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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
12.06.2009 Ann Coulter e il prof.Zerlenga criticano Obama
Mentre a Tahar Ben Jelloun piace

Testata:Il Foglio - La Repubblica
Autore: Ann Coulter - La Redazione del Foglio - Tahar Ben Jelloun
Titolo: «Ma che Obama d’Egitto, super stroncatura di Ann Coulter su Barack H -»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 12/06/2009, a pag. 2, l’articolo di Ann Coulter dal titolo “Ma che Obama d’Egitto, super stroncatura di Ann Coulter su Barack H “ e quello dal titolo “Per capire Obama al Cairo bisogna leggere una pièce di August Wilson “ con le dichiarazioni di Franco Zerlenga a Christian Rocca, entrambi critici con il discorso di Obama al Cairo. Dalla REPUBBLICA, a pag. 37, l’articolo di Tahar Ben Jelloun dal titolo “ Se Obama saluta in arabo “. A Ben Jelloun, noto odiatore di Israele, invece, le parole di Obama sono molto piaciute. Ne è la dimostrazione il tono celebrativo del suo pezzo che pubblichiamo preceduto dal nostro commento. Ecco gli articoli:

Il FOGLIO – Ann Coulter : “Ma che Obama d’Egitto, super stroncatura di Ann Coulter su Barack H “

Ann Coulter

Sono lieta che sia finita! Ora che il nostro eloquente presidente è andato al Cairo a lenire i sentimenti feriti dei musulmani, loro ci amano di nuovo! I musulmani in Pakistan hanno espresso il loro apprezzamento per il discorso di Obama mettendo una bomba in un bell’hotel di Peshawar. Partendo dalla premessa liberal che ciò che gli arabi realmente rispettano è la debolezza, Obama ha elencato, sbagliando, gli storici contributi islamici all’umanità, come l’algebra (che in realtà fu merito dei babilonesi), la bussola (dei cinesi), le penne (ancora i cinesi) e le scoperte mediche (eh?). Ma perché fare gli schizzinosi? Queste invenzioni sono venute comode l’11 settembre del 2001! Grazie, musulmani! Obama ha detto al pubblico del Cairo che l’11 settembre è stata una cosa molto brutta che i musulmani ci hanno fatto, ma d’altro canto loro sono vittime della colonizzazione. Peccato che noi non li abbiamo colonizzati. Sono stati i francesi e gli inglesi. Quindi perché gli arabi scagliano i loro aerei contro i nostri edifici e non sull’Arco di Trionfo? In un altro paragone fra leoni e agnelli, Obama ha detto: “Lasciatemi chiarire che il problema dell’uguaglianza femminile non è in nessun modo legato soltanto all’islam”. No, ha detto, “la lotta prosegue in molti aspetti della vita americana”. Quindi da un lato nei paesi islamici le dodicenni sono lapidate per aver commesso il crimine di essere state stuprate. Ma dall’altro in America non abbiamo abbastanza vigili del fuoco donne. Obama si è illusoriamente vantato della sua visione multiculti, dicendo “io rifiuto la visione di alcuni in occidente secondo la quale una donna che sceglie di coprirsi il capo ha in qualche modo meno diritti”. In Arabia Saudita, Iran, Afghanistan e altri paesi musulmani le donne “scelgono” di coprirsi la testa nel timore di perderla. Dell’invasione americana dell’Iraq Obama ha detto che è stata una “guerra di convenienza”, mentre l’Afghanistan è stata una “guerra di necessità”. I liberal si aggrappano a questo clichè insensato come a uno scudo contro la loro ipocrisia. O erano entrambe necessarie oppure erano entrambe guerre per scelta. Né l’Iraq né l’Afghanistan ci hanno attaccato l’11 settembre. Entrambi, così come altri paesi musulmani, offrivano riparo a coloro che erano legati ai terroristi che ci hanno attaccato l’11 settembre – e che speravano di attaccarci ancora. La verità è che tutte le guerre sono guerre per scelta. Il Partito democratico sceglie – davvero, non come le donne saudite – di non combattere guerre. I democratici, però, non potevano dirlo subito dopo l’11 settembre, e così hanno finto di appoggiare la guerra in Afghanistan e poi hanno passato i successivi sette anni e mezzo a cercare una distinzione fra la guerra in Afghanistan e quella in Iraq. Forse ci sapranno dire perché combattere Hitler – che non aveva mai invaso gli Stati Uniti e non pensava di farlo – fu una “necessità” mentre combattere contro Saddam non lo era. (Obama su Hitler: “L’ideologia nazista ha cercato di soggiogare, umiliare, e sterminare”. Laddove Saddam Hussein faceva solo casino con i kuwaitiani, i curdi e gli sciiti). Intanto, i musulmani di tutto il medio oriente desiderano che il loro Saddam sia catturato dagli invasori americani così che anche loro possano essere liberati. (Allora, vedremo quante donne – perlomeno fuori dalle università americane – sceglieranno di indossare l’hijab). La questione guerra per scelta-guerra per necessità deve suonare a un pubblico islamico sconcertante come una discussione sui matrimoni gay. Gli arabi non hanno paura di noi, hanno paura dell’Iran. Ma il nostro aspirante Jimmy Carter non ha usato parole dure per l’Iran. Obama ha appoggiato la corsa di Teheran al nucleare, mentre ha attaccato l’America per aver aiutato la rimozione di quel babbeo iraniano di Mohammad Mossadegh. Il suo allontanamento da parte della Cia è stata forse la cosa migliore che l’Agenzia abbia mai fatto. Questo nel 1953, prima che diventasse un gruppo di avvocati e passacarte. Mossadegh era matto, rilasciava interviste sdraiato a letto con pigiami rosa. Piangeva, sveniva e ha messo il suo paese sulla strada della povertà permanente nazionalizzando i pozzi di petrolio. Ma era grossolano e odiava gli inglesi, quindi gli accademici di sinistra lo adoravano. Il New York Times lo paragonò a Thomas Jefferson. Vero, Mossadegh era stato “eletto” dal Parlamento – ma solo dopo il caso che è seguito all’assassinio del primo ministro. Lo scià licenziò questo clown, ma Mossadegh rifiutò di dimettersi e la Cia lo rimosse. Obama ha detto che “non è giusto che alcuni paesi abbiano le armi e altri no”, e ha dichiarato che “ogni nazione – Iran compreso – dovrebbe avere il diritto di accedere al nucleare per uso pacifico, se accetta di rispettare gli obblighi previsti dal Trattato di non proliferazione”. E noi? Se un fanatico negatore dell’Olocausto con illusioni messianiche può avere l’energia nucleare, gli Stati Uniti non possono costruire almeno un impianto nucleare ogni 30 anni? Sono certa che l’Iran sarà sorvegliato come la Corea del nord. Clinton nel 1994 diede ai nordcoreani 4 miliardi di dollari per costruire impianti nucleari e 500 mila tonnellate di combustibile in cambio della promessa che non avrebbero costruito armi nucleari. L’inchiostro non aveva fatto in tempo ad asciugarsi che i nordcoreani avevano già iniziato a costruire testate atomiche. Che cosa se ne fanno gli iraniani del nucleare? Non sono una potenza manifatturiera. L’Iran è una nazione primitiva cui capita di sedere su gran parte delle riserve mondiali di gas e petrolio. Non è sufficiente a far funzionare i ventilatori? Il discorso di Obama alla “se io sto bene tu stai bene” sarebbe stato anche spiritoso, se non fosse così agghiacciante.

Il FOGLIO – Christian Rocca: “Per capire Obama al Cairo bisogna leggere una pièce di August Wilson “ 

Christian Rocca

New York. “Quinto Quarto”, nuovissima osteria romana al numero 14 di Bedford Street, nel West Village. Il pensatore newyorchese Franco Zerlenga ordina un’insalata di arance, olive nere e finocchi, mezzo piatto di penne al pesto di basilico e pistacchio, una sugosa amatriciana, una crostata di fragole e un cappuccino decaffeinato. Alla conversazione settimanale arriva con un librino di August Wilson che si intitola “Joe Turner’s come and gone”. Dice Zerlenga che se si vuole capire Obama, e il suo discorso al Cairo, bisogna leggere questo testo teatrale, oppure andarlo a vedere a Broadway, come hanno fatto gli Obama qualche giorno fa nella loro trasferta newyorchese. “In questa storia di neri appena liberati dalla schiavitù, ambientata nel 1911 a Pittsburgh, c’è tutto Obama e la sua idea che la società può sopravvivere soltanto se ci si unisce, se ci si mette tutti insieme, se si costruisce una famiglia e si ama la propria donna. Non c’è sentimentalismo, però. Obama è un uomo spirituale, come ha detto Elie Wiesel”. Zerlenga la prende così, alla lontana, per spiegare il gran discorso del Cairo. “Da ex professore di storia dell’islam gli darei F”, cioè il voto più basso possibile. “Ma Obama è un politico, e da politico merita A+. I presidenti americani usano la storia, but they also make history. Ha preso dalla storia quello che gli serviva”. La tesi di Zerlenga è che Obama stia tentando l’ultimo ed estremo tentativo di convincere il mondo arabo e islamico a una partnership con l’America e l’occidente, “senza però rinunciare a inviare 21 mila nuovi soldati in Afghanistan”. Obama, spiega Zerlenga, è stato molto astuto a scagliarsi contro tutti gli stereotipi negativi dell’islam e a sottolineare tutti quelli positivi. “E’ un trucco retorico, ciò che conta è che per la prima volta un presidente americano, in una capitale musulmana, non ha parlato di islam come religione di pace, come diceva sempre Bush, ma ha sottolineato davanti a tutto il mondo che l’islam ha uno status politico e commette crimini di ogni tipo, soprattutto contro gli stessi musulmani”. Obama, dice il pensatore newyorchese, “è l’uomo con più fiducia in se stesso dai tempi dell’homo sapiens” e crede davvero di poter cambiare il mondo islamico. Zerlenga, da studioso, è decisamente più scettico e sostiene che, in realtà, il discorso obamiano avrebbe dovuto offendere i musulmani, “altro che Obama I love you” perché intanto “ha usato la parola ‘innovation’ che per l’islam è reato”, poi “ha avuto il coraggio di parlare del suo cristianesimo” e soprattutto “ha smontato la dottrina della superiorità teologica dell’islam, mettendo il Corano sullo stesso piano della Bibbia ebraica e cristiana, considerate dai musulmani come testi corrotti, in quanto l’unica vera rivelazione è soltanto l’ultima, quella fatta da Dio a Maometto”. Il presidente Obama ha citato dal Vecchio e dal Nuovo testamento parole di pace, faticando a trovarle sul Corano: “Anche il Corano parla di pace – conclude Zerlenga – ma il loro concetto di pace è questo: prima sconfiggiamo il nemico, lo riduciamo a dhimmi, a essere giuridicamente inferiore, e poi facciamo la pace”.

La REPUBBLICA – Tahar Ben Jelloun : “ Se Obama saluta in arabo “

Tahar Ben Jelloun

Ben Jelloun scrive : “Alcuni oratori hanno fatto riferimento alla coraggiosa politica degli Stati Uniti in Medio Oriente, mettendo in guardia il mondo dall´atteggiamento di Israele, che rifiuta sistematicamente di negoziare una pace giusta e durevole “ . Israele non rifiuta sistematicamente di negoziare una pace giusta e durevole. Il verbo “negoziare” implica che i compromessi ci siano da entrambe le parti. Finora le richieste di Israele non sono state ascoltate. Il terrorismo di Hamas continua, Abu Mazen si rifiuta di riconoscere Israele come Stato ebraico. E’ evidente che a non essere interessati alla pace " giusta e durevole " non sono gli israeliani, ma i terroristi di Hamas e i paesi arabi che li appoggiano. Ecco l’articolo:

Poco prima di rendere l´anima, il Profeta Maometto raccomandò ai suoi compagni di salutare chiunque incontrassero sul loro cammino con le parole «assalam allikum» (letteralmente: la pace sia con voi): un saluto che è una premessa al paradiso. Nel frattempo quest´espressione è diventata banale: la pronunciano tutti i musulmani per darsi il buongiorno o la buonasera. Da qualche anno, molti credenti non rispondono più al telefono col consueto «pronto» o «hallo», ma con la formula «assalam allikum», segno e simbolo dell´identità musulmana. Ora, da quando lo ha pronunciato il presidente Obama, questo augurio è diventato di moda. Quasi tutti gli oratori che hanno preso parte alla conferenza internazionale «Muslim Voices» (Voci musulmane) svoltasi a New York dal 6 all´8 giugno, hanno esordito con il saluto musulmano: e se qualcuno ha riso, altri si sono commossi. All´inaugurazione, il sindaco di New York Bloomberg e quello di Brooklyn si sono mostrati fieri di ripetere questa formula, suscitando gli applausi della sala. Non si era mai visto nulla del genere in questa parte dell´America, profondamente segnata dalla tragedia dell´11 settembre. L´equazione islam = terrorismo sta scomparendo. I sette milioni di cittadini americani di confessione musulmana si sentono riconosciuti, e sono grati a Obama di aver ridato loro la dignità, dichiarando che «l´islam fa parte dell´identità americana»: in queste sue parole hanno ritrovato le ragioni per sperare e dimenticare l´era di Bush. È bastata una formula, e soprattutto un discorso ben preparato perché l´America, o quantomeno buona parte della sua popolazione, incominci a guardare ai musulmani con un po´ di simpatia, o se non altro senza pregiudizi. Obama sa giocare con intelligenza sui simboli, e questa sua forza è un´arma politica che forse non fa miracoli, ma che ha certamente introdotto notevoli cambiamenti nella società americana. Il convegno «Muslim Voices» ha coinciso con un momento storico: quello del discorso pronunciato da Obama all´università del Cairo, rivolto al mondo musulmano. Il dibattito si è imperniato su una domanda fondamentale: come gettare un ponte tra gli Stati Uniti e il mondo musulmano? Il tema generale e lo slogan della Conferenza, cui hanno partecipato quaranta personalità americane, asiatiche, arabe, iraniane, pachistane, indiane, europee, è stato: «Bridging the Divide between the United States and the Muslim World» (Un ponte per superare le divisioni tra gli Stati Uniti e il mondo musulmano). Si è incominciato da una ricerca di definizioni. Che vuol dire artista musulmano? Cosa accomuna uno scrittore arabo, un cantante senegalese, un drammaturgo kuwaitiano, un ricercatore orientalista? L´islam non è solo una religione, è anche una cultura, una civiltà. Il suo travisamento da parte di voci estremiste e fanatiche è un atto anti-musulmano. I pensatori franco-egiziani che si firmano col nome di Mahmoud Hussein hanno dimostrato che l´interpretazione letterale del Corano è un tradimento del messaggio divino. Il loro saggio dal titolo «Pensare il Corano» è un sasso nello stagno del pensiero sclerotico di un islam fossilizzato. È necessario riabilitare il rapporto col diverso. Gli americani del Dipartimento di Stato presenti a quella conferenza hanno detto e ripetuto: dobbiamo attenuare le tensioni esistenti e conoscerci a vicenda. Uno dei tre organizzatori, lo scrittore tunisino Mustapha Tlili, ha promesso di trasmettere la conclusioni di quelle due giornate di riflessione alle ambasciate, al Dipartimento di Stato e ovviamente allo stesso presidente Obama. Il momento è cruciale, anche perché in tutti noi c´è la paura che una qualche disgrazia impedisca a quest´uomo eccezionale di portare fino in fondo la sua audacia. Alcuni oratori hanno fatto riferimento alla coraggiosa politica degli Stati Uniti in Medio Oriente, mettendo in guardia il mondo dall´atteggiamento di Israele, che rifiuta sistematicamente di negoziare una pace giusta e durevole. Si sta delineando una nuova America. Un membro del Dipartimento di Stato si è scusato con un invitato arabo che aveva incontrato qualche difficoltà per ottenere il visto d´ingresso negli Stati Uniti. Il pubblico ha accolto trionfalmente un gruppo di cantanti sufi (mistici musulmani) e il senegalese Youssou Ndour, che ha infiammato la sala con le sue canzoni e musiche africane.

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