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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.06.2009 Non preoccuparti Israele, te lo dice il consigliere per la sicurezza di Clinton
E' Sandy Berger, l'ha intervistato Alessandra Farkas

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 giugno 2009
Pagina: 3
Autore: Alessandra Farkas
Titolo: «Ma l'apertura agli arabi non deve spaventare Israele»

C'è chi vede il viaggio di Obama in colore rosa. Alessandra Farkas sul CORRIERE della Sera di oggi, 03/06/2009, intervista Sandy Berger, in un articolo dal titolo " Ma l'apertura agli arabi non deve spaventare Israele ". Sandy Berger è stato consigliere per la sicurezza con Clinton. Da come sono andate le cose in quegli anni, forse dovrebbe smetterla di dare consigli. Israele non è spaventato da Obama. Preoccupato, sì, come chiunque abbia un po' di cervello.  Bene ha fatto Alessandra Farkas a intervistarlo, ci ha fatto tornare in mente lo stato della sicurezza negli anni di Clinton, Ecco l'intervista:

 Sandy Berger è quello a destra

NEW YORK — «Dall’intervista alla Bbc  si intuisce che quello di Barack Obama in Medio Oriente sarà un viaggio di portata storica che segna una svolta radicale rispetto alla politica estera del predecessore George W. Bush». Parla il 63enne Sandy Berger, ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Bill Clinton, oggi copresidente della ditta di consulenza internazionale Stonebridge. «Obama sta facendo uno sforzo vigoroso per tendere la mano al mondo islamico — spiega Berger —. Non era mai successo. Abbiamo alienato milioni di persone in Medio Oriente con la guerra in Iraq che adesso per fortuna sta finendo, offrendoci di voltare pagina. Riavviere­mo il processo di pace tra Israele e i pale­stinesi ed incoraggeremo l’Iran a porre fi­ne al nucleare, con la diplomazia».

Secondo alcuni critici, in America come in Europa, la politica obamiana non si di­scosta nella sostanza da quella di Bush.

«Si sbagliano. Bush ha ini­ziato una guerra che Obama è deciso a concludere. Bush ha ignorato il processo di pa­ce in Medio Oriente fino al­l’ultimo, quando ormai era troppo tardi per fare qualco­sa, mentre Obama l’ha posto sin dall’inizio come sua prio­rità. E al contrario di Bush, Obama sostiene il dialogo con l’Iran».

Qual è l’elemento più im­portante nell’intervista alla Bbc?

«Offrire l’America come modello, rifiutando il principio dell’impo­sizione dei valori americani. Obama ha buttato alle ortiche l’esportazione della de­mocrazia e i famigerati cambi di regime di Bush. Oggi l’America vuole essere un faro, non un poliziotto».

Riuscirà a convincere il mondo arabo che l’America è cambiata?


«Non sarà facile ma penso che ci riusci­rà. La storica elezione del primo presiden­te afro-americano ha già inviato un poten­te messaggio al resto del mondo. E Obama ha indicato senza mezzi termini di non es­sere un arrogante predicatore. Lui vuole dialogare in maniera rispettosa, ascoltan­do il suo interlocutore. Un cambiamento che tutti hanno notato ed apprezzato».

Quali sono i pericoli di questo storico viaggio?

«Il discorso al Cairo è delicato perché è rivolto a diverse platee. Quella araba e mu­sulmana, particolarmente sensibile dopo otto anni di scontri con l’amministrazione Bush. Gli ebrei d’Israele, preoccupati do­po i suoi recenti disaccordi col premier Ne­tanyahu. Il pubblico a casa, ansioso di vol­tare pagina».

Israele deve temere l’indebolimento della storica amicizia?

«Assolutamente no. Abbiamo un rap­porto strategico e di amicizia fortissimo con lo Stato ebraico e nulla di ciò che Oba­ma ha detto in questi giorni lo mette a ri­schio. Obama pensa che sia nell’interesse d’Israele perseguire la pace. Per questo parla in maniera onesta e diretta col suo grande alleato sulla necessità di creare uno Stato Palestinese. Ponendo fine agli insediamenti che mettono a rischio que­sto Stato».

Cosa riuscirà a portare a casa Obama da questo viaggio?

«Una rinnovata amicizia con i leader e la piazza del mondo arabo, sauditi, egizia­ni e giordani che alla fine aiuterà soprat­tutto Israele. Perché questi Paesi sono pronti a risolvere gli antichi conflitti e aspettano solo che Israele faccia un passo nella loro direzione».

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lettere@corriere.it

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