Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Elezioni in Iran, in arrivo il clone di Khomeini Analisi di Tatiana Boutourline e un paio di panoramiche (troppo ottimiste) su elettori e candidati
Testata:Il Foglio - Il Giornale - La Stampa Autore: Tatiana Boutourline - Laura Feltre - Claudio Gallo Titolo: «L’amazzone islamica di Ahmadinejad - L'Iran fra voto e censura, il web sfida Ahmadinejad - Tutti pazzi per Mousavi»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 10/06/2009, a pag. III, l'articolo di Tatiana Boutourline dal titolo " L’amazzone islamica di Ahmadinejad ". Dal GIORNALE, a pag. 19, l'articolo di Laura Feltre dal titolo " L'Iran fra voto e censura, il web sfida Ahmadinejad " e dalla STAMPA, a pag. 1-15, il reportage di Claudio Gallo dal titolo " Tutti pazzi per Mousavi ". Forse troppo ottimisti e celebrativi gli articoli di Feltre e Gallo. Una eventuale vittoria del candidato "riformista"Mousavi non cambierà la realtà: l'Iran è una teocrazia guidata dall'ayatollah Khamenei, ostile ad Israele, agli Usa e a tutto ciò che riguarda l'occidente e la democrazia. Pena di morte anche per i minorenni, oltre alla lapidazione delle donne e l'impiccagione degli omosessuali, il programma nucleare, l'assenza di libertà d'espressione e d'opinione. Questi sono i caratteri fondamentali del regime iraniano. Difficile credere che la situazione verrà radicalmente modificata dalle prossime elezioni. Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - Tatiana Boutourline : " L’amazzone islamica di Ahmadinejad "
Fatemeh Rajabi
Il presidente si interrompe a ogni frase. Dalla platea dello stadio Azadi un coro ritma ogni concetto al grido: “Ahmadi, Ahmadi!”. E’ un happening elettorale riservato alle signore, dodicimila secondo gli organizzatori. Mahmoud Ahmadinejad inneggia alla resistenza contro l’arroganza globale e promette che, se rieletto, andrà all’Onu a cantarle a chiunque osi minacciare l’Iran. Per la verità è il suo principale avversario, Mir Hossein Moussavi, spalleggiato dalla consorte Zahra Rahnavard, ad aver corteggiato con più assiduità il voto femminile, ma qui siamo in territorio amico. “Devo il mio successo a tre donne: mia madre, mia moglie e la mia maestra”, dice il presidente che si candida per il secondo mandato al voto di venerdì. Una fila di chador neri accoglie la confidenza al grido “lunga vita al futuro presidente”. Ma né la moglie, né la madre, né la maestra di Ahmadinejad si dedicano con più pervicacia alla causa della sua rielezione della giornalista Fatemeh Rajabi, la penna dietro il lirico tomo “Ahmadinejad: il miracolo del terzo millennio”. Sposata al portavoce del governo, Gholam Hossein Elham, Rajabi è la grande urlatrice della campagna elettorale di Ahmadinejad. Se i consiglieri Mojtaba Samareh Hashemi e Mohammed Ali Ramin lo affiancano nelle scelte strategiche e ideologiche, quando si tratta di colpire i nemici sotto la cintura la protagonista indiscussa è l’amazzone islamica Fatemeh Rajabi. La diplomazia non è il suo forte: il suo mondo si divide tra chi ama e odia il suo presidente. Chi non si riconosce nell’“età di Ahmadinejad” è un nemico. Individuato il bersaglio, Rajabi procede con la delicatezza di uno sfasciacarrozze. Occorre delegittimare Moussavi? Eccola partire all’attacco, sancire “uno che da vent’anni non ha più nulla da dire non può capire alcunché dell’Iran e degli iraniani”, insinuare “per quanto ne so Moussavi non partecipa da dieci anni alla preghiera del venerdì” e “come tutti quelli che appartengono allo schieramento riformista il suo vero obiettivo è quello di rovesciare il regime”. Con Mohammed Khatami e Ali Akbar Hashemi Rafsanjani (“i mandanti di Moussavi”) la pasionaria di Ahmadinejad dà il meglio di sé. Del resto rappresentano tutto ciò che detesta Rajabi: la “democrazia islamica” e il “dialogo tra le civiltà” dell’ex presidente-filosofo Khatami e i grandi affari incarnati del mullah-tycoon Rafsanjani. Nessuna donna si era mai permessa di essere tanto urticante. “Io non sono una di quelle che resta a casa a cucinare polow khoresh (riso e spezzatino)”, ripete Rajabi mentre oscura il marito portavoce e le sue requisitorie si fanno strada tra blog e agenzie di stampa e, rilanciate dal quotidiano della milizia Ansar-e-Hizbollah, Ya Lessarat, fioriscono infine sulla bocca di Ahmadinejad. Tanta esposizione le ha fruttato alcuni estimatori e altrettante prese in giro. Lo scrittore comico Ebrahim Nabavi l’ha ribattezzata “Fati la nervosa” e le è grato perché ogni volta che apre bocca “ si apre una pagina di storia della satira”. C’è anche chi l’ha soprannominata la “Sarah Palin iraniana” perché così come la candidata alla vicepresidenza repubblicana ha accusato Obama di essere un frequentatore di terroristi, Rajabi ha imputato a Moussavi relazioni (altrettanto compromettenti in Iran) con Israele e la Cia. Qualche invito alla moderazione è arrivato dalle alte sfere e persino il fratello, lo storico Mohammed Hassan Rajabi, ha ammesso di giudicarla spesso “inopportuna”, ma lei ripete: “In Iran c’è libertà d’espressione” e torna ad intingere la penna nel veleno. Poi cita Ansar News, uno degli organi di stampa dei pasdaran, che in un articolo elenca le “65 qualità per le quali Ali Khamenei apprezza Ahmadinejad” e invita il corpo dei bassiji a una “santa mobilitazione”. Anche la sorta di fatwa di Mesbah Yazdi resa nota ieri è in sintonia con l’amazzone islamica: nei fatti autorizza a intervenire nelle urne per far sì che il responso elettorale rispetti la volontà divina che va naturalmente nella direzione di Ahmadinejad.
Il GIORNALE - Laura Feltre : " L'Iran fra voto e censura, il web sfida Ahmadinejad"
Azar ha il bel viso racchiuso in una hijab nero pece, Alì parla e messaggia con il telefonino. Farah guarda la Bbc, Rashid legge il corano nell'angolo dietro il bancone del bazar. Azar, Alì, Farah e Rashid sono i volti dell'Iran. Trent'anni fa ci fu la rivoluzione di Khomeini. Oggi sembra muoversi, sotterranea, un'altra rivoluzione che nessun presidente, nessuna guida suprema forse potrà fermare. Internet e satelliti stanno portando dentro le case degli iraniani il Mondo. Basta camminare per le strade di Teheran. Le lunghe vesti nere la fanno sembrare una città in bianco e nero. Ma se si abbandona il grandangolo e si usa lo zoom, ecco che si vedono i dettagli. E sono le donne che più di tutti parlano. Il velo in testa ce l'hanno tutte. Ma c'è velo e velo. Le più religiose sono coperte da capo a piedi, avvolte nel grande mantello come in un sudario. Hanno gli occhi bassi, si muovono frettolose, come se chiedessero scusa a ogni passo. Ma poi eccole le (tante) ribelli per le quali il velo è soltanto un pro forma usato per non incorrere nelle sanzioni della polizia del costume che negli ultimo tempi, visto l'andazzo, ha ricominciato a fare controlli, a denunciare e a volte ad arrestare chi non è vestito in modo consono alla legge islamica. Ma Sanaz e le altre vanno avanti imperterrite. Mostrano frange fluenti, fanno guizzare gli occhi bistrati, hanno rossetti vivaci, come impone la moda globale. Sopra i jeans, portano soprabiti attillati che lasciano intravedere le forme sensuali, camminano con i fidanzati tenendosi mano nella mano. E vanno a scuola, tanto che negli istituti superiori sono le più numerose. Eppure la loro testimonianza in tribunale vale la metà di quella degli uomini, i loro diritti ereditari sono inferiori a quelli dei maschi, a nove anni sono già in età da marito ma la maggior parte si sposa a 24 anni, l'età media delle ragazze occidentali. Molte vengono in Italia a studiare. Perugia, Roma, Palermo, Padova. Molte come Simin poi ritornano a casa: «Papà, buon'anima, si era ammalato. Io dovevo stare accanto a mia madre». Non è sposata, non ha un fidanzato, fa una vita che la porta a stare a contatto con la gente di tutto il mondo. «Mi piace così. Io sono religiosa, lo vedi come sono coperta? Ma sono ribelle e libera. Sono persiana». In piazza Jaleh si muovono due mondi. Quello ufficiale fatto di regole e precetti rispettosi della Legge, e quello privato, il regno del possibile e della trasgressione. «In casa abbiamo computer, internet, tv satellitare». Hassan vive in una delle ville nella parte nord di Teheran, la zona dei ricchi, là dove, circondati da un parco ai piedi delle montagne Alborz in primavera ancora innevate, vivevano lo scià e i suoi fedelissimi, le famiglie della temuta Savak, la polizia segreta. Sembra di stare a Montecarlo. Grattacieli, giardini pensili, ville con piscina, suv e auto di grossa cilindrata. Hassan è figlio di una ricca famiglia armena e uno dei 700mila blogger del Paese. Negli ultimi anni gran parte dell'informazione alternativa al regime, passa attraverso una miriade di siti internet, molti con base all'estero. Lo sa bene il consigliere del procuratore generale della Repubblica islamica: «Internet è più dannoso delle televisioni satellitari. Oggi sono molti a sprecare ore davanti al computer e ciò avrà conseguenze pericolose. Porta un danno alla società e dobbiamo mettere a punto dei piani per ridurre questo danno». Avvertimenti e minacce. Ma nelle case si continua a chattare. E a fare feste. Lussuose e scatenate. E allora via con la musica da quella di Shadmehr Aghili agli U2. Via il chador e fuori gli abiti di lusso, scollature, lamé e gioielli. Tutto firmato (o taroccato?): Armani, Dolce e Gabbana, Saint-Laurent. Si parla di tutto, dai fatti privati alla politica. E si scopre che fra i giovani, soprattutto fra gli studenti, la società più ammirata è quella degli Stati Uniti, il Satana degli ayatollah. «Vogliamo avere con loro dei rapporti normali», dice Nader. Suo fratello è uno dei due milioni di iraniani che hanno deciso di vivere là. Molti hanno fatto fortuna e hanno sempre mantenuto rapporti con la loro patria. C'è chi se ne è andato al tempo dello scià, chi è fuggito dopo che il sogno della rivoluzione si è trasformato in un incubo rosso sangue. Chi è rimasto, ha visto negli ultimi trent'anni questo regime cambiare. Dall'ossessione della delazione del vicino di casa, sufficiente a farti finire nella tremenda prigione di Evin, alla chiacchiera politica di oggi, a pochi giorni dalle elezioni del 12 giugno. Si parla per strada, al bar e all'università anche se i dissidenti del regime continuano a essere imprigionati. C'è il sostenitore accanito di Ahmadinejad. «È un uomo pio e onesto. Dopo l'elezione non si è montato la testa, vive nella sua modesta casa nei quartieri meridionali della capitale, quelli dove sta la parte più povera dei 14 milioni di abitanti di Teheran» racconta Mahamoud. Ha 35 anni, fa l'insegnante, guadagna quanto basta per garantire una vita dignitosa a sé e alla famiglia. Non la pensano così le decine di giovani in fila davanti al cinema dove viene trasmesso un film critico nei confronti del regime. Ogni pomeriggio è così. Attendono pazientemente sotto il sole che le sale aprano e inizi la proiezione. «Siamo stufi. C'è troppo malaffare, troppa corruzione. I prezzi aumentano, la disoccupazione pure. Tantissimi di noi sono laureati ma siamo costretti a fare lavori di basso livello perché il mercato non offre altro. Che futuro ci può garantire Ahmadinejad?». Ma è proprio lui, l'ex sindaco di Teheran, a essere in testa nei sondaggi. Lui, candidato a vincere le elezioni e incassare il secondo mandato grazie anche al sostegno dei mullah e al voto delle campagne, non si aspettava però l'offensiva del popolo degli sms. «Se avete intenzione di non andare a votare, pensate a come vi sentirete il 13 giugno, quando verrete a sapere che Ahmadinejad è stato rieletto». Chi ha un telefono cellulare (e un iraniano su due ce l'ha) è bombardato da messaggi simili a questo. E poi e-mail e blog che stanno giocando un ruolo importante in un Paese abituato a ricevere messaggi politici da altoparlanti montati su piccoli furgoni o dai manifesti (pochi) affissi sui piloni lungo le strade, spesso accanto alle immagini dei giovani martiri della guerra combattuta contro l'Irak. Ed è sui giovani che punta Moussavi, ex primo ministro fra l'80 e l'88, gli anni dello scontro con Saddam. Promette la distensione con l'Occidente e più attenzione ai diritti umani. Ma in molti, anche riformisti, lo accusano di non avere carisma, di una campagna elettorale sbiadita. Eppure Reza ci spera anche se sa che l'avversario del presidente non ha il physique du rôle del leader capace di trainare il cambiamento. Fa l’università e dice le stesse cose contenute nel sondaggio condotto da Terror Free Tomorrow: «Vogliamo una vera democrazia, con tutti i leader eletti. Dieci anni fa ragazzi come noi hanno aiutato Khatami a vincere. Ora ci possiamo riprovare». Una speranza. Per ora solo quella.
La STAMPA - Claudio Gallo : " Tutti pazzi per Mousavi "
Zahra Rahnavard e il marito Hossein Mousavi
Mentre si cammina verso lo stadio Heydar Nia, vicino alla vecchia ambasciata italiana, la folla anonima che sformicola per le ampie strade di Teheran comincia ad assumere un volto fatto di colori suoni e movimenti. Lentamente migliaia di macchie monocromatiche si fondono in un enorme serpente smeraldino che urla slogan e cresce fino a occupare il marciapiede a perdita d’occhio. Guardando più da vicino, la creatura nata nella strada torna a trasformarsi nei sorrisi della fiumana di giovani che sfoggiano il verde della campagna elettorale di Mir Hossein Mousavi, il candidato pronto a battere Ahmadinejad nelle presidenziali di venerdì in Iran. I ragazzi vanno a sentirlo, è atteso allo stadio con la moglie e l’ex presidente riformista Khatami. Su un corso laterale è appeso il gigantesco manifesto del presidente. Con il solito sguardo obliquo, è seduto e tiene in mano biro e taccuino. Come dire: mi appunto i vostri suggerimenti. I consigli urlati dalle ragazze che passano come erinni sotto il cartellone, col velo scivolato fino alla nuca, le ciocche di capelli volanti, spegnerebbero il sorriso al vero Ahmadinejad. Dei 46 milioni di persone che hanno diritto al voto, più della metà sono giovani. Tra questa gente in marcia più dell’80% ha meno di 30 anni. Un irrefrenabile impulso di liberazione, percepibile quasi fisicamente, li spinge a sostenere un conservatore illuminato piuttosto che lo scialbo Karroubi, che teoricamente è un vero riformista. Con la sua timidezza, la mancanza di carisma, la voce flebile Mousavi a 68 anni è diventato l'anti-Ahmadinejad. Il presidente è un animale politico che all’istinto non ha saputo aggiungere l’intelligenza. Studi di architettura in Inghilterra, un volto che ricorda Alec Guinness quando faceva Obi-Wan Kenobi, tranne che per il ciuffo bianco, Mousavi è un vecchio protagonista della politica iraniana anche se apparentemente manca dalle scene da una ventina d’anni. Negli infernali Anni 80 della guerra contro l’Iraq fu un primo ministro amato dal popolo per il suo tentativo poi fallito di introdurre un sistema di cooperative per arginare lo strapotere del bazaar. Allora l’attuale Guida Suprema e successore di Khomeini, Ali Khamenei, era presidente e l’attuale candidato conservatore Moshen Rezai comandava i pasdaran. Mousavi è azero, cioè di origini turche. Una sua vittoria segnerebbe la prima volta di un non persiano alla presidenza. Lui si definisce una via di mezzo tra i riformisti e «principisti», che si rifanno agli ideali della rivoluzione khomeinista. Non un centrista, ma sia di destra che di sinistra. Un equilibrio difficile nella pratica. Dice di sé: «Non mi considero separato dal movimento riformista. Non mi considero separato da un buon principismo. Penso che la società possa essere sia riformista sia principista». Sottigliezze politiche che a Nasrin, 25 anni, occhi verdi, velo grigio sui capelli biondi, spolverino fasciante marrone, rossetto sgargiante, trucco marcato, non interessano. Smitraglia il palco dello stadio con una Canon digitale dall’obiettivo esagerato. Dice: «Mousavi è la speranza di una società meno brutale, più gentile, meno ignorante». Non è difficile capire a chi si sta riferendo. Sullo zaino ha un badge con un volto che subito somiglia a Lou Reed ma poi si rivela essere il poeta iraniano Ahmad Shanlu. Ritmi disco si alternano a canzoni della rivoluzione islamica. Sugli spalti e sul prato donne e uomini si dimenano rigorosamente separati. E’ una platea stereofonica: a destra le grida femminili acute, a sinistra quelle più basse maschili. La calca non lascia respiro, la gente che non è riuscita a riversarsi sul campo, occupa le strade e i cavalcavia intorno. Ci saranno 50 mila persone. Khatami ha dato forfait, dicono gli organizzatori. Soha, 23 anni, alta e magra, fasciatissima nel vestito a norma di legge, azzarda: «La gente che vota Ahmadinejad è prigioniera dell’ignoranza. Voto Mousavi anche perché dietro ogni grande uomo c’è una grande donna». Allude alla moglie, Zahra Rahnavard, che Ahmadinejad, nel suo mondo al contrario, ha insultato perché troppo istruita. Zahra è stata a lungo preside dell’università Alzahra di Teheran. Nella zona maschile, Mostafa, 23 anni, è furioso: «Vincerà lui al ballottaggio. Si occuperà dei giovani e caccerà gli incompetenti. Basta con la corruzione». Nei dibattiti tv torna come un tormentone il miliardo di dollari spariti dai conti dello Stato. S’intromette Behnan, 22 anni, alto, gli occhiali e due strisce «verde Mousavi» disegnate sulle guance: «Se Obama è sincero cambierà il mondo». Fuori tema. Mojtaba è uno dei pochi cinquantunenni in questa festa della gioventù. Dice: «Il problema è la disoccupazione. In ogni famiglia ci sono uno o due senza lavoro. Come me per esempio». Il candidato ancora non arriva. Parte un coro: «Era primo ministro con l’Imam e lo è ancora adesso», un tentativo di far cadere la benedizione di Khomeini sulla testa del loro prediletto. Attacca l’inno, tutti in piedi e poi un tale salmodia una sura del Corano. Ma dov’è Mousavi? Sul prato ci sono molte ragazze con il chador nero integrale, eppure portano appese le loro festucce verdi. Dopo una salva di interventi declamati come fossero poesie, arriva finalmente Zahra. Boato assordante che non finisce. Porta una sciarpa verde sul chador nero, sotto si scorge una mantella blu. Non cerca il compromesso: «Quando mio marito sarà presidente, ci saranno grandi cambiamenti». Si leva subito sfrenato un coro: «Marg bar dictator», morte al dittatore. Sempre lui. Zahra accusa le autorità di boicottare la campagna del marito. «Se ci davano un posto decente non dovevamo ammassarci qui dentro», urla tra gli applausi. Intorno al piccolo stadio s’è formata una tale marea umana che alla fine lo stesso Mousavi non riuscirà ad arrivare. Bloccato dalla stessa folla che si era radunata per sentirlo. Ma che importa, nessuno è deluso, ormai basta il suo solo nome per aprire i cuori delle masse giovanili. In fondo qualcuno dovrebbe ringraziare il povero Ahmadinejad.
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