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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
27.05.2009 Iran: il legame con Hezbollah e Chàvez
Come la vedono Sarkozy e Frattini

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio - La Repubblica
Autore: Guido Olimpio - La redazione del Foglio - Vincenzo Nigro
Titolo: «L'Uranio a Teheran, l'aiuto di Chàvez e la rete di Hezbollah - Così Sarkozy fa base negli Emirati per contenere l'Iran - Frattini: 'Dialogo con l´Iran dopo il voto andrò a Teheran'»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/05/2009, a pag. 16, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " L'Uranio a Teheran, l'aiuto di Chàvez e la rete di Hezbollah  ", dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Così Sarkozy fa base negli Emirati per contenere l'Iran " e dalla REPUBBLICA, a pag. 14, l'intervista di Vincenzo Nigro a Franco Frattini dal titolo " Frattini: 'Dialogo con l´Iran dopo il voto andrò a Teheran'  " preceduta dal nostro commento. Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " L'Uranio a Teheran, l'aiuto di Chàvez e la rete di Hezbollah "

WASHINGTON — Israele, come ha ribadito il suo premier «Bibi» Netanyahu, per fermare l’atomica ira­niana è pronto ad agire da solo. E per spiegare il per­ché delle sue mosse getta luce sulle attività di Tehe­ran anche in regioni lontane dal suo cortile di casa. Con un mini-dossier, Gerusalemme ha rivelato che Venezuela e Bolivia forniscono ai mullah l’uranio ne­cessario per alimentare il progetto Bomba. Entram­bi i paesi possiedono riserve del materiale, non han­no rapporti con Israele (rottura motivata con la san­guinosa offensiva su Gaza), sono protagonisti di una lunga marcia di avvicinamento alla Repubblica Islamica. E, soprattutto, fanno da sponda a triangola­zioni che possono portare tecnologia a Teheran.
In cambio del presunto aiuto sul nucleare, gli ira­niani garantisco l’assistenza militare. Un intreccio di rapporti, aggiungono gli israeliani, che non si limita al terreno tradizionale. Da mesi il Venezuela si sareb­be trasformato in una testa di ponte dell’Hezbollah, il movimento libanese filo-iraniano. Diversi elemen­ti sarebbero arrivati nel paese dove è presente da ol­tre un decennio un’agile network. Una base che rac­coglie fondi per i guerriglie­ri e tiene d’occhio possibili obiettivi insieme ad emissa­ri iraniani. La rete ha esten­sioni interessanti in diverse località: Isola Margarita (Ve­nezuela), Curitiba, San Pao­lo (Brasile), Ciudad del Este (Paraguay) e alcune cittadi­ne su punti di frontiera (Ecuador, Panama, Uru­guay). Molti militanti hanno la doppia cittadi­nanza e sono stati in con­tatto con Hussein Karaki, «direttore» del dipartimento Sud America dell’Hezbollah. Altro risvolto intrigante è quello dell’assistenza fornita da consiglieri mediorientali a una milizia formata dal pre­sidente Hugo Chávez e ospi­tata nella regione di Zulia in un centro che gli oppositori interni chiamano la «città perduta». Alla fine di aprile è poi emersa la coca-connection quando la polizia di Curacao (Antille olandesi) ha arrestato un gruppo di trafficanti. Tra loro c’erano alcuni Hezbollah che dirottavano i guadagni illeciti verso il proprio parti­to.
Gli episodi — seguiti da puntuali smentite — se­gnalano come il Sud America, con tutte le sue tensio­ni, si stia trasformando in un pericoloso terreno di scontro. Non sarebbe la prima volta. Il commesso viaggiatore dell’Hezbollah, Karaki, sarebbe stato coinvolto nell’attentato contro l’ambasciata d’Israe­le in Argentina (1992). Usando gli alias di Abu Ali Kamil e Said Ezzedin ha partecipato alla preparazio­ne del complotto costato la vita a 29 persone.

Il FOGLIO - " Così Sarkozy fa base negli Emirati per contenere l'Iran "

Parigi. Inaugurando ieri la sua nuova base militare di Abu Dhabi, il presidente Nicolas Sarkozy porta a compimento il riposizionamento strategico della Francia. Dal suo arrivo all’Eliseo, Parigi si è disimpegnata dall’area africana, dove erano collocate tutte le basi all’estero, ha ripreso posto nella Nato e ora si proietta in medio oriente. Ad Abu Dhabi, 500 soldati francesi, i caccia Rafale e Mirage e diverse navi da guerra stazioneranno a 220 chilometri dalla Repubblica islamica dell’Iran. Il libro bianco sulla difesa adottato nel 2008 da Sarkozy inserisce tra le zone prioritarie della presenza militare francese “l’asse strategico Mediterraneo- Golfo Persico-Oceano Indiano”. Il “Campo della pace”, come è stata battezzata la base, sarà più vicino all’Afghanistan, dove la Francia ha 2.800 uomini e sta per inviare altri 150 gendarmi per addestrare le forze di polizia di Kabul. Parigi si avvicina anche al Pakistan, che Sarkozy dovrebbe visitare in autunno. Insieme alla base di Gibuti, quella di Abu Dhabi darà una mano nella caccia ai pirati al largo delle coste somale e yemenite. Ma, per Sarkozy, il “Campo della pace” servirà soprattutto a “dissuadere” l’Iran, che ha appena rifiutato l’offerta di negoziati sul nucleare, ha inviato sei navi da guerra nel Golfo di Aden e minaccia lo Stretto di Hormuz. Abu Dhabi è “la dimostrazione – dice Sarkozy – che la Francia sa adattarsi alle nuove sfide, è pronta ad assumersi le sue responsabilità e a giocare il suo ruolo negli affari del mondo”. Il libro bianco sulla difesa autorizza interventi militari unilaterali nell’ambito degli accordi di difesa bilaterali: “Se l’Iran attaccasse, saremmo attaccati anche noi”, riassumono all’Eliseo. Lo scorso anno la Repubblica islamica ha minacciato di bloccare lo Stretto, da cui transita il 40 per cento del greggio mondiale, in caso di attacco militare israeliano o americano contro le sue installazioni nucleari. La possibilità di un’invasione iraniana degli Emirati non è esclusa – Abu Dhabi ha finanziato la base francese, nonostante americani e britannici siano già presenti – così come il fallimento della diplomazia sul programma nucleare di Teheran. Soltanto una settimana fa, l’Iran ha testato il missile balistico Sajil-2, capace di raggiungere Tel Aviv e Atene, oltre agli Stati arabi del Golfo. In caso di nuove sanzioni più dure da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, la marina francese è preposizionata per partecipare a un blocco della Repubblica islamica. Per ora, però, la Francia si limiterà a sorvegliare l’Iran attraverso le antenne della nave spia Dupuy de Lôme, arrivata ieri ad Abu Dhabi. Agli Emirati Sarkozy ha offerto la costruzione di 12-16 centrali nucleari – in cambio di 30 miliardi di euro – che potrebbero servire da incentivo indiretto all’Iran, in caso di sospensione dell’arricchimento dell’uranio. Con gli Stati Uniti di Barack Obama che si disimpegnano progressivamente dal mondo per concentrarsi sulla crisi e l’AfPak, la strategia anti iraniana di Sarkozy si estende a tutta la regione. All’inizio dell’anno, il presidente francese ha lavorato con l’Egitto di Hosni Mubarak per porre fine alla guerra di Gaza senza permettere a Hamas di proclamare vittoria. Sarkozy ha stretto forti legami con l’Arabia Saudita – un accordo sul nucleare civile è atteso “prossimamente” – nella convinzione che un asse sunnita sia l’unico modo per contenere l’influenza dell’Iran. La fine dell’isolamento della Siria va nella stessa direzione. Il regime siriano verrebbe ancor più reintegrato se, come ha scritto lo Spiegel, il Tribunale internazionale sull’omicidio Hariri accuserà Hezbollah. Il Partito di Dio, che va forte nella campagna elettorale per le elezioni del 7 giugno in Libano, rimane assieme a Hamas il principale ostacolo al tentativo di Sarkozy di isolare l’Iran.

La REPUBBLICA - Vincenzo Nigro : " Frattini: 'Dialogo con l´Iran dopo il voto andrò a Teheran "

In Iran, dopo le elezioni, ma Il risultato non influirà minimamente sul programma nucleare degli ayatollah, dal momento che persino il candidato "riformista"Mousavi ne è un sostenitore, Frattini non troverà nulla di cambiato. E' difficile credere che l'Iran, paese fondamentalista che finanzia il terrorismo possa rivestire un ruolo chiave nella normalizzazione della situazione in Afghanistan. Ecco l'articolo:

ROMA - L´avesse fatto Massimo D´Alema, sarebbe stato lapidato (politicamente): ma Franco Frattini ci proverà ancora. «Andrò in Iran, la mia visita è stata solo rinviata, non cancellata. Ora c´è la campagna elettorale, ma intanto il ministro Mottaki riceverà il mio inviato per discutere di Afghanistan e Pakistan. Il messaggio è chiaro, e lo ripeto: vi aspettiamo a Trieste per lavorare insieme, da interlocutori responsabili, per dimostrare a chi vi teme che siete pronti ad impegnarvi in senso positivo».
Ministro, non le è bastato aver dovuto cancellare il viaggio in Iran per due volte? L´ultima per non incontrare Ahmadinejad a Semnan?
«Io avevo accettato di andare in Iran per preparare con cura una riunione del G8 seria e decisiva, dedicata alla stabilizzazione di Af-Pak. Se però mi chiedono di andare nel luogo da cui è stato appena lanciato un missile, io rinuncio. Ed è sbagliato quello che ha detto qualche commentatore prestigioso, secondo cui era sbagliato il momento della visita. Andare in campagna elettorale o andarci dopo avrebbe fatto solo una differenza: che dopo la campagna elettorale se Ahmadinejad viene rieletto sarà più forte. Quindi andarci dopo non avrebbe impedito azioni come quelle che si sono verificate. Comunque adesso aspettiamo il voto».
Lei conferma l´interesse italiano nel confronto politico con l´Iran: perché insistete?
«L´interesse resta per almeno tre motivi. Il primo è che si è finalmente compreso che la prima priorità della comunità internazionale, cioè la stabilizzazione di Afghanistan e Pakistan, passa per un coinvolgimento iraniano. Lo dicono gli americani, con l´invito fatto all´Iran a partecipare alla conferenza dell´Aja. Me lo confermano i colloqui avuti con Holbrooke, con la stessa Hillary Clinton, sull´importanza di avere il ministro degli Esteri iraniano a Trieste. La seconda ragione è che noi non possiamo parlare dell´Iran solo per il dossier nucleare. Questo crea conseguenze sbagliate. Innanzitutto, il dossier nucleare lo confiniamo al format del 5+1 (i 5 del Consiglio di sicurezza più la Germania) e questo formato non ha dato risultati, oltre ad essere stato apparentemente liquidato dal presidente Ahmadinejad. Se si continua a pensare che il 5+1 risorga e faccia dopo le elezioni iraniane quello che non ha fatto in due anni e mezzo, credo ci si sbaglierebbe di grosso. Infine: l´Iran va considerato in un contesto più ampio perché gioca un ruolo sul Medio Oriente. Non possiamo far finta che Af-Pak, nucleare e Medio Oriente siano slegati».
Concretamente quale sarà il vostro ruolo: sembra quasi che vogliate tenervi le mani libere per parlare con tutti come spesso ha fatto la diplomazia italiana.
«Avendo la responsabilità del G8, l´Italia affronterà con forza il tema Af-Pak; sugli altri due temi, pur non essendo un battitore libero, il ruolo dell´Italia sarà quello di un partner leale ma attivo degli Usa. Nel momento in cui poi vi sarà un discorso comune a 27 sul nucleare iraniano ci sentiremo obbligati in questo quadro, che però avremo contribuito a costruire».
In concreto, qual è l´idea del governo italiano sul nucleare iraniano?
«È quella che fu lanciata prima della nascita del 5+1: allora da ministro degli Esteri incontrai il governo dell´Iran, era un governo diverso, non vi erano le difficoltà internazionali che sono poi nate dal 2005. Il messaggio era chiaro: il diritto all´approvvigionamento di energia nucleare pacifica non si può negare. Chiediamo però la trasparenza stabilita dalla Aiea e il diritto alle ispezioni come stabilito dal Trattato di non proliferazione nucleare. Non possiamo consentire l´arma nucleare, ma disponibilità a ragionare sul nucleare pacifico».

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