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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.05.2009 Indonesia: 700 imam contro facebook
perchè 'le rela­zioni online portano alla lussuria, proibita dall’Islam'

Testata: Corriere della Sera
Data: 22 maggio 2009
Pagina: 16
Autore: Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Islam e social network. La fatwa dei 700 imam»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/05/2009, a pag. 16, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo : " Islam e social network. La fatwa dei 700 imam ". Gli imam indonesiani stanno decidendo se permettere o no alla popolazione l'utilizzo di facebook. Il social network Usa, infatti, secondo quanto dichiarato dal capo del poten­te Consiglio degli Ulema, Amidan  "La gente che usa Facebook può essere indotta a prati­care un chatting disgustoso e porno­grafico ". Da quando in qua tenersi in contatto con amici e parenti è pornografico? Ecco l'articolo:

Settecento imam riuniti a giudizio. Un imputato per lo meno inusuale. Nella città di Kediri, est di Giava, In­donesia, il Consiglio degli Ulema del più grande Stato musulmano del mondo è impegnato in una due-gior­ni dedicata al dilagare (e ai pericoli) di Facebook. La rete sociale, ovvero il sito Internet fondato nel 2004 negli Stati Uniti, è oggi utilizzata da oltre 200 milioni di utenti globali. Per scambiarsi informazioni e foto, lan­ciare campagne più o meno serie, ri­trovare e tenere vecchi contatti, cer­carne di nuovi. Ed è proprio quest’ul­timo aspetto che evidentemente pre­occupa i religiosi musulmani dell’ar­cipelago. Gli stessi che negli scorsi mesi fa avevano vietato ai fedeli, con una serie di fatwa, di praticare lo yo­ga («troppo indù») e alcune danze tradizionali («troppo erotiche»), in­sieme alla vasectomia, al fumo delle donne incinte e al voto per candidati non islamicamente corretti (festeg­giare l’Anno Nuovo «occidentale» è stato invece solo sconsigliato).
Se in molti Paesi musulmani e non solo le potenzialità di Facebook temu­te dalle autorità sono quelle politi­che, in Indonesia il nemico è invece il sesso illegale. O almeno così ha spie­gato Nabil Haroen, portavoce del­­l’Università Islamica Lirboyo che ospi­ta l’evento: «I religiosi pensano sia ne­cessario emanare un editto che regoli il networking virtuale, perché le rela­zioni online portano alla lussuria, proibita dall’Islam». Il capo del poten­te Consiglio degli Ulema, Amidan (co­me molti indonesiani usa solo il co­gnome), ribadisce: «La gente che usa Facebook può essere indotta a prati­care un chatting disgustoso e porno­grafico ». Chatting, ovvero chiacchie­re via computer, ognuno a casa pro­pria.
Ma questo, aggiunge, «è il pri­mo passo verso il sesso illecito, per­ché fuori dal matrimonio».
Tra i settecento religiosi non c’è unanimità: si va dalla propensione al divieto assoluto della rete sociale a quello limitato alle attività «impure». Anche se la fatwa finale non avrà va­lore legale per i 210 milioni di musul­mani del Paese (il 90% degli abitanti), come sempre i credenti più pii la os­serveranno. Ma nelle recenti elezioni, l’arcipelago ha sancito un deciso calo dei partiti islamici, riscoprendosi più laico e interconfessionale. E l’avanza­ta di Facebook nel Paese ha intanto registrato tassi da record (+645% nel 2008). L’Indonesia, secondo le classi­fiche della società di ricerca Alexa, è oggi quinta al mondo per utenti regi­strati dopo Usa, Gran Bretagna, Fran­cia e Italia. A fronte di tanto entusia­smo, una fatwa anti-Facebook sem­bra così destinata a non cambiare granché nel Paese. Nè, probabilmen­te, nel resto del mondo islamico.
«La gente usa il network per resta­re in contatto con parenti e amici, per sapere cosa accade nel mondo», di­chiara Debbie Frost, portavoce di Fa­cebook, con una certa sorpresa per la crociata indonesiana. «Ma tantissime persone e organizzazioni la usano per promuovere programmi e campagne positive». E questo è particolarmente vero in molti Stati musulmani dove la situazione politica (e non religio­sa) impedisce o limita altre forme di aggregazione. Come in Arabia Saudi­ta, dove varie battaglie femministe so­no state organizzate proprio su Face­book, così come il primo sciopero del­la fame del Regno, promosso da alcu­ni riformatori. O in Egitto, dove ac­canto ai più scontati appelli dei blog­ger per la libertà di espressione, ne sono stati lanciati dalle comunità cristiane, dopo il diffondersi della febbre suina, contro l’abbattimento di migliaia di maiali che solo loro allevano.
Tentativi o ipotesi di bloccare il network sono diffusi, in questi Paesi. Ma solo la Siria, dal 2007, l’ha davvero vietato, sostenendo il pericolo di «infiltrazioni israeliane» e bloccando di fatto le attività dei dissidenti. Anche in Iran per qualche tempo Facebook è stata oscurato (come molti siti Internet), poi è stato riammesso. Forse perché ormai è utilizzato davvero da tutti. Se il presidente Ahmadinejad per ora si limita a un blog, i suoi sostenitori più giovani stanno invece cercando di contrastare sul network la campagna dei riformatori rivali, in vista delle presidenziali di giugno. Con poco successo, per la verità: il sito «amici di Ahmadinejad» ha finora raggiunto 588 membri. Quello «Scommetto che trovo un milione di persone che non amano Ahmadinejad » è già arrivato a 35 mila, il maggior numero di adesioni tra tutte le pagine dedicate al presidente.

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