Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Che cosa dirà Netanyahu nel suo discorso all’Università Bar Ilan? secondo la Stampa è risorto il PCI (ma la I sta per Israele)
Testata:Il Foglio - La Stampa Autore: La redazione del Foglio - Aldo Baquis Titolo: «Che cosa sta davvero succedendo tra Obama e Netanyahu? Giallo - Obama: Stato palestinese nel 2011»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 10/06/2009, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Che cosa sta davvero succedendo tra Obama e Netanyahu? Giallo " e dalla STAMPA, a pag. 14, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Obama: Stato palestinese nel 2011 " preceduto dal nostro commento. Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - " Che cosa sta davvero succedendo tra Obama e Netanyahu? Giallo "
Gerusalemme. Ieri il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha pubblicato una smentita interessante. Titolo: “L’Amministrazione Obama non sta cercando di rovesciare il governo di Benjamin Netanyahu” (che è invece l’intento attribuito al presidente americano dal decano degli intellettuali neoconservatori americani, Norman Podhoretz, intervistato sul Foglio di sabato 6 giugno). L’articolo di Yedioth Ahronoth racconta che la settimana scorsa – alla vigilia del discorso cairota di Barack Obama – i membri più alti in grado dell’Amministrazione hanno dato le loro rassicurazioni, ma dice anche che il destinatario di queste rassicurazioni non è stato il primo ministro israeliano, che forse più ne avrebbe avuto bisogno, ma il suo ministro della Difesa, Ehud Barak, in visita negli Stati Uniti. Agenda fitta, quella di Barak a Washington: l’ex generale ha incontrato gli uomini più influenti dell’Amministrazione americana per tutto quello che preoccupa Israele. Il vicepresidente Joe Biden, il consigliere per la Sicurezza nazionale Jim Jones, il segretario alla Difesa Robert Gates e il senatore George Mitchell, inviato speciale per il medio oriente. Violando i protocolli diplomatici, all’incontro con il consigliere Jones s’è unito anche per venti minuti lo stesso presidente. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, Obama ha chiesto a Barak che il governo di Gerusalemme dichiari la propria “posizione aggiornata” sulla questione dell’espansione degli insediamenti in Cisgiordania e sul principio “due popoli due stati”. Tempo concordato per dichiarare: sei settimane. Il ministro della Difesa israeliano è entrato nel governo Netanyahu per chiara fama – è stato un comandante militare leggendario – ma non appartiene alla coalizione politica del premier, perché è il capo del Partito laburista, rivale alle ultime elezioni. Barak è nel governo, ma non è del governo. E ora gli americani hanno evidentemente scelto lui come uomo-chiave di collegamento con Gerusalemme. Un’altra rivale politica di Netanyahu, la leader del partito di centro Kadima, Tzipi Livni, a suo tempo ha rifiutato l’intesa con Netanyahu per comporre una coalizione di larghe intese. E’ rimasta fuori, perché spera e confida nella breve tenuta del governo. E ora non perde l’occasione per bordate durissime. “Con Netanyahu si rischia la rottura tra Stati Uniti e Israele”, ha detto ieri in un’intervista alla Stampa. E su Radio Israel usa un tono irridente contro il suo avversario politico: e ora che cosa farai con Obama? “Netanyahu non sa ancora cosa dire nel discorso sul piano di pace che ha annunciato per domenica prossima”. I consiglieri di Netanyahu non stanno a guardare. Ieri hanno fatto circolare sui giornali online la loro versione dei fatti: “Obama cerca lo scontro con il premier come prezzo per ritrovare l’amicizia con gli arabi”. Per smorzare sul nascere le tensioni, ieri l’inviato speciale di Obama George Mitchell si è gettato in una giornata densissima di incontri: ha visto di nuovo Barak per la seconda volta in una settimana, prima delle 8 di mattina, il presidente Shimon Peres alle 11, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman alle 14 e il primo ministro alle 17. “L’alleanza tra Stati Uniti e Israele è indiscutibile”, ha detto. Il discorso di Hamas Domenica Netanyahu terrà un discorso sulla politica di pace israeliana all’Università Bar Ilan, che sarà considerato la risposta ufficiale a quello di Obama all’università cairota di al Azhar. Secondo le prime anticipazioni, Netanyahu farà propria la visione obamiana, fatte salve le condizioni di sicurezza per Israele. Nel discorso la soluzione a due stati non è però citata. Dore Gold, già ambasciatore di Israele all’Onu e ora analista vicino al Likud, spiega al Foglio che non sarà la questione dei settlement in espansione demografica a mettere a rischio le relazioni con Washington. “C’è soltanto bisogno di una nuova intesa sul problema, ma all’effetto pratico si tratta soltanto dell’1,7 per cento del territorio della Cisgiordania”. Un’altra fonte del Foglio nell’ambasciata israeliana a Washington – che preferisce non essere nominata – spiega che è in corso una drammatizzazione ad arte delle relazioni israelo- americane. La stampa internazionale ci sta andando a nozze, “ma la verità è che se Netanyahu sta per dichiararsi d’accordo con le richieste di Obama, deve mostrare di acconsentire soltanto a malincuore, deve ostentare un certo attrito, così Obama guadagna credito con gli arabi. Credito da esigere al momento opportuno”. A Damasco, il leader di Hamas, Khaled Meshaal, già annuncia un discorso con le proposte politiche di Hamas in risposta a Obama. Domenica, subito dopo quello annunciato da Netanyahu.
La STAMPA - Aldo Baquis : " Obama: Stato palestinese nel 2011 "
La foto pubblicata dalla STAMPA (e riportata qui sopra) riproduce una manifestazione a favore di Obama. Curioso lo striscione "The communist party of Israel " dal momento che in Israele il partito comunista non esiste da anni. Che sia resuscitato? Sarebbe il primo miracolo ( di cui non si sentiva la necesità) di Obama nella terra dei miracoli.....
TEL AVIV Due anni di lavorio diplomatico serrato per raggiungere nel 2011 il traguardo di uno Stato palestinese indipendente accanto allo Stato ebraico, finalmente sicuro ed in pace con i vicini. Questo l’obiettivo che il presidente americano Barack Obama ha appena illustrato ai dirigenti israeliani, palestinesi ed egiziani secondo quanto ha appreso l’influente quotidiano arabo a-Shark al-Awsat. Il trampolino di lancio di questa iniziativa, aggiungono fonti israeliane, potrebbe essere costituito da una nuova Conferenza di pace mediorientale, analoga a quella convocata a Madrid nel 1991. Nella nottata di lunedì Obama ha conversato a lungo, per telefono, con Benyamin Netanyahu. Era stato il premier israeliano a prendere l’iniziativa, per anticipargli a grandi linee il contenuto di un intervento politico (fissato per domenica) in cui esporrà per la prima volta in forma dettagliata gli obiettivi del suo governo. «Lo ascolterò con interesse» ha assicurato Obama che si attende in particolare dal leader del Likud un impegno a sostenere la formula dei «Due Stati per i due popoli» e a congelare ogni attività edile nelle colonie della Cisgiordania. Netanyahu, dicono i suoi consiglieri, sta ancora lavorando al discorso e si consulta fra l’altro con uno degli ideologi del Likud, il ministro Beny Begin, figlio dell’ex premier Menachem Begin. A quanto pare, ribadirà che Israele resta vincolato dalla Road Map, il tracciato di pace del 2003. Eppure il discorso di Obama al Cairo desta inquietudine a Gerusalemme: il timore è che Washington abbia deciso di «sacrificare» in parte i legami con Israele per guadagnare nel mondo arabo i punti perduti dalla amministrazione Bush. «Il nostro impegno verso Israele è indistruttibile» ha dunque ribadito ieri a Gerusalemme l’emissario di Obama George Mitchell, leggendo un testo ben calibrato preparato per tempo. «Le nostre sono divergenze di opinioni fra stretti alleati ed amici, non fra avversari». Ma quando si sono spente le telecamere, Mitchell è tornato a dire a Netanyahu, a Shimon Peres e ad Ehud Barak che la costruzione delle colonie rappresenta per gli Usa una dolorosa spina nel fianco, che deve essere rimossa. Alla Knesset il consenso quasi generale è che non è possibile imporre un «congelamento» totale nelle colonie perché non può essere ignorato il normale incremento demografico. Ma dati recenti rivelano che negli anni 2006-9, durante il governo Kadima, il numero dei coloni è cresciuto impetuosamente da 250 a 300 mila (ossia del 20%), e che alla fine del 2008 in Cisgiordania erano in fase di costruzione migliaia di nuove case. La seconda questione che la diplomazia statunitense deve seguire con grande attenzione è quella delle lacerazioni fra i palestinesi stessi. Ieri a Ramallah - alla vigilia di una nuova visita di Mitchell - il convoglio presidenziale è stato centrato da un’auto in corsa e nei primi momenti si è temuto un attentato ad Abu Mazen, che invece si trovava altrove.
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