C'è chi vede il viaggio di Obama in colore rosa. Alessandra Farkas sul CORRIERE della Sera di oggi, 03/06/2009, intervista Sandy Berger, in un articolo dal titolo " Ma l'apertura agli arabi non deve spaventare Israele ". Sandy Berger è stato consigliere per la sicurezza con Clinton. Da come sono andate le cose in quegli anni, forse dovrebbe smetterla di dare consigli. Israele non è spaventato da Obama. Preoccupato, sì, come chiunque abbia un po' di cervello. Bene ha fatto Alessandra Farkas a intervistarlo, ci ha fatto tornare in mente lo stato della sicurezza negli anni di Clinton, Ecco l'intervista:
Sandy Berger è quello a destra
NEW YORK — «Dall’intervista alla Bbc si intuisce che quello di Barack Obama in Medio Oriente sarà un viaggio di portata storica che segna una svolta radicale rispetto alla politica estera del predecessore George W. Bush». Parla il 63enne Sandy Berger, ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Bill Clinton, oggi copresidente della ditta di consulenza internazionale Stonebridge. «Obama sta facendo uno sforzo vigoroso per tendere la mano al mondo islamico — spiega Berger —. Non era mai successo. Abbiamo alienato milioni di persone in Medio Oriente con la guerra in Iraq che adesso per fortuna sta finendo, offrendoci di voltare pagina. Riavvieremo il processo di pace tra Israele e i palestinesi ed incoraggeremo l’Iran a porre fine al nucleare, con la diplomazia».
Secondo alcuni critici, in America come in Europa, la politica obamiana non si discosta nella sostanza da quella di Bush.
«Si sbagliano. Bush ha iniziato una guerra che Obama è deciso a concludere. Bush ha ignorato il processo di pace in Medio Oriente fino all’ultimo, quando ormai era troppo tardi per fare qualcosa, mentre Obama l’ha posto sin dall’inizio come sua priorità. E al contrario di Bush, Obama sostiene il dialogo con l’Iran».
Qual è l’elemento più importante nell’intervista alla Bbc?
«Offrire l’America come modello, rifiutando il principio dell’imposizione dei valori americani. Obama ha buttato alle ortiche l’esportazione della democrazia e i famigerati cambi di regime di Bush. Oggi l’America vuole essere un faro, non un poliziotto».
Riuscirà a convincere il mondo arabo che l’America è cambiata?
«Non sarà facile ma penso che ci riuscirà. La storica elezione del primo presidente afro-americano ha già inviato un potente messaggio al resto del mondo. E Obama ha indicato senza mezzi termini di non essere un arrogante predicatore. Lui vuole dialogare in maniera rispettosa, ascoltando il suo interlocutore. Un cambiamento che tutti hanno notato ed apprezzato».
Quali sono i pericoli di questo storico viaggio?
«Il discorso al Cairo è delicato perché è rivolto a diverse platee. Quella araba e musulmana, particolarmente sensibile dopo otto anni di scontri con l’amministrazione Bush. Gli ebrei d’Israele, preoccupati dopo i suoi recenti disaccordi col premier Netanyahu. Il pubblico a casa, ansioso di voltare pagina».
Israele deve temere l’indebolimento della storica amicizia?
«Assolutamente no. Abbiamo un rapporto strategico e di amicizia fortissimo con lo Stato ebraico e nulla di ciò che Obama ha detto in questi giorni lo mette a rischio. Obama pensa che sia nell’interesse d’Israele perseguire la pace. Per questo parla in maniera onesta e diretta col suo grande alleato sulla necessità di creare uno Stato Palestinese. Ponendo fine agli insediamenti che mettono a rischio questo Stato».
Cosa riuscirà a portare a casa Obama da questo viaggio?
«Una rinnovata amicizia con i leader e la piazza del mondo arabo, sauditi, egiziani e giordani che alla fine aiuterà soprattutto Israele. Perché questi Paesi sono pronti a risolvere gli antichi conflitti e aspettano solo che Israele faccia un passo nella loro direzione».
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