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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.06.2009 2006, una strage mancata
L'articolo di Guido Olimpio, Biagio Marsiglia

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 giugno 2009
Pagina: 23
Autore: Guido Olimpio - Biagio Marsiglia
Titolo: «Volevano colpire il metrò. Presi 5 terroristi a Milano»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/06/2009, a pag. 23, l'articolo di Guido Olimpio e Biagio Marsiglia dal titolo " Volevano colpire il metrò. Presi 5 terroristi a Milano ".

MILANO — L’ordine di fare saltare la metropolitana di Mila­no, «perché è la città di Berlu­sconi e perché l’Italia collabora con gli americani», arrivò dal­l’Algeria. Proprio come quello di radere al suolo la Basilica di San Petronio, a Bologna, dove è conservato il quadro di Giovan­ni da Modena che ritrae Mao­metto in un girone infernale. E a decidere la strategia del terro­re, nel marzo del 2006, furono i vertici del Gspc, il «Gruppo sa­lafita per la predicazione e il combattimento» che si avviava a schierarsi al fianco di Al Qae­da. L’obiettivo era quello di in­fluenzare le imminenti elezioni politiche, così come era accadu­to in Spagna.
Parole chiare, quelle ascolta­te da Ameur Laredj, algerino, 29 anni, che a quel punto si ri­mise il sacco in spalla e ripartì per l’Italia, alla volta di Milano, dove viveva da clandestino as­sieme agli altri della «compa­gnia » lombarda. Una volta tor­nato avrebbe dovuto arruolare cinque persone, trovare l’esplo­sivo e dare seguito alla volontà dei salafiti.
Se oggi si sa tutto di quel pia­no lo si deve al lavoro dei cara­binieri del Ros di Milano ora di­retto dal colonnello Sandro San­dulli. Indagine, quella dell’Ar­ma, sfociata in cinque ordini di custodia cautelare per terrori­smo internazionale. Nel miri­no, oltre a Laredj, due marocchi­ni e due tunisini, tra cui Moha­med M’Sahel, 40 anni, esponen­te di spicco internazionale del terrorismo islamico già detenu­to in Marocco.
L’ultimo della lista, Houcine Tarkhani, 42enne, è stato arre­stato solo pochi giorni fa men­tre tentava di sbarcare a Lampe­dusa. I carabinieri lo hanno in­dividuato
subito e dopo gli op­portuni accertamenti lo hanno ammanettato nel centro di acco­glienza di Caltanissetta. Quan­do gli hanno notificato l’ordi­nanza, lui non ha fatto una pie­ga. Impassibile, ha replicato in francese: «È strano».
Ma non è affatto strano il suo comportamento da soldato della Jihad. Lo hanno preparato a negare l’evidenza, a seminare chi lo seguiva, a tenere i contat­ti con un network diffuso dal Marocco all’Iraq passando per l’Europa. Rispetto ad altri estre­misti, il nucleo che aveva come guide i tunisini Tarkhani e
Mohammed M’Sahel ha mostra­to un profilo più alto. Lo rivela­no i documenti recuperati dal Ros. Gli indagati non sognava­no la guerra solo tra le pareti di casa, ma la facevano davvero. Pianificando attentati e invian­do kamikaze nella fornace ira­chena. Tra gli obiettivi il quar­tier generale dei servizi segreti francesi, la linea 14 del metrò che collega Saint Lazar alla bi­blioteca Mitterrand e un centro commerciale francese. Ma nel mirino c’erano anche l’amba­sciata americana a Rabat e altri edifici in Danimarca.
In una conversazione telefo­nica M’Sahel e un complice, Sa­ber, parlano di un amico. Sa­ber: «E Ridha, sta bene?» M’Sahel: «Sì, sta bene, grazie a Dio». Saber: «Salutamelo quan­do lo contatti». M’Sahel: «Lo contattiamo in Paradiso». Ri­dha, probabilmente, è morto da «martire» facendosi saltare
per aria. Uno dei tanti mujahed che ha seguito le proprie con­vinzioni e tenuto conto dei sug­gerimenti.
Dall’inchiesta emerge poi chiaramente una cellula se­mi- organizzata ma con punti di riferimento solidi, gli «emiri» Abu Leith e Abu Hamza. Una connessione che conferma le analisi dell’intelligence. In Nord Africa gli islamisti algeri­ni hanno federato, sotto il loro cartello, i salafiti tunisini, ma­rocchini e libici, di fatto trasfor­mando i combattenti regionali in qaedisti internazionali. La re­te si è poi moltiplicata in Italia, Francia e Belgio.
I «milanesi» vivevano a ri­dosso della moschea e si finan­ziavano anche spacciando coca­ina. Il loro sogno era trovare «un italiano» da arruolare e spe­dire al cospetto di Al Zawahiri. L’impegno quotidiano, invece, era il reclutamento di fratelli da spedire nei campi di addestra­mento in Pakistan o in Afghani­stan. In tasca, per loro, 500 eu­ro e un biglietto di sola andata.

M’Sahel Mohamed, uno degli arrestati, e gli incontri tra i terroristi islamici filmati dai carabinieri del Ros a Milano

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