Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Iran: si avvicinano le elezioni Strategie elettorali di Ahmadinejad e Mousavi
Testata:L'Espresso - La Repubblica Autore: Roberto Di Caro - Vanna Vannuccini Titolo: «Guerra santa a Teheran - 'Sarò la first lady iraniana' una donna sfida Ahmadinejad»
Riportiamo dall'ESPRESSO n°23 del 05/06/2009, a pag. 86, l'articolo di Roberto Di Caro dal titolo " Guerra santa a Teheran " e, dalla REPUBBLICA, a pag. 19, l'articolo di Vanna Vannuccini dal titolo " 'Sarò la first lady iraniana' una donna sfida Ahmadinejad " . Ecco gli articoli:
L'ESPRESSO - Roberto Di Caro : " Guerra santa a Teheran "
Il presidente Ahmadinejad affronta le urne. Per celebrare il suo potere. Rafforzare il regime degli ayatollah. E reprimere ogni opposizione. In un Paese sempre più povero L'attacco è frontale: "Se Ahmadinejad vince di nuovo alle presidenziali del 12 giugno, finirà per credere di essere lui stesso il Tredicesimo Imam. E ripeterà i suoi sbagli con pervicacia persino maggiore di prima". I redattori dell'Irna, l'agenzia di notizie della Repubblica islamica d'Iran, devono aver passato un brutto quarto d'ora prima di decidere se riportare, sia pure in un breve dispaccio, frasi del genere contro il presidente in carica; uscite, per giunta, dalla bocca di una donna, Faezeh Hashemi, figlia di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, due volte presidente dall'89 al '97 e grande sconfitto nel 2005 ma tuttora a capo del Consiglio di Discernimento. Il Mahdi o Tredicesimo Imam è infatti la figura chiave dell'escatologia sciita, il ragazzo scomparso nel pozzo destinato a riapparire per instaurare l'Islam nel mondo intero. E Mahmoud Ahmadinejad non fa che ripetere che il suo avvento è vicino, mentre i suoi seguaci ne vedono comparire l'aura luminosa sopra la sua testa quando dalla tribuna delle Nazioni Unite attacca Israele, la Shoah e il 'Grande Satana' americano. Il nocciolo della sfida in atto, punto di svolta per i destini del Paese, sta tutto in quella frase della Hashemi. È vero, infatti, che nessuno dei tre candidati ammessi dal Consiglio dei Guardiani a contrastare il presidente in carica, i due riformisti morbidi Mir Hossein Moussavi e Mahdi Karroubi e il conservatore Mohsen Rezai, rappresenta un pericolo per il regime degli ayatollah e il suo apparato di chierici, pasdaran cioè l'esercito popolare, basiji la milizia civile, fondazioni e istituzioni del welfare islamico che saldano l'alleanza tra lumpenproletariato e fondamentalisti al governo. Ma entro le maglie, sempre più strette, del regime, siamo alla resa dei conti. Da una parte Ahmadinejad e i fondamentalisti, gli 'osulgarian', come si sono ribattezzati, cioè 'principialisti', giacché 'asl' è il principio, l'origine, e al plurale 'osul' sono gli inizi ma anche i valori originari. Nei quattro anni di Ahmadinejad hanno esteso a dismisura il loro potere, occupato l'industria di Stato, epurato le università, chiuso quasi tutti i giornali avversi, blindato sempre più il Web, oscurato a singhiozzo il popolarissimo Facebook. Soprattutto, hanno spostato il terreno di confronto dal futuro del Paese alla fedeltà al passato dell'Islam, dall'economia alla religione, dal crollo del tenore di vita all'orgoglio per il nucleare e per i missili Sajil testé sperimentati. Dall'altra parte, sulla difensiva, sta il resto dell'Iran. Conservatori, pragmatici, riformisti. Senza più intoccabili com'era ancora Rafsanjani fino a un anno fa. Tutti accomunati dai fondamentalisti nel magma di quanti la rivoluzione nella sua purezza l'hanno più o meno tradita o mirano a dissolverla, prestando orecchio alle sirene di un Occidente corrotto e corruttore. La purezza, o quella che tale si ritiene, non conosce mezze misure: qualsiasi diversità diventa un'impurità da cancellare. E questo avverrà se Ahmadinejad vincerà di nuovo: salterà quell'equilibrio, forse ipocrita ma utile ai diversi attori, che ancora fa dell'Iran un paese dove quasi tutto è vietato, ma quasi tutto, di nascosto, si fa. Devono averlo capito in molti, e ciò potrebbe spingere al voto, riducendo l'astensionismo della disillusione che quattro anni fa favorì la vittoria dei fondamentalisti. Devono averlo capito soprattutto i giovani, e più di tutti le ragazze. Erano loro la maggioranza, a fine maggio allo stadio di Teheran nell'anniversario della vittoria di Khatami, al raduno di 20 mila sostenitori di Moussavì, dei tre quello che sulla carta ha più chances di giocarsela al ballottaggio contro il presidente dal giubbino bianco. Appassionate, scandivano slogan, battevano le mani, mostravano le braccia più scoperte del solito (centimetri di polso, s'intende) annodate con nastri verdi, il colore scelto dal candidato come simbolo della battaglia. Verdi erano le fasce sulla fronte, i foulard, i cartelli, persino le unghie smaltate. Poco importa che il 68enne Moussavi, primo ministro ai tempi della guerra Iran-Iraq e sparito dalla scena da vent'anni, non sia certo un trascinatore di folle: accanto a lui c'è sua moglie Zahra Rahnavard, docente alla facoltà femminile di Scienze politiche ed eccellente scultrice (una sua statua raffigurante una madre svetta in piazza Madar). Lei manda in visibilio la platea promettendo un paese "senza più prigionieri politici, e fuori gli studenti dalle galere", lui ha il coraggio di dichiarare che abolirà la 'polizia del velo', Gasht Ershad, letteralmente pattugliamento per orientare i comportamenti, il dipartimento speciale creato due anni fa da Ahmadinejad. Dopo varie foto sui blog di facce sanguinanti e teste rotte dagli agenti uomini e donne, lo stesso presidente era stato costretto a raccomandare, almeno pubblicamente, "un diverso approccio ai nostri concittadini". Verdi sono anche i fazzoletti che gli automobilisti issano sull'antenna o al finestrino dopo che la polizia ha vietato di attaccare ai vetri la foto di Moussavi. Ma la scelta del verde, colore dell'Islam, come simbolo del candidato riformista ha mandato in bestia i fondamentalisti, e scatenato una guerra dei colori che sta scomodando tutta la storia dello sciismo. "Sfortunato il popolo che si lascia colorare ('rangkardan' in persiano significa sia colorare sia ingannare, ndr) dal verde: colore santo, diventa tinta della melma putrida quando compare nel trucco di donne malvelate e nello scialle di uomini e ragazzi corrotti, dei riformisti che vogliono rovesciare il regime!", ha attaccato Fatemeh Rajabi, altra donna chiave della campagna elettorale, autrice del libro 'Ahmadinejad, miracolo del terzo millennio' distribuito ovunque, moglie di quel Gholam Hossein Elham uomo di mille mestieri, consigliere del presidente, ministro della Giustizia, membro del Consiglio dei Guardiani, capo della Commissione per la lotta al contrabbando. Non meno tenera è Rajabi con il bianco scelto da Karroubi, "quello del lenzuolo dei morti", e il blu di Rezai, "colore del nulla di chi senza darlo a vedere cerca di riportare l'economia ai tempi dello Shah". Al presidente, è ovvio, s'addice il nero "di Fatemeh figlia del Profeta e delle donne che mostrano orgogliose dignità e salute morale". Poco dice ancora, la campagna elettorale, di chi sarà il prossimo presidente: tutti ti ricordano come sia Khatami sia Ahmadinejad siano stati, per i persiani non meno che per gli osservatori stranieri, una sorpresa dell'ultima settimana. Ma moltissimo racconta, il durissimo scontro in atto nelle piazze, nelle gerarchie religiose, in alcune università, sui blog e sui giornali, e tra questi e i tribunali che li chiudono, di che cosa l'Iran sia diventato. Fin dall'inizio la campagna è stata di una durezza inusitata. Quando l'ex presidente riformista Mohammad Khatami presentò la sua candidatura, un gruppo di oltranzisti lo aggredì per strada, e 'Kayhan', giornale dei duri diretto da un ex ispettore dell'intelligence, arrivò a scrivere: "Se non si ritira, rischia di fare la fine di Benazir Bhutto". Poco dopo Khatami si è ritirato, ufficialmente per lasciare spazio a Moussavi. Da allora è stato un crescendo di incidenti. I supporters di Ahmadinejad hanno attaccato i meeting di Moussavi e di Karroubi a Shiraz e, a Mashad, con lacrimogeni urticanti. Pestaggi sono avvenuti a Tabriz e a Hamadan, attivisti sono stati arrestati a Yazd, Karaj e altrove. Notizie ufficiose riportano di una nuova violenta aggressione a Khatami nella città di Ahvaz. 'Yas e no', il più noto giornale riformista chiuso cinque anni fa, aveva ripreso le pubblicazioni, ma è stato di nuovo chiuso d'autorità subito dopo l'uscita del primo numero. Stessa sorte era toccata, a febbraio, a 'Kargozaran': che non è dei riformisti ma dei conservatori pragmatici, cioè del gruppo considerato, prima dell'ondata fondamentalista, il baluardo di un Iran saldamente religioso ma attento al business, modello cinese. Non c'è solo il manganello, naturalmente. Il vertice dei pasdaran è sceso in campo con una lettera di pugno del capo della sua sezione ideologica, l'hojatoleslamWalmoslemin Saidi: "L'opinione chiara della Guida Suprema è a favore della rielezione del dottor Ahmadinejad, i comandanti dei pasdaran devono fare in modo che le forze sotto il loro comando appoggino incondizionatamente il governo". A protestare contro un'ingerenza del genere sono stati addirittura gli studenti dell'Università del ministero dell'Informazione, come dire gli aspiranti agenti segreti. La strategia dello staff del presidente gioca fino in fondo la carta della pressione psicologica. Sei mesi fa il governo ha cominciato a trasferire le ossa dei martiri della guerra Iran-Iraq all'interno delle Università, a cominciare da Teheran, e il programma va avanti nonostante le proteste di parte delle famiglie interessate. Fungono, quelle tombe nei campus, da monito e ricatto morale per una generazione che già si ritrova con le associazioni studentesche chiuse dalla polizia, in atenei epurati dai professori non allineati, sostituiti con altri non sempre competenti ma religiosissimi: "Stanno trasformando l'Università in un seminario coranico", commenta uno di loro, "come stupirsi se poi a emigrare sono proprio gli studenti migliori?". Si calcola che la fuga dei cervelli coinvolga ogni anno da 150 a 250 mila giovani. Sono le intelligenze più aperte e preparate, quelle che dovrebbero costruire l'Iran del futuro. Ma non sono loro la base elettorale di Ahmadinejad e degli 'osulgarian'. Lui ha vinto coi poveri. Con quelli cui ha promesso mari e monti quando il petrolio era a 140 dollari al barile. I risultati sono stati disastrosi, a leggere i conti stesi da Mohammad Atrianfar, direttore del citato (e chiuso) 'Kargozaran': "In quattro anni, Ahmadinejad ha avuto a disposizione dal petrolio 300 miliardi di dollari, quanto Rafsanjani e Khatami nei 16 anni precedenti. Ma mentre con loro due il potere d'acquisto era raddoppiato, con Ahmadinejad si è dimezzato". Cioè è tornato ai livelli di due decenni or sono (si veda l'intervista a Said Leilaz a pag. 88). Non che le cifre fermino la tattica del populismo. "Abbasso le patate!", gridavano i riformisti all'arrivo dell'ex presidente Khatami in un villaggio nei pressi di Shiraz. Lui non capiva. Perché mai ce l'hanno con le patate? Gli hanno spiegato che poco prima erano arrivati i supporter di Ahmadinejad e avevano distribuito il tubero ai poveri. Per dimostrare che 'il presidente del popolo' pensa a loro.
La REPUBBLICA - Vanna Vannuccini : " 'Sarò la first lady iraniana' una donna sfida Ahmadinejad "
TEHERAN - Indossano tutti qualcosa di verde, i ragazzi e le ragazze che aspettano, nell´aula magna dell´Università Azad, l´arrivo di colei che sperano di poter chiamare presto la prima First lady della Repubblica islamica. Verde è il colore di Mir Hossein Moussavi, suo marito, il candidato che secondo i sondaggi potrebbe sconfiggere un osso duro come Ahmadinejad, se non tra una settimana, almeno al ballottaggio. Moussavi è un moderato, anche se era stato un hardliner ai tempi della rivoluzione, un architetto che si è tenuto fuori dalla politica per vent´anni dopo aver servito come primo ministro (una carica successivamente abolita) durante la "guerra imposta" contro l´Iraq, quando l´esercito di Saddam attaccò la Repubblica islamica con il beneplacito dell´Occidente e contro ogni previsione fu ricacciato oltre lo Shatt al arab. Insieme ai sostenitori di Moussavi l´aspetta nell´aula un accanito gruppetto di tifosi di Ahmadinejad che non vogliono farla parlare. Lei non perde il controllo. «Senza libertà di parola il pensiero non sarà mai libero», dice. Ribatte con ironia e puntiglio alle loro accuse. Una laurea insufficiente? Ragazzi, dove eravate mentre io ho studiato per dieci anni arte all´Università di Teheran, ho scritto dieci libri, ho preso una laurea in scienze politiche. Da giovane non era religiosa? Voi conoscete la parola del Corano: there is no god but god? (non c´è altro dio all´infuori di Dio): ecco, io sono passata da no god a God. Sessantaquattro anni, scultrice, rettore dell´Università femminile Al Zahra fino a quando Ahmedinejad, non appena diventato presidente, la mandò in pensione insieme a tutti quei professori che non condividevano le sue idee, Zahra Rahnavard è una novità assoluta in questa campagna elettorale. Non era mai successo nella Repubblica islamica che la moglie di un candidato avesse una parte di primo piano. Lei e il marito arrivano ai comizi mano nella mano, modello della coppia presidenziale Obama, ma a chi le chiede se vuole essere come la First lady Usa, Zahra replica: «Non sono come Michelle, ma rispetto tutte le donne, specie quelle molto attive nella vita civile». E´ lei che presenta il marito ed entusiasma il pubblico dicendo che perché il paese possa cambiare, le donne devono arrivare ai posti di comando. Ahmadinejad deve temerla, se nel faccia a faccia televisivo con Moussavi l´ha accusata di avere una laurea breve invece di un dottorato. Ma il suo gesto non è piaciuto nemmeno ai suoi sostenitori, mentre tra le donne si è creata un´ondata di simpatia per Moussavi, che aveva guardato stupito: vedi che uomo per bene, si sono rallegrate le signore di Teheran, dopo tanti anni la vede sempre giovane, l´ama ancora… Se Moussavi è uomo pacato, lei al contrario è sicura di sé. Ha appena girato una parte del secondo spot che suo marito presenterà prima delle elezioni, un colloquio con Fatemeh Motamed Aria, la più amata e la più grande tra le attrici iraniane. Questo spot, dice, sottolineerà di più le visioni riformatrici di Moussavi e meno i suoi meriti di quando era stato primo ministro negli anni di guerra. Alla produzione hanno partecipato i più importanti registi iraniani (settecento artisti hanno invitato a votare per Moussavi). L´onore della nostra patria ha molto sofferto, lei ha detto agli studenti. Che cosa potrà fare un nuovo presidente per ripristinarlo? «Prima di tutto voglio ribadire che la Rivoluzione aveva dato dignità al nostro paese, dignità, libertà e indipendenza. Ma alcuni dei princìpi della rivoluzione sono di fatto cambiati sotto questo governo e questo è un pericolo per il paese. Invece di puntare sullo sviluppo economico si distribuiscono elemosine, il governo galleggia sull´elargizione delle patate (negli ultimi mesi Ahmadinejad ha distribuito, con l´ovvio intento di comprare voti, tonnellate di patate gratis agli agricoltori, oltre a circa 70 euro mensili a famiglia). La libertà è ai minimi livelli dopo la rivoluzione e l´oppressione sociale, specie sulle donne, è altissima. C´è di fatto uno Stato di polizia». Come cambiare? «Mio marito si propone di togliere la censura, avere giornali liberi è la prima necessità, di aiutare le donne, cercando di renderle più libere nell´ambito s´intende della Costituzione, di stimolare l´economia, diminuire la disoccupazione. Gli studenti esclusi dalle università per ragioni politiche devono ritornare a studiare. Oggi gli iraniani sono insultati in tutto il mondo, mentre qui viviamo di slogan paranoici e di posti preparati a tavola per l´arrivo del Messia. Non abbiamo diritto solo all´energia nucleare ma anche al pane, al benessere, alla libertà. Ci vuole un presidente che sia apprezzato nel mondo, che ci renda partecipi della politica internazionale». Prima della rivoluzione, quando stava in America, lei pubblicò un libro sull´hejab, sostenendo che era l´abito più corretto per la donna musulmana.. «Ma poi rifiutai di farlo pubblicare dopo che l´hejab diventò in Iran obbligatorio. Io sono passata dal non portare l´hejab a portarlo, ma per me è stata una scelta, non qualcosa di imposto.
Mousavi e sua moglie
Ahmadinejad
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