Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Obama-Pensiero, parte 3a: le reazioni in Israele La cronaca di Aldo Baquis, l'opinione di Michael Sfaradi
Testata:La Stampa-Informazione Corretta Autore: Aldo Baquis-Michael Sfaradi Titolo: «Israele scettica, troppa indulgenza con gli estremisti -Risentimento nello Stato ebraico:»
Sulle reazioni in Israele pubblichiamo dalla STAMPA di oggi, 06/06/2009 , a pag.11, la cronaca di Aldo Baquis e il commento di Michael Sfaradi.
La Stampa- Aldo Baquis: " Israele scettica, troppa indulgenza con gli estremisti "
Il progetto politico illustrato da Barack Obama al Cairo è ardito e degno di lode, eppure la sua traduzione in realtà resta irta di ostacoli. Sono improntate a scetticismo le reazioni nel mondo politico israeliano: non solo quelle rilasciate a caldo dall’ufficio del premier Benyamin Netanyahu (una nota stringata in cui Israele assicura che lavorerà per la pace, senza però mai perdere di vista le proprie necessità di sicurezza) ma anche quelle di Tzipi Livni, leader di Kadima e principale forza di opposizione al governo. Di sicuro la Livni trova encomiabili i propositi di Obama di puntare alla democratizzazione nel mondo arabo. Ma le ferite dell’ex ministro degli Esteri non si sono ancora rimarginate. Nel gennaio 2006, quando faceva parte del governo di Ariel Sharon, la Livni si era scontrata con gli americani per essersi opposta alla partecipazione di Hamas alle elezioni politiche nei Territori (vinte poi dagli islamici). Con un occhio anche alle prossime elezioni in Libano (dove gli Hezbollah potrebbero conseguire un cospicuo successo) la Livni fa presente ad Obama che esistono movimenti radicali che utilizzano il sistema democratico solo per ottenere legittimità internazionale, ma senza rinunciare alle loro agguerrite milizie e ai loro obiettivi di lungo termine. (Proprio ieri un esponente di al-Fatah ha affermato che Hamas potrebbe tentare un putsch in Cisgiordania, come quello condotto a Gaza nel 2007). Ci sono casi - avverte da parte sua la Livni - in cui le elezioni democratiche si ritorcono su se stesse. Occorre dunque costringere quei movimenti radicali islamici ad una scelta dolorosa: rinunciare alle loro milizie (e alla capacità di intimidire i rivali) oppure restare esclusi dal gioco democratico e dalla legalità internazionale. «Questo codice dovrà essere seguito dagli osservatori elettorali e indicherà agli elettori che votare una forza antidemocratica avrà delle gravi conseguenze per il loro Paese», ha dichiarato la Livni al New York Times. Anche se la stampa locale presenta la nuova politica di Washington come una pesante mazzata per Netanyahu, espressioni di ammirazione per la «visione» di Obama sono giunte ieri anche da un dirigente del Likud: il ministro dell'informazione Yuli Edelstein. Richiesto di esaminare le ripercussioni per Israele, questi ha escluso che Netanyahu possa accettare di rappresentare agli occhi di Obama un elemento negativo, o anche irrilevante alla realizzazione dei suoi progetti. Israele cercherà piuttosto di elaborare una terza via, di associarsi in maniera costruttiva alla politica del Presidente. Come la Livni, anche Netanyahu dubita che i principi illustrati nel discorso del Cairo possano essere tradotti in fatti. «Saremo come un ponte - ha anticipato Edelstein - sospeso tra la visione molto positiva di Obama, tra la realtà regionale che conosciamo fin troppo bene, e tra le cose che comunque non potranno mai avvenire». Una di queste, secondo il Likud, è il congelamento delle colonie in Cisgiordania. «Non possiamo certo dire alle madri di Maaleh Adumim (città-colonia alle porte di Gerusalemme) o di Gush Etzion (Betlemme) di non partorire più!», ha esclamato il dirigente israeliano. Ma tra le linee c’era un barlume di compromesso: se congelamento deve esserci, forse potrebbe avvenire negli insediamenti che si trovano al di là della Barriera di sicurezza, nelle zone più fittamente popolate dai palestinesi. Certo il compito di mantenere il controllo sugli oltre 300 mila coloni non è facile. Le loro frange estreme sono esempre più inquiete: questa settimana hanno minacciato di morte un comandante militare israeliano, hanno attizzato il fuoco in campi palestinesi e ieri hanno creato in Cisgiordania un provocatorio «Avamposto Obama» in aperta sfida al governo. Eventuali pressioni internazionali non preoccupano comunque il governo di Gerusalemme. «Il nostro è un governo stabile, allargato ai laburisti, nessuno - afferma Edelstein - può dire che siamo estremisti». «Gli Stati Uniti restano per noi un importante partner strategico, specialmente per la questione iraniana. A volte fra amici bisogna sapersi dire la verità, anche se si manifestano dissensi. In definitiva, sapremo lavorare assieme».
MICHAEL SFARADI: RISENTIMENTO NELLO STATO EBRAICO. UN VETERANO: “L’URSS SAREBBE STATA UN ALLEATO MIGLIORE”
Dato per scontato che le elezioni libanesi di oggi saranno un plebiscito a favore di Hezbollah e questo in Israele è addirittura visto come un vantaggio: al prossimo atto terroristico il mandante avrà un nome non potrà nascondersi dietro a dichiarazioni d’impotenza. Parlando con il mio amico Igal (si tratta di un nome di fantasia) ufficiale della riserva e veterano della guerra del Libano 1982 “pace in Galilea”e di tante altre missioni, è uscita allo scoperto la teoria che se avessimo avuto l’Unione Sovietica come referente avremmo vinto le guerre usando i Mig ed i Kalashnikov ed oggi non esisterebbe un problema palestinese. “Gli Usa sono stati un alleato ingombrante e spesso ci hanno legato le mani costringendoci a vivere sotto il fuoco di attentati nelle città ed aggressioni ai confini senza poterci difendere né rispondere. I lunghissimi=2 0anni di Sderot sono l’esempio più classico. Gli Stati Uniti hanno forse dimenticato che anche loro hanno bisogno di Israele”.Queste frasi spiegano il disagio e la voglia di vivere anche senza l’alleato storico, anche perché non è stato solo Israele a guadagnare da questa alleanza ma anche agli Stati Uniti ai quali ha fatto comodo avere lo Stato ebraico come avamposto durante la guerra fredda e, in tempi più recenti, nel confronto con l’estremismo islamico.Obama, dopo aver avvertito Israele che non avrà più l’appoggio automatico degli Usa in sede Onu, puntandogli una “pistola alla tempia”, ha detto ai palestinesi che devono fare la loro parte per raggiungere la pace chiedendo ad Hamas il riconoscimento di Israele non rendendosi forse conto di quanto, allo stato attuale, questo sia impossibile.La pace a tutti i costi e ad ogni costo è pericolosa e il suo concedere la possibilità dell’Iran nucleare anche se paci fico getta una triste ombra sul futuro.Si sta facendo strada il timore che questo presidente sarà la più grande delusione contemporanea. Il Vietnam è stato l’esempio più eclatante che qualche volta gli Stati Uniti si dimenticano di coloro che hanno combattuto al loro fianco, ma Obama deve capire che Israele, anche se vuole la pace, non è in vendita e non la si può costringere a concessioni territoriali che creerebbero tensioni interne.E’ anche possibile che gli Stati Uniti, alla prossima crisi, si ritroveranno in un incubo ad occhi aperti e scopriranno che l’Europa sa voltare la faccia e che gli arabi sanno quanto alzare il prezzo della collaborazione.La Russia vuole cooperare con Israele nel campo della difesa e dell’antiterrorismo e se il prezzo per sopravvivere è quello di “allearsi con il diavolo” forse lo Stato ebraico sarà costretto a farlo, con il vantaggio che questo potrà convincere Mosca a non sostenere più i regimi siriano e iraniano.
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