Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 22/06/2009, in prima pagina, l'editoriale di Paolo Guzzanti dal titolo "Svegliati Europa! ", dal CORRIERE della SERA, a pag. 10, l'articolo di Shirin Ebadi dal titolo " Ripetere il voto e aiutare le vittime Solo così la calma tornerà in Iran ", a pag. 13, l'articolo Maurizio Caprara dal titolo " La linea dell’Italia: «Bloccare le violenze Resta l’invito al G8» " e l'intervista di Viviana Mazza a Mohsen Makhmalbaf, regista iraniano, dal titolo " Il mio appello a tutti i governi: non legittimate Ahmadinejad " preceduti dal nostro commento. Dalla STAMPA, a pag. 5, l'articolo di Lucia Annunziata dal titolo "Neda la prima martire ", preceduto dal nostro commento. Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Paolo Guzzanti : " Svegliati Europa! "
Paolo Guzzanti
Non si può lasciar affondare la speranza degli iraniani che combattono contro il regime soltanto sulla base del tornaconto in petrolio o delle alchimie geopolitiche secondo cui «bisogna prima di tutto mantenere aperta la porta del dialogo». L’Europa si deve svegliare. Certo, la porta del dialogo deve restare aperta, magari approfittando dell’imminente G8 di Trieste in cui il ministro degli Esteri iraniano Mottaki è stato invitato, per far capire agli uomini di Teheran che la misura è colma e che l’Unione europea, per quanto flaccida, per quanto poco reattiva ai richiami della morale in politica estera, non è tuttavia un cadavere etico, ma è invece ancora in grado di distinguere il bene dal male e il giusto dall’ingiusto anche di fronte ai calcoli degli interessi economici e alla gelida geometria delle diplomazie.
La politica estera ormai è dettata da molte agende del tutto nuove, diverse da quelle canoniche che muovevano le cancellerie mantenendo fuori dalla propria portata decisionale l’emozione immediata dei popoli i quali vedono oggi quel che accade non soltanto in televisione, ma anche su Youtube dove si trovano le immagini più crudeli e non censurate: ieri questo strumento on line ha mostrato al mondo in che modo sia morta Neda, una ragazza di 20 anni colpita alla testa mentre manifestava: tutti hanno visto i fiotti di sangue uscire dalla sua bocca, il suo bel viso di ragazza pulita e innocente, la sua morte in diretta. Anche la morte di Neda oggi detta l’agenda dei ministeri degli Esteri, che non possono più far finta di vivere in un mondo separato e vellutato, complicato e incomprensibile in cui si giocano partite a scacchi metafisiche, mentre la gente muore ammazzata nelle strade, mentre un popolo invoca libertà e democrazia.
Gli uomini dei mullah e di Ahmadinejad accusano l’Europa. La minacciano. Puntano il dito contro le democrazie occidentali con voce irata e minacciosa, ce l’hanno specialmente col Regno Unito, poi con la Francia e la Germania. Promettono rappresaglie. Si sentono colpiti e sono più deboli, dopo aver riempito il mondo per anni con le orrende immagini delle impiccagioni di massa alle gru da cui penzolano ragazzi e ragazze appesi per la gola come animali.
Certo, ci rendiamo conto, occorrono piedi di piombo, ma non per questo cuori di pietra e occhi cuciti dalla realpolitik che per sua logica inflessibile porta ad accordi con i peggiori gaglioffi del mondo in cambio di affari, petrolio, energia: denaro contro coscienze, oro nero contro l’etica elementare. La geopolitica d’altra parte dimostra che la posizione dell’Iran resta centrale e cruciale, sia sullo scacchiere del Medio Oriente, dove manovra Hezbollah, Hamas e la Siria, minacciando Israele con la sua arma nucleare, sempre in costruzione; sia sullo scacchiere asiatico, dove l’Iran è la chiave di volta per l’intervento in Afghanistan cui tanto tiene l’Amministrazione americana e dove si svolge il grande gioco che coinvolge la Russia. La stessa Russia che fornisce tecnologia militare all’Iran, il quale a sua volta lavora di sponda con la Corea del Nord. Tutto molto complesso, molto delicato, molto rischioso. Una sola mossa sbagliata e si possono commettere errori incalcolabili, ma l’unico modo per non commetterli è quello di ascoltare e privilegiare le richieste di democrazia e di rifiuto dell’oltranzismo teologico: far cadere il regime degli ayatollah potrebbe con un colpo solo dare una svolta reale e potente alla questione del Medio Oriente togliendo l’ossigeno alle organizzazioni estremiste e permettere una definizione più realistica e più democratica ai rapporti con la Russia che oggi si trova in condizioni economiche disastrose e che è per questo tentata da giochi spericolati usando proprio la pedina iraniana. Infine, l’Iran sta attualmente esercitano un’influenza micidiale sull’Irak dove applica il suo potere di persuasione sugli sciiti e progetta di instaurare di fatto a Bagdad un regime satellitare. Europa svegliati, dunque, fai sentire la tua voce e falla sentire anche al presidente americano la cui idea del «fresh start», dell’azzeramento del passato ripartendo daccapo, ha effettivamente contribuito a mettere in crisi la politica iraniana costretta a scelte sempre meno giustificabili dalla propaganda. Obama ha oggi l’occasione di cogliere il primo frutto della sua politica se soltanto ha il coraggio di allungare la mano in modo fermo e autorevole, nel modo ideale e ideologico con cui usa conquistare le folle con la sua parola così seducente, così morale. L’Europa in questa circostanza ha la possibilità di aiutare l’America a prendere la decisione giusta e a non farla sentire sola nelle scelte epocali. Si tratta di stabilire una buona volta da che parte si sta e agire di conseguenza. Se l’Europa non farà nulla e si baloccherà con i giochi diplomatici dei pesi e dei contrappesi da commisurare coi bilancini della convenienza spicciola, allora la finestra delle opportunità si chiuderà. La barbarie scaccerà la primavera di Teheran e tutto tornerà come prima e peggio di prima. La Casa Bianca avrà una ragione di più per dire che non poteva agire senza il concorso dell’Europa, ma se l’Europa avrà per la prima volta la capacità di manifestarsi come un motore morale sulla scena politica e non soltanto come una sommatoria di interessi da comporre, allora potremmo assistere al miracolo dell’inizio della liberazione dell’Iran e dunque della fine di un incubo. Ma purtroppo, malgrado alcuni timidi segnali della Merkel e di Sarkozy che hanno fatto finora soltanto infuriare il regime teocratico, nulla indica che la pigra vegliarda stia per muoversi con decisione risolutiva. Ma la speranza, come si sa, è l’ultima a morire.
CORRIERE della SERA - Shirin Ebadi : " Ripetere il voto e aiutare le vittime Solo così la calma tornerà in Iran"
Shirin Ebadi
Il malcontento popolare per i risultati elettorali non riguarda esclusivamente le recenti votazioni. Anche quattro anni fa furono sollevati non pochi sospetti di brogli, quando Ahmadinejad venne eletto presidente.
All’epoca, i suoi oppositori politici erano Mehdi Karroubi e Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, due noti e potenti personaggi della Repubblica islamica. L’incarico principale di Ahmadinejad fino a quel momento era stato solo quello di sindaco di Teheran, ma godeva dell’appoggio della milizia Basiji e dell’Ayatollah Khamenei, guida suprema a vita della Repubblica islamica. Karroubi presentò in quell’occasione ripetuti reclami al Consiglio dei Guardiani della rivoluzione, l’istituzione governativa incaricata di vigilare sul processo elettorale, ma senza ottenere alcun intervento fattivo. Il presidente Mohammad Khatami annunciò che erano state riscontrate numerose violazioni. Per di più, Hashemi Rafsanjani dichiarò che avrebbe presentato ricorso a Dio in persona, poiché nessuno in Iran era disposto ad ascoltare le sue rimostranze.
I quattro anni di Ahmadinejad alla guida del Paese hanno causato profonda insoddisfazione nella popolazione. In questo periodo, l’inflazione ha raggiunto il 25 per cento, i prezzi aumentano di giorno in giorno e il potere d’acquisto della gente continua a calare. Molti giornali sono stati chiusi, un gran numero di attivisti politici e per i diritti umani è finito in prigione, è stato soppresso il Centro dei difensori dei diritti umani, e via dicendo. Il capo supremo della rivoluzione continua ad appoggiare il premier, malgrado i crescenti malumori della popolazione, anche dopo l’annuncio del Majles (il parlamento) che un miliardo di dollari sono stati utilizzati senza alcuna approvazione legale. L’opinione pubblica iraniana è indignata. Queste le principali obiezioni sollevate:
1. Nella maggior parte dei seggi elettorali è stato vietato l’accesso ai rappresentanti di Mir Hossein Mousavi e di Mehdi Karroubi.
2. Da più parti è stata denunciata la manomissione delle urne.
3. Ahmadinejad ha ottenuto 14 milioni di voti nelle precedenti elezioni. Stavolta, però, ha vantato 24 milioni di preferenze. Mehdi Karroubi, dal canto suo, ha dichiarato che i suoi voti sono risultati inferiori al numero dei componenti della sua circoscrizione elettorale e dei sostenitori del partito «Etemad Melli» da lui fondato. Quando milioni di persone a Teheran e in altre città si sono riversati nelle strade per protestare contro i risultati elettorali, è apparso chiaro che i 24 milioni di preferenze attribuite ad Ahmadinejad non potevano essere veritiere.
Un gran numero di attivisti politici e sociali, tra cui Saeed Hajjarian, Mostafa Tajzadeh, Abdolfattah Soltani e Reza Tajik sono stati arrestati. Sono stati soppressi i collegamenti internet e ai giornalisti stranieri è stato ordinato di lasciare l’Iran al più presto possibile. Le reti televisive e di telefonia mobile, come Voa e la Bbc, sono state oscurate e interrotte, nel tentativo del governo di tagliare le linee di comunicazione tra la popolazione. La situazione ha spinto molti deputati a presentare una lettera di protesta al presidente della Camera, Larijani, il quale ha addossato al ministro dell’Interno la responsabilità dei disordini e delle violenze.
Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi hanno però incoraggiato i loro sostenitori a mantenere la calma e organizzare manifestazioni pacifiche, incitandoli a dar voce alla loro insoddisfazione con il grido di Allah-o-Akbar (Dio è il più grande) tra le 9 e le 10 di sera, invocazione che riecheggia ogni notte nell’intera città e riporta alla mente le notti della rivoluzione. L’intensificarsi delle proteste popolari ha convinto il capo supremo della Repubblica islamica a ordinare un’inchiesta sui ricorsi presentati e il Consiglio dei Guardiani ha annunciato un nuovo conteggio dei voti in alcuni seggi elettorali. Questo, tuttavia, a quanto pare, non basterà a calmare gli animi. La migliore soluzione per riportare la pace in Iran sarebbe invece:
1. La liberazione incondizionata di ogni persona arrestata o imprigionata per aver contestato il risultato elettorale.
2. L’immediata cessazione della repressione contro i manifestanti da parte della polizia e delle milizie del Basiji.
3. Annullare le elezioni.
4. Indire nuove elezioni con la presenza di osservatori internazionali.
5. Risarcire i feriti e le famiglie di quanti hanno perso la vita.
Solo se queste condizioni saranno rispettate la calma tornerà a regnare nella società iraniana.
CORRIERE della SERA - Maurizio Caprara : " La linea dell’Italia: «Bloccare le violenze Resta l’invito al G8» "
Il ministro Frattini non ha ancora revocato l'invito all'Iran a partecipare al G8.
Non vediamo per quale motivo Frattini continui a tenere la porta aperta. L'Iran non ha niente a che vedere nè con l'occidente nè col resto del mondo democratico ed è una vergogna che lo si metta sullo stesso piano degli altri paesi che parteciperanno. Ecco l'articolo:
Franco Frattini
ROMA — Il ministro degli Esteri franco Frattini continua a tenere aperta per l’Iran la porta della conferenza sull’Afghanistan in programma da giovedì prossimo a Trieste con i colleghi del G8, ma l’operazione ieri ha richiesto messe a punto nella posizione della Farnesina: altri Stati europei non hanno ostentato generosità verso la Repubblica islamica e divergenze si sono intraviste nello stesso governo italiano. La repressione sanguinosa delle proteste di Teheran, le incognite sui prossimi sviluppi della lotta di potere in corso nel regime fondato dall’ayatollah Ruhollah Khomeini si aggiungono all’abitudine della diplomazia iraniana a giocare al rialzo. Dunque si saprà forse soltanto alla vigilia della riunione se dalla capitale nella quale si confrontano il conservatore-conservatore Mahmoud Ahmadinejad e il conservatore anomalo Mir Hossein Mousavi partirà per Trieste il ministro degli Esteri Manouche Mottaki o un supplente oppure nessuno.
Frattini «reitera l’invito alle autorità iraniane a giungere a una soluzione pacifica della crisi, verificando con completezza e imparzialità quale sia stata la volontà espressa dal popolo», ha voluto far sapere ieri nel tardo pomeriggio la Farnesina, suggerendo «la cessazione delle violenze » e esortando a «evitare ulteriori spargimenti di sangue ». Si faccia caso alla scelta dei termini. Da altri Paesi stranieri è stato chiesto esplicitamente un riconteggio dei voti nelle contestate elezioni presidenziali. La prosa frattiniana porta a questo, ma con linguaggio indiretto.
Particolare garbo verso il regime era stato mostrato in un comunicato della mattina. Nel consigliare di «ricercare una stabilità interna che sia condivisa dalla società civile» e nel far notare che «con la violenza e la repressione non si progredirebbe su questa strada», Frattini aveva attestato un riconoscimento di legittimità alle autorità di Teheran: «L’Italia rispetta l’Iran, la sua sovranità e ne riconosce il ruolo importante sul piano regionale, a partire dall’Afghanistan... ». Da qui la conferma, «in questo spirito positivo e costruttivo», dell’invito a Trieste, un’opportunità non nuova ma certo non frequente per chi minaccia Israele e arricchisce uranio a dispetto delle diffide dell’Onu.
In Iran Mottaki ha accusato Londra di un complotto sulle elezioni. Ali Larijani, presidente del Parlamento, ha disposto che le commissioni Esteri discutano di rivedere i rapporti con Regno Unito, Francia e Germania per le reazioni «vergognose» ai risultati del voto. Nel frattempo una linea diversa da quella di Frattini è emersa da parte di due ministri entrati nel Pdl dal partito di Gianfranco Fini.
Andrea Ronchi, Politiche europee, ha sostenuto che, «in assenza di una risposta adeguata» dall’Iran, il governo «valuterà atteggiamenti di estrema fermezza anche in vista del vertice di Trieste». Ignazio La Russa, Difesa, ha raccomandato di «non assumere atteggiamenti unilaterali » e di ricordare che l’Italia fa parte «dell’Unione europea, della Nato». Per placare le acque, Frattini ha informato che il Paese «non si sottrarrà agli sforzi» di «assistenza umanitaria» se manifestanti feriti chiederanno aiuto alla nostra ambasciata a Teheran. L’ipotesi, circolata su Internet, è però assai strana. Gli uffici sono presidiati dalla «polizia diplomatica», nel raggiungerli i feriti si candiderebbero alla galera. Mentre si discuterà di un’ipotesi di Sandro Bondi, coordinatore del Pdl: una manifestazione «di tutte le forze politiche italiane» a fianco di «chi testimonia il valore della libertà»
CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Il mio appello a tutti i governi: non legittimate Ahmadinejad "
Contrariamente a quanto sostiene Mohsen Makhmalbaf, Mousavi non è un "vero democratico ". Quando è stato presidente iraniano si è reso complice si assassinii di oppositori politici e non si è mai opposto alla fatwa lanciata dall'ayatollah Khomeini contro lo scrittore Salman Rushdie. Ecco l'intervista:
Mohsen Makhmalbaf
«L’Italia non accetti il governo di Ahmadinejad. Come potete invitare un governo che uccide la sua gente? ». Mohsen Makhmalbaf lancia questo appello al nostro governo, che ha invitato l’Iran al G8 di Trieste. Makhmalbaf è un premiatissimo regista iraniano, autore di Viaggio a Kandahar e di una quindicina di altri film tra cui Tempo d’amare, Pane e fiore, Il silenzio.
Mentre il governo iraniano impedisce ogni contatto con il leader dell’opposizione Mir Hossein Mousavi, Makhmalbaf, che lo conosce da vent’anni, è diventato il portavoce dell’amico, anche se rifiuta il titolo: «Cerco di dire quello che succede nel Paese, sono il portavoce del popolo che muore nelle strade», dice al telefono da Parigi. A Bruxelles, con la disegnatrice Marjane Satrapi ( Persepolis) ha spiegato alla stampa che i risultati delle elezioni sono stati falsificati e ha chiesto ai governi stranieri di non riconoscere Ahmadinejad come presidente. Domani ripeterà l’appello a Roma con gli iraniani d’Italia.
Avete presentato come prova dei brogli la fotocopia di una lettera del ministero dell’Interno che mostra la vittoria di Mousavi con 19 milioni di voti. Ma dov’è il documento vero?
«Il documento vero è la gente nelle strade. Negli ultimi 30 anni non ci sono state manifestazioni così, se non a favore del potere. E ora guardate: ci sono milioni di persone in strada, sono pronti a morire».
Come ha conosciuto Mousavi?
«Quand’era primo ministro. I conservatori cercavano di censurare ogni cosa, ma lui era dalla parte degli artisti. Dopo aver girato Il matrimonio dei benedetti (1988, storia di un veterano della guerra con l’Iraq risentito per la vita migliore che conduce chi non ha combattuto, ndr) fui interrogato dalla polizia segreta. Fu bandito, ma Mousavi mi difese, anche se il film era critico. È un vero democratico ».
Che contatti ha ora con lui?
«Sabato ho sentito uno dei suoi uomini. Poi alle 9, Mousavi ha parlato alla manifestazione di Teheran: gli iraniani hanno diffuso la sua voce coi telefonini. L’ho sentita, l’ho riconosciuto. Si è detto pronto a morire per il popolo. E poi: 'Abbasso il colpo di stato, abbasso il colpo di stato'. La polizia segreta controlla il suo ufficio, ha distrutto i mezzi di comunicazione. Ma non lo controllano del tutto. E non lo arrestano perché la gente sarebbe furiosa, ma tagliano i contatti tra lui e il popolo».
In questo modo possono fermare le proteste?
«Sabato alle 4 era stato impedito a Mousavi di partecipare, ma la gente è andata lo stesso. Sono arrabbiati, vogliono il cambiamento vero, la democrazia, la pace e non la bomba atomica. E’ più che una protesta per un’elezione, è in un certo senso una rivoluzione. Khamenei spera che si stanchino, ma sono serissimi: 30 anni fa abbiamo fatto la rivoluzione e abbiamo fallito; 12 anni fa abbiamo scelto Khatami ma le riforme non ci sono state, abbiamo fallito; 4 anni fa non siamo andati a votare, ha vinto Ahmadinejad; ora siamo andati ma abbiamo fallito ancora. C’è rimasta solo la rivoluzione e chiedere ai governi di aiutarci non riconoscendo Ahmadinejad. Khamenei vuole che lo confermino, se no è indice di un governo debole».
Mousavi è stato definito un moderato. Ora si dice pronto al martirio. E’ pronto a uno scontro duro?
«Prima della rivoluzione Mousavi era contro lo Scià, ma non gli piacevano i mullah. Quando Khomeini divenne leader della rivoluzione, attirò l’interesse di tutti, di destra e sinistra. Mousavi divenne premier, si occupava di economia e cultura ma si scontrò con Khamenei, allora presidente. Il premier aveva più potere del presidente, ed era più socialista di Khamenei. Quando Khamenei divenne la Guida, abolì il posto di premier, cacciò Mousavi. Da allora è vissuto tra gli artisti. Era un rivoluzionario, ma è cambiato molto. Era un Che Guevara islamico, oggi è più simile a Mandela e a Gandhi. Mousavi non vuole che gli iraniani siano uccisi, e il movimento è non violento. Gli scioperi sarebbero una buona strategia. Diciamo alla gente: continuate la rivoluzione. Ma sono loro a decidere come. Se Khamenei continua a ucciderli o arresta Mousavi, la rabbia sarà grande, come 30 anni fa».
La STAMPA - Lucia Annunziata : " Neda la prima martire "
Annunziata scrive che " La moglie di Mousavi, Zahra, è scesa in campo a fianco del marito, per la parità fra uomini e donne, sfoggiando colorati veli al posto di quello nero ". Mettere un velo colorato al posto di uno nero non implica non venire discriminata e sottomessa nè battersi per i diritti delle donne iraniane. In ogni caso, per un ritratto della moglie di Mousavi, invitiamo a leggere l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " La rivoluzione sciita di Zahara " riportato nella rassegna di IC il 19/06/2009". Ecco l'articolo di Lucia Annunziata:
Mousavi con la moglie Zahara
Cade con un solo colpo al cuore, il sangue che sgorga prima dalla bocca poi dalle orecchie e dal naso, gli occhi rovesciati verso il cielo. Le è scivolato il velo dalla testa, le si è aperto l’abito nero che la ricopriva, rivelando blue jeans e scarpe da ginnastica. Il video dell’agonia di questa ragazza di Teheran, vittima dei soldati dell’esercito iraniano, sta facendo il giro del mondo su YouTube.
Ma prima di entrare nel significato di questa morte, vorrei condividere tutto quello che ho trovato sulla ragazza. Per darle intanto un nome, e per capire in che circostanza è morta. In assenza di giornalisti, persino queste semplici informazioni potrebbero andar perse. Potenti messaggi quelli che ci arrivano dai blog in Iran: «Sì, questa è la ragazza persiana colpita a morte da uno sparo, il suo nome è Neda e stava partecipando alla protesta contro Ahmadinejad e l’intero governo che pretende di essere musulmano mentre non ha alcun rispetto di cosa significhi lavorare per Dio, è davvero il più tirannico dei governi».
Questa è la disperata testimonianza del medico che ha assistito la ragazza nei suoi ultimi momenti; testimonianza subito cancellata, ma ritrovabile come il link sul blog cui è stata inviata: «I “Basij” hanno sparato e ucciso una giovane donna in Teheran, il 20 giugno mentre protestava. Alle ore 19:05. Posto: Carekar Ave., all’angolo con la strada Khosravi e la strada Salelhi. La giovane donna era accanto al padre ed è stata sparata da un Basij che si nascondeva sul tetto di una casa civile. Ha avuto una vista perfetta della ragazza, e dunque non avrebbe potuto mancarla. Ha sparato diritto al cuore. Sono un dottore e mi sono precipitato immediatamente a cercare di salvarla. Ma l’impatto del proiettile è stato così forte che è esploso nel suo petto e la vittima è morta in meno di due minuti. Il video è stato girato da un amico che mi stava accanto. Per favore, fatelo sapere al mondo».
Sì, qui siamo infatti, il mondo che guarda questa rivolta iraniana, per molti versi come tutte le altre rivolte, e per certi versi assolutamente unica. Un tiratore scelto prende la mira su una ragazza accanto al padre e con freddezza le spappola il cuore. E’ qui tutta la storia della rivolta iraniana in corso. Il regime di Teheran spara a freddo a una donna, alle donne. Confessando tutta la sua debolezza ma anche la natura della paura che corre nelle vene dell’establishment religioso iraniano.
La novità che ci svela è questa. Ahmadinejad ha lanciato un attacco alle donne. Ieri è stata arrestata Faezeh Rafsanjani, la figlia dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani. Faezeh, ex deputata, attivista, editore della rivista «Donna», fosse la più famosa delle tante donne che animano l’attuale rivolta popolare. Ma una seconda umiliazione è nascosta in questo attacco a lei: arrestare una figlia vuol dire in Iran portare vergogna sull’intera famiglia. Il messaggio va dunque a tutti i padri della nazione: se non tenete a posto le vostre donne, non ci fermeremo davanti a nessuno. E qui parliamo di ben altro che un signor nessuno.
Rafsanjani, infatti, oltre a essere uno dei principali sostenitori di Hossein Mousavi, è anche uno degli uomini più ricchi dell’Iran. Forbes lo ha incluso nella lista degli uomini più ricchi del mondo, è dunque forse il più ricco del suo Paese, grazie alla sua partecipazione in molte imprese, incluse quelle petrolifere. Una potenza che gli ha guadagnato il nomignolo di Akbar Shah. La famiglia Rafsanjani possiede inoltre interessi nel commercio con l’estero, ampi possedimenti di terra, e la più vasta rete di università private, conosciuta come Islamic Azad University, 300 campus in tutto il Paese e circa 3 milioni di iscritti. Attaccare un uomo così potente, che da solo gioca un ruolo decisivo, arrestandone la figlia è un’intimidazione ridicola. Ma rivelatrice del timore che anima il governo di Ahmadinejad.
Questa provocazione è infatti direttamente proporzionale al peso acquisito da mogli e figlie di politici nella campagna elettorale prima e negli avvenimenti della rivolta oggi. La moglie di Mousavi, Zahra, è scesa in campo a fianco del marito, per la parità fra uomini e donne, sfoggiando colorati veli al posto di quello nero. Va ricordato anche un episodio di aggressione, forse meno noto ma non meno significativo, nei confronti della vedova di Mohammed Ali Rajai, il primo ministro assassinato nei primi anni della rivoluzione Khomeinista. La vedova si è recata a Qom, la città Santa, per sollecitare l’appoggio dei Mullah al movimento riformatore, e in risposta è stata arrestata.
E torniamo così alla uccisione della ragazza, l’assassinio da parte di un occupato della Santa Rivoluzione di una donna è il segno di tutto quello che è cambiato in Iran. Con quell’uccisione viene dissacrata una donna per tutte. La donna. L’oggetto (è il caso di dirlo) sacro dell’Islam, il luogo della custodia, il simbolo e il metro della purezza degli umani. Inattaccabile. Almeno finora. Ma che una rivolta animata dal senso di libertà e dei diritti, democratici e individuali abbia fra i suoi martiri una giovane in jeans senza velo è la perfetta metafora di quel che sta succedendo in Iran.
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