I fatti di Teheran stanno già avendo un risultato in Israele: da quando è scoppiata la rivolta il gradimento di Obama, già basso, è sceso dal 36% al 6%. Un dato molto indicativo per capire come gli israeliani giudicano la politica estera dalla Casa Bianca. Altro dato intyeressante, l' 86% degli israeliani giudica pro-Israele l'amministrazione Bush. Pubblichiamo dal FOGLIO di oggi 20/06/2009, le analisi di Carlo Panella, Tatiana Boutourline, Christian Rocca. Dalla STAMPA, Maurizio Molinari, da Informazione Corretta, Piera Prister Bracaglia Morante.
Il Foglio-Carlo Panella: " Khamenei sta con Ahmadinejad ma tende la mano a Rafsanjani "
Khamenei e la volontà popolare (se potesse esprimersi)
Roma. “Non cederò ad azioni illegittime. Chi alimenterà l’estremismo sarà ritenuto responsabile per ogni violenza. Se ci sarà un bagno di sangue, i leader della protesta saranno ritenuti direttamente responsabili”. Con queste parole, pronunciate nel suo usuale stile monotono e cantilenante ma fermo e implacabile, l’ayatollah Ali Khamenei ha tinto di scuro il cielo delle prossime settimane di Teheran. Subito dopo, a definitiva chiusura di ogni spazio di dialogo, le autorità hanno proibito la manifestazione di oggi in cui era prevista la partecipazione di Mir Hossein Moussavi e l’ayatollah Mohammad Khatami. Sta ora ai “verdi” decidere se ribellarsi alla chiusura di ogni spazio di trattativa, scegliere forme di protesta alternative o rischiare la più dura repressione delle squadracce dei bassiji e delle forze di sicurezza. E’ lo stesso scenario di trentuno anni fa, nell’estate del 1978, quando lo scià Reza Pahlavi, con parole non dissimili da quelle di Khamenei, proclamò il coprifuoco e scatenò l’esercito contro i dimostranti, passando di strage in strage. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, mentre Barack Obama continua a tacere, in preda ad amletici (e jimmycarteriani) dubbi, ha colto l’implicazione drammatica di questa posizione e lo ha invitato “a mostrare moderazione e a non andare oltre un punto di non ritorno. Spero che la leadership iraniana non commetta l’irreparabile”. Ma tutto fa p(segue dalla prima pagina) Il discorso di Khamenei all’Università di Teheran, di fronte a una folla imponente, è definitivo e quasi sarcastico sul punto dirimente dei brogli: “Mahmoud Ahmadinejad è stato regolarmente eletto presidente dal popolo e le proteste di strada non sono accettabili: i dimostranti sbagliano i calcoli se pensano di ottenere cambiamenti attraverso pressioni del genere. Questa è una sfida alla democrazia. Il risultato delle elezioni arriva dalle urne, non dalla strada”. Quanto alle accuse di brogli, Khamenei ha ammesso: “Vi può essere stata qualche irregolarità, ma lo spoglio elettorale dovrà essere esaminato soltanto con gli strumenti che mette a disposizione la legge e le verifiche non potranno inficiare un dato incontrovertibile. Dando prova di grande partecipazione, l’85 per cento degli elettori si è recato a votare e i più di undici milioni di voti che separano Ahmadinejad (che ne ha ottenuti ufficialmente 25,5, ndr) da Moussavi fanno capire che il risultato è incontrovertibile e non può essere messo in discussione. L’elezione è definitiva. Ora il paese ha bisogno di tranquillità”. A riprova delle intenzioni bellicose, Khamenei ha attaccato l’ingerenza straniera: “Alcuni paesi occidentali, tra i quali gli Stati Uniti, hanno interferito nella situazione interna iraniana, agenti dei servizi segreti del nemico hanno avuto un ruolo nei disordini dei giorni scorsi, tra questi, agenti della Gran Bretagna, il più malvagio tra i paesi occidentali”. Il Foreign Office ha convocato l’ambasciatore iraniano a Londra per protestare. L’attacco prelude alla deflagrazione di una crisi esterna, innescata da Teheran, e va riferito all’accusa che da anni l’Iran lancia al Regno Unito: avere installato nella regione di Bassora, in Iraq, durante l’occupazione del contingente inglese, una centrale di infiltrazione di sabotatori e terroristi che hanno compiuto azioni nella regione petrolifera iraniana del Khuzestan, abitata da etnie arabe. Khamenei ha però cercato la mediazione con la gerarchia sciita, soprattutto con Hashemi Rafsanjani. La Guida Suprema ha rivendicato un ruolo di imparzialità durante la campagna elettorale: è un’affermazione falsa, ma indispensabile, per non dare spazio dentro al Consiglio degli Esperti – che ha potere di controllo sul suo operato – alle accuse sollevate da Rafsanjani di aver mancato ai suoi compiti istituzionali. Ma ha pure detto che “le opinioni di Ahmadinejad sono più vicine alle mie che a quelle di Rafsanjani”. La dichiarazione di consonanza politica ha però preceduto una presa di distanze da Ahmadinejad che aveva gridato in tv: “Rafsanjani è un ladro”: “Conosco Rafsanjani da 52 anni e non ho mai visto che si sia arricchito illegalmente; Rafsanjani è una delle più importanti figure della Rivoluzione accanto all’ayatollah Khomeini”. Dunque: ricerca di ricomposizione al vertice sciita e armi affilate soltanto contro la piazza. Rafsanjani deve ora decidere se accettare la “copertura” che Khamenei gli ha offerto (per accuse di corruzione note), oppure sfidarlo, mettendosi dalla parte della piazza.
Il Foglio-Tatiana Boutourline: "Il partito dei militari "
Roma. La maschera di imparzialità dell’ayatollah Ali Khamenei è caduta ieri all’Università di Teheran. Alla resa dei conti tra i turbanti e i fucili la Guida Suprema si è schierata con i suoi pretoriani. Nel mondo fatto di sottili allusioni e bizantinismi dell’aristocrazia clericale iraniana le parole inequivocabili di Khamenei rappresentano una minaccia tanto per i manifestanti quanto per la fronda che sta sfidando l’avanzata del partito dei martiri di Ahmadinejad. Il segno che il rapporto simbiotico tra Khamenei e i pasdaran – assieme al corpo volontario dei bassiji, che ha regole meno strette e quindi mano più libera e pesante – ha scalzato la centralità dell’alleanza tra mullah e bazaar. Sotto l’ala di Ahmadinejad, le Guardie Rivoluzionarie hanno espugnato province, regioni, ministeri, fondazioni, la tv di stato e la radio. Hanno accumulato un potere economico immenso mettendo le mani su più di cento diverse attività economiche, sono diventati contractor nella costruzione dei gasdotti e si sono assicurati contratti di esplorazione in campo petrolifero che superano i 7 miliardi di dollari. “Non posseggono il knowhow, ma si prendono tutti gli appalti. Controllano i porti, ma non applicano tariffe – dice Karim Sajdapour del Carnegie Endowment for Peace – L’ultima cosa che vogliono è aprire l’Iran alla Wto e alla competizione con il resto del mondo. Anzi, fanno di tutto per sabotare le relazioni tra l’Iran e l’occidente”. La parte prevalente dei pasdaran non vuole lasciare che l’Iran insegua il modello cinese “La nostra è una rivoluzione nella rivoluzione”, ammette il comandante supremo del corpo, Mohammed Ali Jafari, rivendicando l’attivismo politico dei pasdaran. “Sostenere il fondamentalismo è una necessità assoluta e imprescindibile un obbligo divino e ideologico per le forze rivoluzionarie dello stato”. I pasdaran hanno onorato fino in fondo il loro “obbligo”. Ali Akbar Javanfekr, addetto stampa di Ahmadinejad, ha invocato un pronunciamento definitivo del Consiglio dei Guardiani “per chiudere il dibattito sul coinvolgimento politico dei militari”. Ma l’attesa di una sentenza – probabilmente favorevole – non ha frenato l’ardore civico dei pasdaran. Ed è un segno dei tempi che cambiano il fatto che nella Repubblica islamica sia stato malmenato, senza alcun riguardo per il venerabile cognome, persino un nipote di Khomeini. Aveva osato ricordare che il padre della Rivoluzione li aveva concepiti come manovalanza e non nella stanza dei bottoni. Capire l’universo dei pasdaran non è semplice. Bisogna aver vissuto in un quartiere popolare come Narmak (sud-est di Teheran, quello di Ahmadinejad), bisogna aver respirato la polvere della prima linea e la paura della morte ed essersi poi scontrati con la boria della mullahcrazia della capitale di ritorno dalla guerra per captare la forza dirompente del senso di rivalsa dei pasdaran. Perché se c’è chi ha blandito i turbanti per andare a vivere nella frescura dei quartieri alti di Teheran, se c’è chi come il dissidente Akbar Ganji rinnega il suo passato-pasdaran, c’è anche chi rivendica ogni manganellata come il regista Massoud Dehnamaki, ancora entusiasta dell’appartenenza alla temuta milizia Ansar-e-Hizbullah: “Ho iniziato a lavorare nel cinema perché la realtà di quello che avevamo vissuto non veniva raccontata da nessuno. Mi sono messo a parlare alla mia generazione della mia generazione”. Le parole preferite da Ahmadinejad e Dehnamaki sono “onore, giustizia sociale, lotta alla corruzione”, mantra della generazione di quarantenni che mira a cacciare le eminenze grigie come Hashemi Rafsanjani. Chi li disprezza e se ne è dissociato, come l’intellettuale Mohsen Sazegara che fu tra i fondatori del corpo, riduce la loro ascesa a una questione di portafoglio. “L’ideologia rivoluzionaria è in declino. Su tutto prevale l’attrattiva del denaro. I pasdaran sono divenuti un’organizzazione mafiosa che corrompe l’esercito, la polizia, i media, l’industria, il governo. Il loro avventurismo economico e politico porterà a una crisi seria che toccherà non soltanto l’Iran ma l’intero medio oriente”. Nell’indottrinamento delle giovani leve nulla è lasciato al caso. L’obiettivo – recita il regolamento – è creare “un uomo devoto e rivoluzionario nei suoi valori divini, nei comportamenti e nell’apparenza fisica”. Studiano in università speciali come la Mahallati di Qom o la Seyed al Shohada di Tabriz, dove domina un ethos rivoluzionario atipico. Il rispetto per Khamenei è piuttosto un culto indiscusso della sua personalità.
Il Foglio-Christian Rocca: "Iranian resolution "
da promessa a minaccia
Una settimana dopo il voto iraniano, e le successive proteste popolari di piazza, è arrivato il primo segnale ufficiale degli Stati Uniti di incoraggiamento alle manifestazioni di Teheran. Ieri sera la Camera dei rappresentanti, guidata dal Partito democratico, ha approvato una risoluzione bipartisan a sostegno dei dissidenti iraniani con 405 voti favorevoli e uno solo contrario. Il testo, presentato dal repubblicano Mike Pence e dal democratico Howard Berman, “esprime sostegno a tutti i cittadini iraniani che accolgono i valori di libertà, diritti umani, libertà civili, stato di diritto”, “condanna la violenza in corso contro i manifestanti da parte del governo dell’Iran e dalle milizie favorevoli al governo, così come la soppressione della comunicazione elettronica indipendente attraverso l’interferenza su Internet e sui cellulari” e “afferma l’universalità dei diritti individuali e l’importanza di elezioni corrette e democratiche”. Il voto della Camera è una critica diretta alla scelta del presidente Barack Obama di non dire una parola a favore dei manifestanti. Anzi l’Amministrazione ha provato a mitigare il testo della risoluzione. La linea della Casa Bianca, malgrado le sempre più numerose critiche, continua a essere quella di non interferire nel processo interno alla repubblica islamica, anche se ieri il portavoce del presidente ha detto, per la prima volta, che “gli iraniani sono liberi di protestare contro elezioni contestate”. Obama crede che la protesta rientrerà o sarà soppressa e considera un errore inimicarsi ulteriormente un regime con cui vuole tentare un accordo sul nucleare. Alla Camera, l’unico voto contrario è stato del deputato di estrema destra Ron Paul. Ma in realtà a opporsi è Obama.
La Stampa-Maurizio Molinari: " Obama alza la voce: Teheran non deve reprimere la gente "

CORRISPONDENTE DA NEW YORK
La Casa Bianca indurisce i toni con Alì Khamenei affermando che «i manifestanti hanno diritto a protestare». E’ stato il portavoce di Obama, Robert Gibbs, a recapitare il messaggio a Teheran parlando di «proteste straordinarie e coraggiose» frutto dell’iniziativa di «persone che hanno notato il cambiamento con cui ci poniamo di fronte al Medio Oriente», testimoniato dal discorso del presidente al Cairo. Le parole di Gibbs tradiscono il timore che il discorso di Khamenei sulla «fine delle proteste» lasci intendere che si stia preparando una repressione stile-Tiananmen. L’ex segretario di Stato Henry Kissinger applaude comunque alla scelta di Obama di non esprimersi sulla contesa fra Ahmadinejad e Mousavi: «Se si schierasse causerebbe un boomerang contro quella persona».
Il timore americano del ricorso alla violenza contro la piazza coincide con le notizie sui 5 mila miliziani di Hezbollah e Hamas che sarebbero giunti in Iran per «riportare l’ordine». Ad affermarlo è Voice of America, citando testimonianze di iraniani che a Teheran avrebbero sentito «urlare in arabo» i miliziani islamici armati di manganelli che si muovono su motociclette. Nella blogosfera sono molte le voci iraniane che ne parlano: Setrak, su Daily Kos, scrive che «Ansar Hezbollah e i paramilitari si preparano alla repressione». Per Mohsen Sazegara, ex co-fondatore dei pasdaran esule negli Usa, Hezbollah libanesi e palestinesi di Hamas sarebbero andati a «rafforzare i ranghi delle brigate speciali delle Guardie Rivoluzionarie» per consentire agli ayatollah «di negare ogni responsabilità nelle violenze contro i manifestanti».
Queste «brigate speciali» non figurano fra i reparti militari e sono composte da volontari, i «basiji». L’arrivo dal Libano e dai Territori i sarebbe servito a dare maggiore capacità militare ai «basiji» anche perché molti Hezbollah e miliziani di Hamas sono stati a loro volta formati da istruttori pasdaran. Se queste notizie dovessero essere confermate implicherebbero una scarsa fiducia di Khamenei in polizia ed esercito, in effetti rimasti ai margini delle manifestazioni. Ad avvalorare l’ipotesi di un impegno di Hezbollah e Hamas vi è il fatto che i leader di entrambi sono stati fra i primi a complimentarsi con Ahmadinejad per la rielezione. Il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è in seguito intervenuto mostrandosi sicuro che «la leadership iraniana consentirà alla nazione di superare la crisi». «Certo, alcuni dei nostri amici in Iran hanno provocato problemi a causa della disputa sul conteggio dei voti» ha detto Nasrallah, liquidando però come «illusioni» le ipotesi di difficoltà per il regime.
Informazione Corretta-Piera Prister Bracaglia Morante:" Per le strade di Teheran un popolo in rivolta per la democrazia"
Piera Prister (a sinistra)
Il regime in Iran sta svelando al mondo con spietatezza la sua vera
faccia, quella della tirannide: elezioni truccate, frode, brutalita’,
violenza e sangue. Anche se i candidati alla presidenza della
Repubblica Islamica di Iran sono simili perche’ selezionati da Ali'
Khamenei, la Guida suprema al vertice del potere, tuttavia il sistema
ha defraudato il popolo persino di quel piccolo spazio di liberta’
rimastogli cioe’ il poter scegliere fra i pochi candidati imposti
dall’alto. E’ la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E’ chiaro che
Ahmadinejad anche con il suo solo aspetto bieco ed ottuso e’ quello
che piu’ di ogni altro personifica la ferocia del regime ed e’ per
questo il preferito.
La fotografia spettacolare riportata sul “The Wall Street Journal” il
16 giugno a pag. A8 che ritrae centinaia e centinaia di migliaia di
sostenitori del candidato dell’opposizione Mir-Hossein Mousavi, a
Teheran nella sconfinata piazza Azedi, gremita e traboccante di
dimostranti, che da lontano sembrano innumerevoli formiche in fermento
in un gigantesco formicaio, e’ un’immagine che da’ ai lettori le
proporzioni esatte della massiccia partecipazione popolare alla
rivolta che poliziotti in borghese, altri in tenuta antisommossa e i
guardiani della rivoluzione o pasradan tutti sguinzagliati, reprimono
nei pestaggi e nel sangue.
In aggiunta altre fotografie in prima pagina ed altre riprese
dall’alto ci mostrano centinaia di migliaia di Iraniani che da giorni
scendono in piazza in rivolta contro il governo illiberale e
repressivo del potere teocratico, e inondano come una marea le strade
della capitale. E’ una popolazione pacifica che protesta contro i
brogli elettorali e le truffe, i ricatti e le intimidazioni del
regime dei mullah, e’ un movimento che rivendica a se’ la sovranita’
occhiutamente usurpata e che, forte del numero, ha il coraggio di
sfidare il brutale ed anacronistico regime che in Ahmadinejad, pupillo
dei mullah, ha la sua epitome e il suo compendio. Le notizie non
trapelano e i siti Internet sono oscurati in un totale black out della
comunicazione La milizia usa bastoni e catene contro gli inermi
cittadini e ci sono state delle vittime colpite da armi da fuoco. Ed
e’ facile immaginare che altre ce ne saranno dietro le cortine, nei
giorni a venire insieme ad arresti sevizie e torture.
La comunita’ internazionale adesso si accorge del livello di
oppressione in cui questo popolo e’ stato tenuto, occupata com’e da
sempre a fare affari d’oro a suon di petroldollari con quel regime
truculento negatore della Shoah, che ci auguriamo cada da un momento
all’altro se le proteste popolari si trasformeranno in una rivoluzione
capace di rovesciarlo.
Da cinque giorni quello che sta avvenendo in Iran occupa le prime
pagine dei giornali e le testate dei notiziari internazionali, tutti
gli occhi del mondo sono puntati su Teheran e sulle manifestazioni
pacifiche di protesta per le strade contro cui si scatena
violentemente la milizia addestrata a soffocare le rivolte popolari.
Pare che nemmeno la repressione brutale e assassina della polizia
possa ormai fermare questo popolo coraggioso le cui file si ingrossano
sempre di piu’ e che e’ sostenuto da manifestazioni di solidarieta’
che hanno luogo nelle principali citta’ all’estero, anche qui negli
Stati Uniti e dal Texas da dove scriviamo.
Da tempo la comunita’ internazionale ha fatto finta di niente prima di
fronte al taglio della lingua subito da Mansaur Osanloo leader dei
movimento sindacale dei lavoratori del settore trasporti, conosciuto
ed ammirato anche qui dalle Trade Unions americane e poi ha chiuso gli
occhi di fronte alle esecuzioni assassine pubbliche e giornaliere dei
dissidenti, di donne, di studenti e di omosessuali. Ha dimenticato le
cruenti repressioni studentesche e tutti gli studenti scomparsi che
non hanno fatto piu’ ritorno a casa.
Tutti zitti nell’oblio, persino Barack Obama che, quando era senatore
dell’Illinois e’ stato tra quei 22 senatori che voto’ nell’autunno del
2007 contro una risoluzione poi passata in Senato che designava i
Guardiani della Rivoluzione, Iran’s Revolutionary Guards Corp ossia i
Pasradan, come un’ associazione terroristica. Bisognerebbe fargli fare
un tour per il carcere di Evin e i luoghi delle torture per fargli
capire la differenza che c’e’ con Guantanamo, chissa’ che non gli si
illumini la mente.
Lo hanno assecondato fino a contenderselo vergognosamente quel
despota di Ahmadinejad, gli hanno dato la parola, dai campus delle
universita’, ai salotti televisivi fino all’ONU, anche da li’ gli
hanno dato una tribuna da cui ha sparso il veleno antisemita. Quando
invece doveva essere arrestato proprio in osservanza delle norme di
Diritto Internazionale. Persino Romano Prodi, ex presidente del
Consiglio dei ministri con Massimo D’Alema agli Esteri, l’anno scorso
era corso a Teheran a caldeggiare l’entrata dell’Iran nel Consiglio di
Sicurezza dell’ONU. Nessuno puo’ negarlo.
Eppure tutti hanno corteggiato Ahmadinejad anche quando nella sua
follia aveva gridato a piu’ non posso come da un megafono il
ritornello di cancellare Israele dalle carte geografiche. Tutti matti
da legare nella casa dei matti, nel manicomio del regime dei mullah
che per giunta stanno preparando le armi di distruzione di massa e
potrebbero scatenare una guerra nucleare, ma nella cui esplosione
potrebbero saltare in aria e sprofondare gli stessi Iraniani che per
fortuna se ne stanno accorgendo. Quei giovani che protestano, uomini e
donne, in abiti occidentali, non hanno l’aria d’essere umili e
sottomessi, sono piuttosto molto simili agli studenti iraniani qui nei
campus dei college e delle universita’americane, sono giovani colti e
amanti della cultura, della tecnologia e del progresso, ma
soprattutto amano la democrazia e hanno il coraggio di battersi per
essa.
Il presidente francese Nicholas Sarkozy ha solidarizzato subito con le
legittime proteste del popolo iraniano e cosi’ ha fatto il suo
ministro degli esteri, Bernard Kouchner, mentre qui in America il
presidente Barack Obama guadagna tempo dicendo:” Questo o quello per
me pari sono” e cosi’ il Segretario di Stato, Hillary Clinton, che si
e’ autoproclamata inesperta. Mentre il presidente americano ci sembra
sempre di piu’ un “re Tentenna” come fu soprannominato Carlo Alberto
di Savoia che intervenne a Milano dopo le famose cinque giornate del
1848 quando gia’ i milanesi avevano cacciato, da dietro le barricate,
gli Austriaci dalla citta’.
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