Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Stato palestinese: Netanyahu ha fatto un’affermazione importante, impegnativa, su cui lavorare Intervista a A. B. Yehoshua, analisi di Michael Sfaradi
Testata:Il Foglio - L'Unità - L'Opinione Autore: La redazione del Foglio - Umberto De Giovannangeli - Michael Sfaradi Titolo: «Netanyahu telefona a Berlusconi - Teheran non diventi una nuova piazza Tiananmen - La maledizione del faraone Mubarak»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 17/06/2009, in prima pagina, la notizia dal titolo " Netanyahu telefona a Berlusconi", dall'UNITA', a pag. 12, l'intervista di Umberto De Giovannangeli ad A. B. Yehoshua dal titolo " Teheran non diventi una nuova piazza Tiananmen " e dall'OPINIONE l'analisi di Michael Sfaradi dal titolo " La maledizione del faraone Mubarak ". Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - " Netanyahu telefona a Berlusconi"
Netanyahu telefona a Berlusconi. Il premier di Israele ha chiamato Berlusconi per uno scambio di idee sulla situazione in medio oriente. Il Cav. ha apprezzato il discorso di Netanyahu all’Università di Bar Ilan, giudicandolo un passo avanti verso la ripresa del dialogo nell’area. I due premier si incontreranno a Roma il 23 giugno.
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Teheran non diventi una nuova piazza Tiananmen "
Ci fa piacere che Udg non sia caduto nel vizietto di Farian Sabahi di mettere in bocca ai propri intervistati parole mai pronunciate. Ecco l'intervista:
A. B. Yehoshua
Il primo pensiero va alla «Primavera» iraniana. «Il mondo libero deve agire perché Teheran non si trasformi in una nuova Tiananmen. Quei ragazzi, quelle donne che scendono nelle strade, riempiono le piazze e sfidano le milizie armate, sono portatori di una istanza di libertà e di cambiamento che va ben al di là degli stessi propositi dei loro attuali leader e dei regolamenti di conti all’interno del regime». A parlare è il più affermato tra gli scrittori israeliani contemporanei: Abraham Bet Yehoshua. Il nostro colloquio prende spunto dal discorso del premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Yehoshua sorride quando gli dico che il suo giudizio è stato interpretato come un sostegno al premier: «Non c’è in me alcuna “conversione” politica né un tardivo innamoramento per “Bibi”. Ciò che ho constatato, positivamente, è che in quel discorso per la prima volta un leader della destra fa esplicito riferimento ad uno Stato palestinese. E qui le parole pesano come pietre...». Yehoshua fa il tifo per Netanyahu? «No, ma sono sufficientemente obiettivo per riconoscere che in quel discorso, Netanyahu ha fatto un’affermazione importante, impegnativa, su cui lavorare...». Lo Stato palestinese. C’è chi sostiene: roba vecchia. «Mi permetto di dissentire. Una considerazione che potrebbe apparire scontata se svolta da un leader di sinistra o di centro, acquista un’altra valenza se viene fatta da un leader di destra di un governo delle destre. E per la prima volta un leader della destra ha parlato esplicitamente di uno Stato palestinese...» Uno Stato smilitarizzato, però... «Su questo punto non c’è differenza alcuna tra chi, come me, è orientato a sinistra e un israeliano di orientamento diverso: la smilitarizzazione di un eventuale Stato palestinese rappresenta una condizione necessaria per gli israeliani. Tutti gli israeliani, indipendentemente dalla loro coloritura politica». Altro tema delicato è quello degli insediamenti. Il presidente Obama ne chiede il blocco. «Una premessa è d’obbligo: senza il discorso pronunciato al Cairo da Barack Obama, Netanyahu non sarebbe uscito allo scoperto, e non avrebbe pronunciato la parola Stato (palestinese). Lo stesso vale per gli insediamenti: Netanyahu si è impegnato a non costruirne di nuovi. È un primo passo, non la conclusione di un percorso...». Il che significa, restando al tema degli insediamenti? «Significa smantellare tutti gli avamposti dei coloni e bloccare l’ampliamento dei lavori di espansione degli insediamenti esistenti...». Su questo Netanyahu recalcitra. «Per questo parlo di un primo passo, che da solo non può bastare. Mi lasci però aggiungere che, dal mio punto di vista, la questione davvero cruciale è un’altra...». Quale? «La definizione dei confini. Questo è il punto di svolta. Perché la mancanza di confini fra due nazioni è una delle cause principali del sangue versato in tutti questi anni. La divisione fisica, territoriale, è il mezzo per porre fine al disegno del Grande Israele e della Grande Palestina. Ed è questo il banco di prova decisivo su cui misurare Netanyahu. Se proverà a contrattare sulla questione dei confini, allora il processo di pace potrebbe arenarsi definitivamente». Quando parla di confini a quali si riferisce? «A quelli del ‘67, con i correttivi negoziati tra le parti sulla base di un principio di reciprocità». In una passata conversazione, Lei parlò delle implicazioni identitarie, insite nella questione dei confini. È ancora di questo avviso? «Assolutamente sì. Definire i confini ci impone di ripensare noi stessi, rivisitare la storia di Israele e tornare agli ideali originari del sionismo, per i quali l’essenza dello Stato di Israele non si incentrava nelle sue dimensioni territoriali né in un afflato messianico, bensì nella capacità di fare d’Israele un Paese normale. Ed è proprio questa l’essenza della mia, e spero non solo mia, idea di pace. La pace è la conquista della normalità». Pace significa anche condividere Gerusalemme? «Gerusalemme non può che essere condivisa, non solo dai due popoli ma dall’intero genere umano, perché Gerusalemme è un patrimonio dell’umanità». Molti nel suo Paese mettono in discussione che Obama sia amico d’Israele. «Io la penso esattamente all’opposto. Obama è l’amico che io vorrei sempre avere al mio fianco. Un vero amico non è quello che ti fa passare tutto, ma chi ti aiuta a correggere gli errori che fai. Obama è amico d’Israele quando dice che la nascita di uno Stato palestinese non mina la nostra sicurezza ma può rafforzarla».
L'OPINIONE - Michael Sfaradi : " La maledizione del faraone Mubarak "
Hosni Mubarak
Il discorso del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu all'università Bar Ilan di Tel Aviv ha avuto vasta eco nel mondo arabo e l'unico motivo che spiega la mancanza di reazioni è che in questi giorni si è più preoccupati di quello che succede a Teheran che non di quello che si dice Tel Aviv. Chi ha fatto sentire la voce in maniera più incisiva, e praticamente ha parlato per tutti, è stato il presidente egiziano Mubarak che si è affrettato ad af fermare che la richiesta del riconoscimento dello Stato d'Israele come Stato ebraico è inaccettabile. Questa condizione che il primo ministro israeliano vede assolutamente necessaria alla fine di aprire serie trattative di pace ha fatto saltare i fusibili del vecchio leader che in preda ad una foga a lui inusuale si è affrettato a dichiarare che nessuno potrà mai accettare uno Stato ebraico in medio oriente e che una cosa del genere non verrà mai presa in considerazione né al Cairo né a Damasco né in nessun'altra parte del mondo arabo o musulmano. Ha aggiunto inoltre che queste "pretese" oltre a non aprire porte alla possibilità di trattative per raggiungere la pace mettono in grave pericolo anche quelle già firmate. Queste dichiarazioni sono di una gravità inaccettabile, una via di mezzo fra un avvertimento e una minaccia, come se quelle che arrivano da Teheran non fossero di per sé sufficienti a rendere la situazione mediorientale assolutamente instabile. Non c'è da stupirsi che il mondo arabo reagisca in questa maniera perché la maschera, anche se lentamente, sta cadendo. La volontà di pace araba continua ad essere solo di facciata e il loro metodo, collaudato da tempo, è quello di pacificare un fronte per aprirne immediatamente un altro da un'altra parte. Per chi è abituato a governare con il pugno di ferro è impensabile che sia una maggioranza, nella fattispecie quella ebraica, a decidere il destino della nazione, loro non lo sanno ma questa si chia ma democrazia. Ora è il momento degli esperti che spiegheranno e speculeranno sul perché di quelle parole. Verranno a raccontare che sono ad uso e consumo della politica ,interna e che quello che Mubarak ha detto fa parte di una propaganda collaudata. Ma per gli israeliani, invece, queste prese di posizione da parte di chi ha firmato trattati di pace che con il tempo diventano sempre più "ballerini", suonano come un conto alla rovescia verso un destino che non promette nulla di buono.
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