Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Per sapere quel che dirà Bibi, meglio aspettare domenica La cronaca di Francesco Battistini
Testata: Corriere della Sera Data: 12 giugno 2009 Pagina: 17 Autore: Francesco Battistini Titolo: «Netanyahu dirà sì ai due Stati»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/06/2009, a pag. 17, l’articolo di Francesco Battistini dal titolo “Netanyahu dirà sì ai due Stati “ sul discorso che Benyamin Netanyahu terrà domenica al BESA Center di Efraim Inbar all'Università Bar Ilan.
GERUSALEMME — Notte prima degli esami. Sudato come uno studente, la penna in bocca, Bibi scruta pensoso il soffitto e chiede alla moglie: «Conosci qualche passo del Corano che possa funzionare?». Studia da Obama, ma parlerà da Netanyahu: il discorso che il premier israeliano si prepara a tenere domenica sera dall’università telavivi di Bar Ilan — risposta a quello del presidente Usa dall’ateneo cairota —, la feroce vignettista Daniella lo prevede così. «Bibi vi sorprenderà», confida il ministro della Difesa, Barak. Pochi ci credono, però, e il quotidiano Haaretz tenta d’anticiparne i contenuti, senza scoprire grandi novità: Netanyahu dovrebbe pronunciare la formula che gli Usa esigono — «due popoli, due Stati» —, aggiungendo che quello palestinese potrà sedere all’Onu, ma smilitarizzato e controllato ai confini da Israele e Giordania: un po’ come Andorra, nota qualcuno, che dipende in tutto da Francia e Spagna. Condizione irrinunciabile, per Bibi, dovrebbe essere il riconoscimento palestinese dell’«ebraicità» dello Stato d’Israele (un modo per evitare che il ritorno dei profughi arabi del 1948 possa snaturarne l’identità), mentre poco verrebbe concesso sugl’insediamenti che la comunità internazionale, invece, vorrebbe quantomeno congelati. Basterà? Probabilmente no, anche se Netanyahu non ha molta scelta e gli è già capitato di smentire gl’indovini. L’accenno allo Stato palestinese agita la destra Likud, dal figlio di Begin al ministro Landau, passando per lo speaker della Knesset, Rivlin. Non è un mistero che George Mitchell — l’inviato di Obama che ha appena aperto l’ufficio a Gerusalemme e s’è portato pure un consigliere di passaporto israeliano — spinga per un rimpasto di governo che recuperi Tzipi Livni, scaricando la destra estrema. A premere c’è anche il presidente, Peres, che non vuole uno scontro aperto con Washington. Qualche sera fa, Obama e Netanyahu si sono parlati al telefono. La prima volta dopo settimane. Sono uscite le foto della Casa Bianca, durante la chiacchierata: si vede un Barack stravaccato, i piedi sulla scrivania. È nel suo stile. Ma è uno stile che a Bibi non piace per nulla.
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