secolare, con un obiettivo preciso. Con il passare dei giorni gli slogan si sono induriti, ora si mette in discussione la stessa Repubblica islamica. Ieri i miei contatti mi hanno detto che i pasdaran hanno minacciato di fare un massacro, se oggi la gente tornerà a manifestare. L’altro ieri c’era meno tensione, anche se la folla urlava slogan contro la dittatura. Passo dopo passo si radicalizza tutto, non è più questione di elezioni ma della sopravvivenza della stessa Repubblica islamica».
Quali sviluppi immagina nel futuro?
«Io penso che il regime e i pasdaran abbiano mancato il momento perfetto per ritirarsi. Era il momento d’oro, e non l’hanno riconosciuto. Fino a ieri la nostra era un’opposizione laica, ma che farà ora la folla? Questa è l’incognita. Temiamo il caos e la guerra civile».
Lei pensa che l’Occidente abbia fatto abbastanza o non sia stato invece troppo cauto?
«L’Occidente ha fatto assai poco, soprattutto se paragoniamo il suo comportamento verso i Paesi dell’Est, ad esempio le reazioni alle turbolenze in Ucraina. Sia la stampa sia i politici si sono impegnati molto di più di quanto non abbiano fatto ora con la Persia, nonostante le evidenti analogie».
La tragica fine di Neda Soltan ci ha colpiti tutti molto. Lei pensa che questo simbolo avrà un’onda lunga?
«Lei sa che vuol dire Neda in persiano? Vuol dire voce, appello, eco. Nel nome di quella ragazza uccisa sabato a Teheran c’era già il suo destino. Ma lei non è morta invano. Diventerà per tutti noi un simbolo potente come la donna con la bandiera nel quadro del francese Delacroix “La libertà che guida il popolo”. Ha presente quella magnifica giovane donna che incita i parigini a sollevarsi e marciare uniti sotto il tricolore? Così sarà la nostra Neda. La nostra rivoluzione avrà il suo volto».
La REPUBBLICA - Alix Van Buren : " Gli Usa costretti alla prudenza come per la Cina di Tienanmen "
Hooman Majd
Majd ritiene che " La prudenza di Obama e dell´Europa rafforzano l´opposizione. L´ascesa dei riformisti è nell´interesse nazionale dell´America. Ogni presa di posizione offuscherebbe l´immagine delle forze del cambiamento, bollandole come strumenti dell´Occidente ". In realtà sia Khamenei sia Ahmadinejad hanno già accusato le democrazie occidentali di aver orchestrato le manifestazioni pro Mousavi, perciò riteniamo che Obama e l'Ue avrebbero potuto prendere fin dall'inizio una posizione netta a favore dei manifestanti. Che li avrebbe rafforzati, altro che danneggiarli. Ecco l'intervista:
Si dice a Washington che Hooman Majd, autore del bestseller The Ayatollah begs to differ (l´Ayatollah non è d´accordo), sia dotato di una sfera di cristallo insostituibile nell´interpretare la società iraniana. Perciò quando Majd, iraniano di nascita, consigliere dell´ex presidente Khatami, parla al telefono, viene naturale domandargli quanto siano nitidi i pronostici dell´Occidente sulla protesta iraniana. E lui, di rimando: «Vi prego, smettete di parlare di rivolta. S´illude chi vede indebolito il regime. Questo è il grido di rabbia di un popolo defraudato, sì, del voto, ma in larga parte leale alla Repubblica islamica. Infatti, osservi i poteri che contano: l´esercito, la Guardia rivoluzionaria, i Basij sono con lo Stato. Hanno i numeri e, in più, le armi».
Signor Majd, lei sta prospettando una Tiananmen iraniana?
«Il rischio era grande sabato scorso, con tre milioni per le vie a dimostrare. Però, malgrado le morti devastanti di giovani iraniani, l´esercito non è intervenuto con i carri armati».
E allora in che senso?
«Nell´impossibilità del mondo esterno d´intervenire. Però, sa cosa arrivo a dirle? Che è un bene. La prudenza di Obama e dell´Europa rafforzano l´opposizione. L´ascesa dei riformisti è nell´interesse nazionale dell´America. Ogni presa di posizione offuscherebbe l´immagine delle forze del cambiamento, bollandole come strumenti dell´Occidente. Soprattutto, sarà decisivo lo scontro all´interno della leadership».
Lei cosa s´aspetta dai riformisti di Moussavi e Rafsanjani?
«Si rumoreggia che Rafsanjani, a capo dell´Assemblea dei Saggi, stia manovrando per destituire il Leader Khamenei, ma non è certo. Né probabilmente lui ha i voti per riuscirvi».
Gli altri leader religiosi, che peso avranno?
«Se parliamo di figure come il Grande Ayatollah Sanei, Khatami o Karroubi, il loro sostegno all´opposizione è significativo. È la dimostrazione che assistiamo a un pubblico parapiglia al più alto livello della Repubblica islamica. Ecco, la leadership religiosa ha assunto i tratti dei Borgia del XVI secolo. Però nulla sarà più come prima».
Che cos´è cambiato?
«Il 12 giugno in Iran s´è aperta una nuova era. La gente si è espressa e vuole essere ascoltata. Alla fine la leadership dovrà tenere conto delle richieste di cambiamento».
E se prevarrà Ahmadinejad?
«Persino lui dovrà rendersi disponibile al dialogo con l´America, perché questa è la richiesta pressante. Lui non potrà ignorarla»
La REPUBBLICA - Francesca Caferri : " Il clero non sta con Khamenei la volontà popolare va rispettata "
Ayatollah Kadivar
Kadivar, riferendosi agli ayatollah di Qom scrive : " Sono in pochi quelli che lo appoggiano. Molti sono dalla parte di Moussavi. Altri, semplicemente, della legalità. Mi aspetto che presto chiedano alla Guida suprema che venga rispettata la volontà popolare. Il silenzio di questi giorni parla da sé e condanna Khamenei. Spetterà poi a lui decidere ". Difficile interpretare il loro silenzio come condanna all'operato di Khamenei e Ahmadinejad. Di solito, chi tace acconsente...
Alla fine degli anni ´90, quando fu imposta la stretta sul clero riformatore, fu tra i primi ad essere arrestato. Passò un anno e mezzo nel carcere di Evin, la più terribile prigione iraniana. Ma Mohsen Kadivar non ha mai rinnegato la sua storia: allievo di Hossein Ali Montazeri, l´erede designato di Khomeini prima che Khamenei lo rimpiazzasse, questo mullah progressista oggi vive negli Stati Uniti, ma non interrompe il filo con Qom, il Vaticano sciita, dove si è formato.
Mullah Kadivar, a che punto è lo scontro fra i poteri della Repubblica Islamica?
«Stiamo assistendo a una situazione completamente illegale. La Costituzione prevede che di fronte a un ostacolo che non può essere risolto per le vie legali tradizionali la Guida Suprema si rivolga all´Assemblea degli Esperti, ora guidata dall´ex presidente Rafnsajani. Khamenei non l´ha fatto perché sa che rischia di essere sfiduciato: ha legittimato la cancellazione di almeno tre milioni di voti e ordinato la violenza contro la gente in strada».
Lei conosce bene gli equilibri interni agli ayatollah di Qom e di Teheran: prenderanno posizione? Sfiduceranno Khamenei?
«Sono in pochi quelli che lo appoggiano. Molti sono dalla parte di Moussavi. Altri, semplicemente, della legalità. Mi aspetto che presto chiedano alla Guida suprema che venga rispettata la volontà popolare. Il silenzio di questi giorni parla da sé e condanna Khamenei. Spetterà poi a lui decidere».
E cosa crede che farà?
«Credo che non ascolterà richiami e ordinerà che le piazze siano ripulite, come fece lo Scià. A quel punto si metterà in una situazione molto difficile: gli stessi basij, le stesse Guardie rivoluzionarie sanno di essere in torto. Per quanto ancora potranno farlo?».
Lei ora vive in America: che posizione dovrebbero prendere gli Stati Uniti in questa crisi?
«Starne fuori. Il movimento di protesta è indipendente è nazionale. Ma il governo sostiene che sia appoggiato dagli Stati Uniti: se gli Usa parleranno ora, la menzogna sarà acuita. Se si arrivasse al giuramento di Ahmadinejad la comunità internazionale non dovrebbe riconoscerlo. Ma dovete smettere di pensare che questa sia una rivoluzione per cambiare la natura dell´Iran: i ragazzi scendono in strada al grido di "Allah è il più grande". Vogliono libertà, diritti e che sia rispettata la loro volontà: ma non cancellare la Repubblica islamica».
Il RIFORMISTA - Joseph Zarlingo : "La vera contesa è sull'eredità di Khomeini"
Alastair Crooke
Poco noto in Italia al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, Alastair Crooke, fondatore del think tank Conflict forum, con sede a Beirut dove vive da anni, è considerato uno dei massimi esperti mondiali di movimenti politici musulmani e di politica mediorientale. Ha personalmente partecipato come mediatore alle trattative che hanno portato a diversi cessate il fuoco tra palestinesi e israeliani ed è ascoltato consigliere del governo britannico.
Come giudica la situazione in Iran?
La situazione è estremamente seria, anche se in Iran, contrariamente a quello che molti governi occidentali vorrebbero, non è in corso un movimento che punta al rovesciamento della Repubblica islamica nata dalla rivoluzione del 1979. Piuttosto, direi che si tratta di una contesa su chi sia il vero erede degli ideali su cui, oltre l'accento sull'Islam, l'ayatollah Khomeini ha basato la Rivoluzione contro lo Shah. Detto questo, però, non è da escludersi che tra i sostenitori di Mir Hossein Moussavi ci siano anche settori sociali che guardano oltre e fuori il quadro costituzionale della Repubblica islamica. Una parte delle proteste potrebbe essere sfruttata da questi settori per cercare di spingere in senso più radicale, ma non credo che la maggior parte dei manifestanti voglia un cambiamento completo di sistema.
In che senso la contesa è sull'eredità di Khomeini?
Khomeini e Ali Shariati rinnovarono profondamente lo sciismo, sganciandolo da quello che era il cosiddetto «sciisimo nero», quello del lamento, del conservatorismo tradizionale, dell'immobilismo. Oggi tanto Mahmud Ahmadinejad quanto Moussavi puntano a rinnovare quella spinta, anche se hanno opinioni molto diverse su come farlo. Moussavi ha reso chiaro fin dall'inizio della protesta contro i presunti brogli che non ha intenzione di rovesciare la Repubblica islamica. Anzi, si presenta come un figlio della Rivoluzione, un discepolo di Khomeini. La Rivoluzione portava con sé enormi promesse di riscatto sociale e di redistribuzione della ricchezza, che durante gli anni dello Shah era concentrata in poche famiglie. A causa della guerra con l'Iraq, quelle promesse sono state messe da parte negli anni della giovinezza della Repubblica. Ora, ma non da ora, molti iraniani pensano che sia il momento di mantenerle.
Questa non era anche la piattaforma su cui era stato eletto la prima volta Ahmadinejad?
Sì, lo era. Ahmadinejad era stato eletto anche con questo mandato. E anzi, nelle zone rurali dove il sostegno ad Ahmadinejad è più forte, molti credono ancora in quella promessa e pensano che il campo riformista potrebbe invece portare alla fine della Repubblica. Al di là degli eccessi delle forze di polizia e della repressione, Ahmadinejad e i conservatori hanno una base di consenso popolare, soprattutto fuori da Teheran.
Il Paese è quindi spaccato?
Il Paese non è mai stato del tutto d'accordo su quale sia il modo migliore per guardare al futuro e costruirlo, c'è sempre stato molto dibattito nell'establishment della Repubblica. Ci sono sempre state divisioni, in Iran, tra i diversi settori sociali e tra le diverse componenti dello stato. Ciò che è successo è che queste divisioni, forse anche a causa della difficile situazione economica del paese, sono diventate più acute e profonde. Le divergenze di opinione, peraltro, non riguardano solo i comuni cittadini, ma attraversano tutto il corpo istituzionale della Repubblica islamica.
Come pensa che potrebbe finire questo braccio di ferro?
Non penso che in Iran ci sia una di quelle rivoluzioni colorate che piacciono in occidente. Mousavi, secondo me, sta cercando di guadagnare quanto più spazio possibile per il campo riformista, che dopo la stagione di Khatami negli anni novanta, è stato sconfitto dai conservatori. È difficile fare previsioni, ma credo che si potrebbe arrivare a un compromesso che potrebbe spostare l'asse della politica di Ahmadinejad su alcuni temi interni e forse anche internazionali. Per quanto Ahmadinejad non sembri incline al compromesso. D'altra parte, quale politico anche occidentale lo sarebbe se davvero avesse vinto le elezioni con un margine così ampio?
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