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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.06.2009 Carter a Gaza sfugge ad un attentato
Che, in ogni caso, di certo non era per lui

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 giugno 2009
Pagina: 17
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Gaza, Carter sfugge a un attentato»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/06/2009, a pag. 17, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Gaza, Carter sfugge a un attentato ".

Carter, ex presidente americano, è notoriamente filopalestinese. Per questo è difficile credere che l'attentato fosse rivolto a lui. Impossibile prendere sul serio la tesi di Hamas secondo la quale i tre ordigni non sarebbero stati altro che bombole di gas scivolate da un camion transitato troppo velocemente. Ecco l'articolo:

Jimmy Carter incontra il capataz di Hamas Ismail Haniyeh

GAZA — Presidente, ha avuto paura? «Ho paura quando vedo tanti civili trat­tati come animali». Tutt’in giro ci sono le tute nere di Hamas, a fare la sicurezza. E una discreta squadra d’arma­di americani che si chiama­no con gli auricolari. Il tren­tanovesimo presidente de­gli Stati Uniti arriva a Gaza in un gran frastuono di sire­ne. Il corteo dei cinque suv delle Nazioni Unite taglia il traffico di El Rasheed Street. Va al palazzo del governo. Lo trattano da Obama, ma è solo Jimmy Carter. Venuto a incontrare Ismail Haniyeh, il capo di Hamas che per l’oc­casione sbuca dai sotterra­nei. Venuto a capire se si può trattare, e come, con un’organizzazione che gli Stati Uniti tengono sulla li­sta nera degl’intrattabili. Glielo fanno capire subito: il cerimoniale d’accoglienza non è quello che il vecchio Carter s’aspettava e, appena prima che la colonna diplo­matica passi per il valico di Erez, gl’israeliani la stoppa­no. «Presidente — lo infor­ma un ufficiale — dentro Ga­za hanno preparato un atten­tato contro di lei. Le sconsi­gliamo di proseguire».
Hanno trovato tre bom­be. Stavano proprio sulla strada che da Erez porta a Gaza City. Da Hamas nega­no — «è solo un equivoco, un uomo che trasportava bombole di gas e s'è diretto troppo in fretta su quella strada» — ma diversi testi­moni raccontano d’aver vi­sto (e sentito) l’esplosivo fatto brillare dagli artificie­ri. Lo staff di Carter confer­ma: «C’è stato un briefing su questo problema, ma s’è deciso di non cambiare pro­gramma ». In mano una let­tera che l’esausto papà di Gi­lad Shalit gli ha consegnato domenica nei giardini del­l’American Colony di Geru­salemme, l’ex presidente è andato per la sua via: ha da­to la busta per il soldato ra­pito a un portavoce di Ha­mas e come ricevuta di ritor­no s’è accontentato d’una promessa, «la daremo al de­stinatario ».
A preoccupare non è tan­to chi volessero colpire — un simpatico ottantaquat­trenne che non conta quasi niente — ma chi volesse col­pire: gente vicina ad Al Qae­da, dice una fonte di Ha­mas, che per avere visibilità è pronta a sacrificare anche un politico che ha da sem­pre sulle corna la politica israeliana e pure qui, di fron­te alle macerie dell’Ameri­can School, non esita a sen­tirsi «responsabile per il mio Paese che fabbrica gli F-16 con cui vi bombarda­no ». Le azioni e gli attentati delle ultime settimane — perfino una squadra di ca­valli imbottita d’esplosivo e
lanciata contro obbiettivi israeliani — dimostrano che non tutto, a Gaza, si muove sotto l’ombrello di Hamas, almeno in apparen­za. I soldati di Allah, l’orga­nizzazione Junur Hansad Al­lah, circa 500 uomini che s’addestrano indisturbati sulle spiagge della Striscia e rispondono agli ordini d’un siriano, Abu Abdullah, han­no tutte le caratteristiche delle cellule fondamentali­ste: barbe lunghe, difficilisi­mi da avvicinare, il proietti­le in canna. Un insieme di pachistani, yemeniti, egizia­ni che Hamas ufficialmente detesta, perché non rispon­dono a una direzione strate­gica centrale, ma di fatto tol­lera. Perché servono a tene­re alta la tensione.

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