Riportiamo dal CORRIERE dellaSERA di oggi, 16/06/2009, a pag. 2, la cronaca di Andrea Nicastro dal titolo " Un milione in piazza a Teheran Spari sulla folla, un morto ", a pag. 3, l'intervista di Alessandra Farkas a Mahnaz Afkhami, scrittrice, attivista ed ex-ministra iraniana per gli Affari delle donne, dal titolo " E’ una rivoluzione, la guidano donne e blogger ". Dalla STAMPA, a pag. 6, l'intervista di Fabio Sindici a Pardis Mahdavi, antropologa iraniana-americana dal titolo " Stufi di vivere nel paese in cui è vietato ballare ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 3, l'intervista di Christian Elia a Alireza Mazaheri Moghadam, leader studentesco iraniano, dal titolo " In strada da tre giorni andremo fino in fondo ". Dall'UNITA', a pag. 11, l'intervista di Gabriel Bertinetto a Farian Sabahi, manipolatrice di intervistati, dal titolo " Nei suoi veri piani le elezioni del 2013 ", preceduta dal nostro commento. Eccogli articoli
CORRIERE della SERA - Andrea Nicastro : " Un milione in piazza a Teheran Spari sulla folla, un morto "
TEHERAN — Forse è così che cominciano le rivoluzioni. Quello che è successo ieri a Teheran non ha niente a che fare con le rivolte universitarie di dieci anni fa. E' qualcosa di molto, molto più grande. Allora c'erano solo studenti a protestare, ieri c'erano tutti. Madri di famiglia, impiegati, burocrati che avevano preso due ore di permesso dall'ufficio per arrivare in tempo alla manifestazione, negozianti, ragazze in chador o con un velo che copriva i capelli per miracolo. Una massa umana che non si vedeva in Iran dai tempi della rivoluzione contro lo Scià Reza Palevi. Trent'anni fa.
Un milione? Probabilmente molti di più. Prendete un vialone con otto corsie centrali e due ampi controviali con altrettanti marciapiedi. Saranno 40, 50 metri di larghezza. Il corteo si è snodato da Piazza Enqelab (Rivoluzione) a piazza Azadì (Libertà). Oltre ad essere un programma politico, sono almeno dieci chilometri. Tutto questo enorme nastro cittadino era zeppo di gente pigiata l'una all' altra. Più quelli che arrivavano dalle vie laterali e le riempivano per centinaia di metri.
Il dato politico è che era una folla immensa, mai vista nella Repubblica Islamica. Una folla che preme sui vertici del sistema e che, forse, qualche effetto comincia ad ottenerlo.
Da Washington il presidente Usa Barack Obama si è detto «profondamente turbato» dai fatti di Teheran. «Il processo democratico, la libertà di espressione — ha detto — devono essere rispettati. È importante portare avanti le indagini che non devono risolversi in bagni di sangue». Infine il messaggio agli iraniani: «Il mondo vi sta guardando».
A Teheran i grandi del regime, pur continuando la loro lotta, sembrano sforzarsi di spostare dalla strada all'ambito istituzionale la battaglia sulla correttezza del voto di venerdì scorso. La Guida Suprema Alì Khamenei ha ammesso il ricorso al Consiglio dei Guardiani presentato dai candidati sconfitti. Ci sarà un'indagine e la nomina ufficiale di Ahmadinejad dovrà aspettare. Paiono bizantinismi, ma potrebbero evitare un bagno di sangue e cambiare o meno la storia dell'Iran. Il Consiglio dei Guardiani ha fatto sapere che si pronuncerà «presto», ma il candidato riformista Mir Hossein Mousavi non si dice ottimista.
A vigilare sulla correttezza dell'inchiesta c'è il «ricatto» messo in piedi da Hashemi Rafsanjani, il numero due del regime che il presidente Ahmadinejad aveva accusato di ruberie per scalzarlo dal potere. Rafsanjani ha trovato un appiglio per difendersi attraverso il «suo» Consiglio del Discernimento: la Guida Suprema si è complimentato con Ahmadinejad prima del via libera dei Guardiani. Un comportamento anticostituzionale che può portare all'impeachment della Guida. L'obbiettivo sarebbe l'annullamento del voto e nuove elezioni. Così, mentre gli «intoccabili » si battono nelle stanze del potere, la gente mantiene l'iniziativa. La marcia di ieri è cominciata in silenzio. Le due mani alzate con le dita a «V» in segno di vittoria. Ma anche come dire: siamo disarmati, vogliamo solo il rispetto dei nostri voti. Qualche drappello di agenti anti-sommossa, con le corazze nere da giocatori di football americano, guarda dalle stradine laterali, senza intervenire. Di tanto in tanto, dal corteo che gli sfila davanti qualcuno insulta i poliziotti, tenta di far partire un coretto irridente, ma la massa copre le voci con centinaia di «sccc» per zittirli. Non vogliono offrire pretesti, la massa è invincibile solo se resta calma e compatta.
Ad un tratto la folla si agita, applaude, urla. Una jeep bianca carica di uomini sul cofano e sul tetto fende lentamente la folla. Qualcuno vede dal finestrino Mousavi. E' per lui che stanno sfilando. E' per lui che hanno preso le manganellate nei giorni scorsi. E' per lui che centinaia di persone sono state arrestate nei cortei e, di notte, nelle loro case o nei dormitori universitari. Il silenzio è rotto. Arriva anche un altro candidato sconfitto, il clerico Mehdi Karrubi. Lui si ferma cinque chilometri prima della piazza Libertà, ma finalmente i leader, a tre giorni dall'inizio delle proteste, sono con la loro gente. «Ahmadì, Ahmadì, dove sono i tuoi 24 milioni di voti?» chiedono in coro al presidente. «Se tu rubi le elezioni, l'Iran sarà l'inferno». «Ahmadì, hai visto la luce del Mahdi l'Imam nascosto della tradizione sciita - perché non hai visto i brogli?». «Mousavi, sei il nostro presidente». E poi ancora «Mousavi, Mousavi, Mousavi». «O i voti o la morte».
L'auto del candidato che non accetta la sconfitta arriva davanti a una moschea. La gente è convinta che il mullah possa concedere a Mousavi l'uso degli altoparlanti con i quali chiama la preghiera. «Allah Akbar», «Allah Akbar», Dio è grande, intona la folla per convincere il religioso. L'aria trema per la potenza delle voci. Applausi, sorrisi, sembra che l'accordo ci sia. Un alleato, almeno uno coraggioso nel clero. Invece no. Il mullah chiude le porte.
Abbarbicato sulle transenne della corsia degli autobus, ogni cento, duecento metri c'è qualcuno che ripete: «Domani alle 17, in piazza Vali Asr. Domani alle 17, di nuovo tutti assieme». E' un modo, il migliore, per passare parola visto che da giorni messaggini e linee telefoniche vengono tagliati all'improvviso. Si parla di sciopero delle industrie, ma non c'è certezza.
La manifestazione nel suo gigantismo è stata pacifica, anche grazie al comportamento della polizia. Immobile a guardare. Solo a sera, due ore dopo la fine del corteo, quando migliaia di persone cercavano ancora di tornare a casa, dei paramilitari (non poliziotti) sono venuti a contatto con manifestanti che davano fuoco a dei cassonetti della spazzatura. Gli uomini in mimetica hanno sparato. Un morto. L'ordine, almeno ieri era un altro. Meglio risolvere le controversie nelle stanze del potere che affrontare una piazza come questa.
CORRIERE della SERA - Alessandra Farkas : " E’ una rivoluzione, la guidano donne e blogger "
Mahnaz Afkhami
NEW YORK — «Stiamo assistendo a quella che potrebbe diventare la prima rivoluzione guidata da Internet della storia». Mahnaz Afkhami, scrittrice, attivista ed ex-ministra iraniana per gli Affari delle donne prima della rivoluzione khomeinista, non esclude che il regime degli ayatollah sia in procinto di cadere.
«Anch’io, come la maggior parte degli iraniani, giudico queste elezioni una truffa — spiega —. Hanno programmato i computer per dare il 60% ad Ahmadinejad e il 30% a Mousavi, persino nelle città dove quest’ultimo stravinceva nei sondaggi. Un trucco fin troppo trasparente».
Che cosa le fa pensare che si tratti proprio di una rivoluzione?
«La convergenza di molti fattori nuovissimi. Prima d’ora non avevamo mai assistito a liti tanto pubbliche ai vertici delle elite al potere in Iran. E per la prima volta è il popolo a guidare i propri leader e non viceversa».
Cosa intende dire?
«Dopo la sconfitta, Mousavi aveva esortato i suoi elettori a una calma rinunciataria, ma questi l’hanno spinto a rialzare i toni, rimettendo tutto in discussione. Oggi in Iran la piazza si muove più velocemente dei propri leader».
Come lo spiega?
«L’Iran, dove il 70% della popolazione ha meno di 30 anni, è una nazione di cibernauti che sta guidando questa nuova rivoluzione con Twitter, You- Tube e Facebook. Che sono mille volte più avanti dei media internazionali nel raccontare cosa accade nel Paese. Non dimentichiamoci poi che tra i blogger più agguerriti ci sono molte donne».
Che impatto possono avere tra le classi meno abbienti?
«Enorme. Il loro è un movimento, più che un partito politico, un network con milioni di simpatizzanti che hanno organizzato una capillare campagna porta a porta, raggiungendo casalinghe, parrucchiere e sarte. Sono state le donne, che alle ultime elezioni si erano astenute, a spingere il conservatore Mousavi verso posizioni più progressiste, scegliendolo astutamente come il loro candidato solo perché aveva più chance di vittoria».
La STAMPA - Fabio Sindici : " Stufi di vivere nel paese in cui è vietato ballare "
Pardis Mahdavi
Il popolo sceso in strada per appoggiare Mousavi assomiglia molto a quello descritto nel saggio «Passionate Uprisings» (Rivolte appassionate) di Pardis Mahdavi, pubblicato di recente negli Stati Uniti dalla Stanford University Press. Secondo Mahdavi, trentenne iraniano-americana che insegna antropologia al Pomona College di Claremont, in California, sono gli stessi giovani che, da una decina di anni, conducono una rivoluzione sotterranea e silenziosa, soprattutto a Teheran: una rivoluzione sessuale.
Rivoluzione sessuale e politica vanno di pari passo nel tentativo di porre fine al potere di Ahmadinejad?
«La rivoluzione non si è mai fermata. I miei informatori a Teheran mi mandano email tutti i giorni, in cui mi raccontano episodi che confermano che è sempre viva. Anzi, dopo la reazione di Ahmadinejad, il movimento ha acquistato maggior forza perché è sempre più inteso come una ribellione a un regime repressivo».
Nel suo libro, lei racconta di un’orgia nella villa di un alto esponente del clero sciita e di genitori della borghesia che si schierano con i loro figli contro le irruzioni della komite. Allo stesso tempo nelle campagne ci sono i genitori che denunciano le figlie adultere e chiedono per loro la pena capitale. Come spiega questa contraddizione?
«L’Iran è una realtà complessa. Le convinzioni politiche e i comportamenti sociali sono diversi, a Teheran e nelle grandi città, rispetto ai villaggi. A Teheran, i giovani sono una forza determinante, i due terzi della popolazione hanno meno di trent’anni. I comportamenti che sfidano la morale islamica sono continui. Per esempio: ballare è vietato, eppure nella capitale c’è un party al giorno. Nelle ville di Teheran nord o in magazzini abbandonati. Nella parte meridionale della città, la più povera, le strade vengono chiuse per mettere su una festa. Partecipare a un party non è solo divertimento, ma un atto politico, come i ragazzi iraniani scrivono nei loro blog».
Ha avuto paura a tornare in Iran negli ultimi tempi?
«Sì, soprattutto dopo l’arresto di Roxane Saberi. Resta il fatto che il potere reale è concentrato nelle mani della Guida Suprema Khamenei e del Consiglio dei Guardiani, dove dominano i conservatori».
La REPUBBLICA - Christian Elia : " In strada da tre giorni andremo fino in fondo "
Alireza Mazaheri Moghadam è uno dei leader studenteschi alla testa delle proteste contro Ahmadinejad.
Signor Moghadam, Quando e come avete deciso di scendere in piazza?
«Subito dopo il primo annuncio dei risultati. L´avevamo detto prima delle elezioni: non saremmo rimasti indifferenti ai brogli. Quindi siamo subito usciti per sostenere il nostro voto e il nostro candidato».
Il movimento ha una guida unificata o si muove in modo autonomo?
«È assolutamente autonomo. Da venerdì sera ogni iraniano è diventato un media indipendente. E noi usiamo ogni mezzo possibile per diffondere le notizie».
Che notizie avete dei brogli, e come le avete verificate?
«Sin dal primo momento il ministero dell´Interno ha cominciato a fare una dichiarazione ogni cinque milioni di voti. Avrebbero dovuto annunciare il risultato definitivo entro le 22 ora locale, ma ancora oggi non abbiamo visto il comunicato ufficiale. Sappiamo per certo da alcuni funzionari del ministero che i più votati sono Mousavi e Karroubi».
Quanti sono i morti? E gli arresti?
«A Teheran si parla di più di 10 morti e di 170 arresti».
Avete fiducia nell´inchiesta promessa da Khamenei?
«No, perché è difficile che poi il Consiglio dei Guardiani agisca in modo imparziale. È impossibile che annullino le elezioni. Le parole di Khamenei sono semplicemente un tentativo per placare le acque».
Che cosa accadrà adesso?
«Noi andremo avanti con la protesta. Aspettiamo di vedere se dopo l´inchiesta succederà qualcosa. Ma speriamo che non ci deludano come hanno fatto venerdì sera, altrimenti il peggio deve ancora venire».
L'UNITA' - Gabriel Bertinetto : " Nei suoi veri piani le elezioni del 2013 "
Gabriel Bertinetto ha intervistato la trombettiera dei mullah, Farian Sabahi, la quale dichiara che : " Una cosa mi pare evidente. L’esito del voto non si spiega solo con i brogli. Mentre la campagna elettorale di Mousavi è durata tre settimane, quella di Ahmadinejad è andata avanti per più di tre anni, durante i quali ha elargito a destra e a manca, incrementando del 50% le pensione e del 30% gli stipendi degli insegnanti. Inoltre 22 milioni di cittadini in più hanno ottenuto l’assistenza sanitaria gratuita. Tutto ciò gli ha guadagnato consensi, anche se ha provocato la crescita di inflazione e disoccupazione. Le proteste sono sincere, ma esiste anche un altro Iran". Insomma, a suo parere le elezioni in Iran si sono svolte regolarmente e le proteste e gli scontri che si stanno verificando a Teheran non sono indicativi perchè "esiste anche un altro Iran ". Non stupisce che per capire che cosa accade in Iran, L'UNITA' sia andata a chiederlo alla persona che meno interpreta la vogli di cambiamento.
Ecco l'intervista :
Farian Sabahi, la trombettiera dei mullah (andare in archivio di IC per conoscerne le gesta)
Farian Sabahi, iraniana, insegna storia dei Paesi islamici all’università di Torino. Le chiediamo di aiutarci a capire cosa stia accadendo a Teheran.
La situazione pare in continua evoluzione. Che sbocchi può avere il movimento di protesta secondo lei?
«Essendo una storica di professione, preferisco non ipotizzare scenari futuri. Una cosa mi pare evidente. L’esito del voto non si spiega solo con i brogli. Mentre la campagna elettorale di Mousavi è durata tre settimane, quella di Ahmadinejad è andata avanti per più di tre anni, durante i quali ha elargito a destra e a manca, incrementando del 50% le pensione e del 30% gli stipendi degli insegnanti. Inoltre 22 milioni di cittadini in più hanno ottenuto l’assistenza sanitaria gratuita. Tutto ciò gli ha guadagnato consensi, anche se ha provocato la crescita di inflazione e disoccupazione. Le proteste sono sincere, ma esiste anche un altro Iran, al di fuori della capitale, che spesso non viene considerato. Ci sono 4 milioni di nomadi la cui scelta elettorale non è un fatto individuale. E quando tu vedi il presidente che si sporca le scarpe di polvere per andare nei villaggi a stringere le mani dei tuoi capi, questo basta a orientare il tuo voto».
Lasciamo stare il futuro allora. Cosa sta accadendo oggi ai vertici del potere in Iran?
«Un fenomeno interessante è la frattura avvenuta all’interno del sistema istituzionale della Repubblica islamica. La propaganda di Ahmadinejad ha preso di mira figure di spicco dell’élite politico-religiosa. Le accuse di corruzione hanno messo in serio imbarazzo il candidato riformatore Karroubi, la terza carica dello Stato Rafsanjani, grande sponsor di Mousavi, e altri ancora, senza escludere personaggi vicini alla Guida suprema Khamenei. Si è frantumata la coesione e l’omertà interna all’establishment. Il blocco di forze che fa capo ai Pasdaran è emerso sempre più distinto ed autonomo rispetto agli altri centri di potere».
Si può allora ipotizzare che Mousavi, nel chiedere l’annullamento delle elezioni, punti soprattutto a stabilire un legame fra il movimento di cui è in questo momento leader e settori importanti dell’élite religiosa? Pur sapendo che il voto non sarà invalidato, cerca di rafforzare le basi dell’opposizione che si candida a guidare nei prossimi anni?
«Si forse sta appunto pensando alle presidenziali del 2013 e non all’irrealistica ipotesi di ripetere quelle appena svolte. È possibile che, come lei dice, tenti di approfittare della divisioni fra clero e Pasdaran. Ma Mousavi per 20 anni è stato ai margini della politica. Non vediamo in lui un raffinato stratega, un Andreotti iraniano. Lo stesso Khatami, che sta dalla sua parte, viene spesso sopravvalutato. La sua natura di riformatore è discutibile. Lo è forse per gli standard iraniani, così come un conservatore del calibro di Rafsanjani, in contrapposizione ad Ahmadinejad, è stato etichettato come moderato pragmatico».
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