Abbiamo appena sentito l'intervento di Barack Obama al Cairo, quello che molti temevano si è avverato. Al di là delle frasi di circostanza , "con Israele, legame indissolubile ", " i palestinesi abbandonino la violenza ", " Isaele riconosca i diritti dei palestinesi ad un loro stato " e via discorrendo, è sull'Iran che Obama ha mostrato la debolezza del suo intervento. L'Iran, in sostanza, ha il diritto di possedere l'atomica perchè non sarebbe giusto che non l'avesse, certo, l'uso deve essere civile ecc.ecc. e quanto sarebbe bello il mondo se non ce l'avesse nessuno. Esamineremo domani i commenti che usciranno. Per ora, purtroppo, la conferma di una personalità al di sotto di ogni previsione.
Sul discorso al mondo musulmano di oggi, 04/06/2009, che Barack Obama terrà al Cairo , pubblichiamo l'intervento di Piera Prister, dagli Stati Uniti e due servizi di Maurizio Molinari, inviato al seguito del presidente americano dalla STAMPA, una cronaca con le minacce di Osama Bin laden e l'intervista con lo speechwriter Ben Rodhes. In altra pagina di IC, cronache, interviste, commenti.
INFORMAZIONE CORRETTA- Piera Prister: " Quello che Obama dira’ e non dira’ al Cairo alla presenza di Mubarak"
In vista del solenne discorso alla nazione arabo-musulmana che terra’
Obama oggi al Cairo, noi irriverenti ce la prendiamo
un po’ a sfotto’ mentre siamo qui tutti riuniti a fare i pronostici,
cullati dall’onda delle note scherzose di un minuetto mentre
sfogliando una margherita, ci chiediamo in coro: “Obama fara’
l’inchino o non fara’ l’inchino?” Forse che si’ forse che no, comunque
curiosi come siamo e inclini alla leggerezza, che in questo caso non
guasta, stiamo scommettendo. Ma no, Mubarak dopotutto e’ si’ un
musulmano, ma non e’ un’autorita’ religiosa come il saudita Abdullah,
“Guardiano delle due sacre moschee” della Mecca e di Medina,
bastera’ quindi una calorosa stretta di mano, forse un abbraccio e un
deferente cenno di rispetto.
Lasciamo fare ad Obama, perche’ Obama sa, in fatto di
multiculturalismo non lo batte nessuno, ne conosce a menadito
l’abbecedario che da sempre e’ stato il suo pane quotidiano, e in
piu’ e’ legato al mondo dell’Islam affettivamente e culturalmente,
dove infante ha mosso i primi passi. Nulla da eccepire quindi ed ora
proseguiamo con un tono un po’piu’ grave e maestoso come richiede il
discorso che fara’.
Premesso che Obama in quanto presidente degli Stati Uniti potrebbe
far molto, per il riscatto di quei milioni e milioni di musulmani
deprivati che vivono nella miseria e nella ignoranza,
nell’indottrinamento e nell’odio, questa sarebbe una buona occasione
per inchiodare quei regimi oppressivi alle loro responsabilita’che
non sono sempre e solo degli altri. Ma in fatto di responsabilita’
Obama puntera’ il dito solo contro l’America ed Israele.
rispetto dei popoli arabi abbracciandoli tutti “con pari studio e
paternale amore” in un percorso a senso unico senza reciprocita’ e
senza mutualita’ Naturalmente senza far cenno che tale pace non puo’
essere raggiunta senza richiedere alla controparte la dissociazione
dal fondamentalismo islamico o jihad , anzi dal terrorismo che sono
parole che non usciranno mai dalla sua bocca, interdette e bandite
come sono dal lessico della nuova era obamiana. E non parlera’ di
democrazia, ne’ di rispetto dei diritti umani, ne’ di rispetto delle
donne e delle minoranze tutte. Non un accenno alle grandi masse di
diseredati analfabeti ed indottrinati sotto il giogo di quei perversi
regimi islamici da incubo che impiccano, tagliano teste gole e mani e
sinistramente lapidano, che tengono schiave le donne, non una parola a
favore dell’ elevazione sociale e culturale di quei popoli..
Un totale silenzio sui valori della democrazia, sulla maesta’ della
legge, sui diritti e sui doveri, e sul pluralismo d’idee e di
religioni.
piu’ apologetico dei presidenti americani che piu’ apologetico non si
puo’, quindi chiedera’scusa ancora, come lo fara’ domani in Germania
per il bombardamento di Dresda che poi a dire il vero fu l’ordine che
diede Churchill di raderla al suolo dopo che i Tedeschi avevano
bombardato Coventry. Ma e’ notorio che Churchill a Obama non piace, de
gustibus non est disputandum, per cui continuera’ a chiedere scusa,
tanto che con una scusa dopo l’altra finira’ con il nuocere ai buoni
e a fare il gioco dei cattivi, lui che sarebbe capace di chiedere
scusa anche a quegli aguzzini che lapidano le donne o infieriscono su
un omosessuale perche’ dopotutto quelle sono le loro buone tradizioni.
Baro com’e’, con il suo modo di fare, trattera’ gli Arabi alla pari e
gli Israeliani come vassalli, i musulmani con amore e con
pregiudizio gli ebrei. Anzi dettera’ ordini solo ad Israele senza il
rispetto dovuto alla sua sovranita’ e alla sua unicita’. Se la
prendera’ con Israele che dopo 61 anni, non crede piu’ a quelle paci
di Camp David, Oslo, Road Map for Peace, che gli hanno da sempre
imposto gli altri e che non hanno portato mai alla pace. Sono decine e
decine di migliaia i soldati israeliani uccisi, gli eroi caduti per
difendere il loro paese nelle guerre subite dallo stato ebraico sin
dalla sua fondazione, per non parlare dei civili. Ma il sangue versato
da loro per Obama e’ solo acqua, come acqua e’ quello versato dai
soldati americani in Iraq, che sia stato per difendere gli Stati Uniti
dopo l’11 settembre, per esportare democrazia o per abbattere quel
regime genocida di terrore di Saddam che gasava e che assegnava
25.000 dollari alle famiglie palestinesi dei bombaroli suicidi, come
carne da cannone.
“ Signor presidente, si ricordi d’essere americano”! Cosi’ scriveva
l’altro giorno Charles Krauthammer dal The Washington Post, e come per
dire, sia sempre orgoglioso del suo paese, una terra generosa, di cui
essere fieri, che da sempre ha esportato democrazia nel mondo ad alto
prezzo e con duri costi di vite umane. Non svilisca l’America, non
svenda Israele!
LA STAMPA-Maurizio Molinari: " Osama sfida Obama: Sei uguale a Bush "
Osama Bin Laden sfida Barack Obama alla vigilia dell’odierno discorso del Cairo sull’apertura all’Islam. Il leader di Al Qaeda è tornato a farsi vivo con un messaggio audio del quale la tv araba Al Jazeera ha dato notizia, in coincidenza con l’atterraggio dell’Air Force One a Riad, prima tappa del viaggio presidenziale in Medio Oriente ed Europa. Mentre le tv saudite trasmettevano in diretta le 21 salve di cannone, gli inni nazionali e la stretta di mano fra re Abdullah e l’ospite americano, Al Jazeera rubava la scena con Bin Laden che accusava gli Stati Uniti di «condurre una campagna di morte, bombardamenti e distruzione» nella valle dello Swat nel nord-ovest del Pakistan, dove le forze di Islamabad alleate di Washington stanno attaccando le roccaforti dei taleban. «Anziani, donne e bambini hanno perso la dignità con le loro case, ora vivono in tende» dice Bin Laden, ammonendo: «Americani, preparatevi a raccogliere quanto i leader della Casa Bianca hanno seminato».
L’affondo contro l’attuale Presidente è diretto: «Obama e questa amministrazione hanno gettato nuovi semi dell’odio e della vendetta contro l’America, i semi sono tanti quanti i profughi della valle di Swat». Nel messaggio il leader di Al Qaeda ripete «amministrazioni Bush-Obama» puntando a delegittimare Barack proprio nel momento in cui arriva in Medio Oriente per proiettare una nuova immagine degli Stati Uniti. Il riferimento alla valle dello Swat è mirato a sollevare agli occhi dei fondamentalisti un preciso capo d’accusa contro Obama, in quanto le operazioni anti-taleban dei pakistani sono iniziate dopo il suo insediamento.
Le minacce di Bin Laden vengono all’indomani del messaggio del suo vice, l’egiziano Ayman Al Zawahiri, che aveva paragonato Obama a Bush e coincidono con l’esecuzione dell’ostaggio britannico Edwin Dyer in Mali suggerendo la possibilità che Al Qaeda tenti di riprendere l’iniziativa.
Obama e il re saudita hanno discusso dei messaggi di Al Qaeda durante il summit nel ranch del monarca fra le dune alla periferia di Riad mentre i rispettivi portavoce tentavano di gettare acqua sul fuoco. «Nelle parole di Bin Laden contro l’America non c’è molto di nuovo, sono simili a quelle del passato, Al Qaeda tenta di allontanare l’attenzione dal discorso del Cairo» ha detto il portavoce Usa Robert Gibbs mentre Niaj al-Juber, del ministero dell’Informazione saudita, ha parlato di «rantoli che provengono da chi si rifugia nelle caverne».
I due leader hanno voluto sfruttare il summit nel deserto per sottolineare la forte intesa, personale e politica, sull’agenda da perseguire in Medio Oriente. Re Abdullah ha consegnato all’ospite un medaglione dorato - alta decorazione ufficiale del regno - paragonando l’incontro nel ranch a quello avuto nello stesso luogo fra Franklin Delano Roosevelt e il fondatore della monarchia, Abdul Aziz.
L’ospite ha risposto ribadendo la volontà di dare inizio ad un «capitolo nuovo nei rapporti fra America e musulmani» con la tappa «nella terra dove l’Islam è iniziato» dicendosi fiducioso sulla possibilità di «lavorare assieme su temi di mutuo interesse» a cominciare dalla comune opposizione ad un Iran dotato di armi nucleari e dalla composizione del conflitto arabo-israeliano sulla base della proposta saudita del 2002 che prevede totale riconoscimento di Israele da parte dei Paesi arabi in cambio del totale ritiro dai territori occupati nel 1967. A tale riguardo Abdullah ha chiesto a Obama di «mandare un segnale chiaro sulla soluzione del problema palestinese». Obama nel colloquio ha sollevato anche le questioni energetiche, facendo presente che è nell’interesse saudita la riduzione delle importazioni di greggio americane perché «stabilizzeranno i prezzi» e in quanto «le risorse di greggio non sono illimitate». Washington cerca il sostegno di Riad a un accordo sulla riduzione delle emissioni di gas serra da siglare in dicembre alla conferenza Onu di Copenhagen.
LA STAMPA-Maurizio Molinari: " Un sì all'islam, no agli ultrà "
Trentuno anni di età, laureato in «fiction» alla New York University, sherpa dei democratici sull’Iraq e con un romanzo incompiuto sulla scrivania del suo monocamera di Manhattan, intitolato «Oasi d’amore». Questo è Ben Rhodes, lo «speechwriter» di politica estera con cui Barack Obama ha lavorato da quasi un anno per redigere il discorso che oggi pronuncerà al Cairo. Finora Rhodes è rimasto nell’ombra, alle spalle di Jov Favreau capo del team degli «speechwriters» e di quattro anni più giovane di lui, ma alla vigilia dell’appuntamento all’Università Al Azhar esce allo scoperto per la prima volta presentandosi nella sala stampa della Casa Bianca all’hotel Marriott di Riad.
Il look è quello dello stakanovista: completo blu impolverato, volto affaticato, un po’ calvo. Attorno a lui ci sono consiglieri ben più noti del presidente: il guru politico David Axelrod, il portavoce Robert Gibbs e Denis McDonough, nome emergente nel consiglio di sicurezza nazionale. Ma tutti fanno un passo indietro per lasciare a lui palco e riflettori. E’ un debutto che gli insiders di Washington aspettavano dal 2006, quando fu lui a scrivere per il democratico Lee Hamilton il rapporto dello «Iraqi Study Group» che suggerì a Bush di cambiare strategia a Baghdad, e Obama aveva deciso di premiarlo al ritorno dal recente viaggio a Praga, quando l’«Economist» pubblicò integrale il discorso contro le armi di distruzione che lo sherpa-romanziere aveva redatto con cura.
«Questa volta è stato diverso - esordisce Rhodes, voce bassa e cartella di cuoio sotto il braccio, forse con dentro la versione finale del testo - perché il Presidente è intervenuto a più riprese nel corso di mesi, confermando la grande attenzione che assegna al messaggio all’Islam». I reporter lo subissano di domande tentando di strappargli qualche anticipazione e lui non li delude. «Il primo punto sarà l’impegno diretto con il mondo dell’Islam, nel mutuo rispetto e con mutui interessi» e subito dopo «il presidente affronterà a viso aperto le incomprensioni esistenti parlando dell’estremismo violento e della risposta che l’America ha deciso di dargli, di che cosa facciamo in Afghanistan e Pakistan, del nostro ruolo in Iraq, della sua visione sulla pace in Medio Oriente, della democrazia, dei diritti umani e delle iniziative positive che l’America e i Paesi musulmani possono intraprendere assieme, creando partnership su terreni come la salute e la tecnologia».
Rhodes non tradisce neanche una citazione ma quella che descrive è la scaletta di un discorso di 45 minuti «sul quale lavoriamo dai tempi della campagna ma che è solo un passo nel percorso iniziato con l’intervista ad Al Arabiya, il messaggio agli iraniani per Nowruz e quanto detto al Parlamento di Ankara e agli studenti di Istanbul». Come dire: niente attese eccessive perché la decisione di Obama di riportare l’America nel mondo musulmano è «robusta e durerà nel tempo». In questa cornice un approccio particolare che Rhodes ha messo per iscritto su indicazione di Obama è che «l’identità islamica fa parte di quella americana» come dimostrano i milioni di cittadini seguaci di Maometto che fanno degli Stati Uniti «uno dei Paesi con più musulmani».
Ma non è tutto: il giovane romanziere newyorkese è, come tutti gli «Obama boys», proiettato nel mondo delle nuove tecnologie e dunque una delle caratteristiche del discorso del Cairo sarà la poderosa operazione mediatica con cui Washington si appresta a diffonderlo dal Marocco all’Indonesia. Il Dipartimento di Stato metterà in rete in tempo reale versioni in arabo, persiano, urdu, inglese ed ebraico consentendo a chi lo desidera di inviare sms di commento attraverso il sito www.america.gov.sms. Al tempo stesso il discorso verrà diffuso attraverso Facebook «il sito di socialnetwoking più diffuso nel mondo musulmano con 20 milioni di utenti» come anche via Twitter e siti analoghi molto popolari fra i giovani dell’Estremo Oriente. Alla fine è Axelrod a trarre le conclusioni di quanto detto da Rhodes: «Il fine del Presidente è parlare chiaro con tutti, come fa in America».
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