Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 19/05/2009, a pag. 11, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Iran, Obama rassicura Israele " e la sua intervista a Meyrav Wurmster, esperta di studi mediorientali dell’Hudson Institute, dal titolo " Per l’Anp la soluzione è unirsi alla Giordania ". Dal FOGLIO l'editoriale a pag. 3 dal titolo " Il baricentro che non c’è ". Ecco gli articoli:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Iran, Obama rassicura Israele "
Barack Obama chiede all’Iran di bloccare il programma nucleare «entro la fine dell'anno» e Benjamin Netanyahu è pronto a «riprendere immediatamente» i colloqui di pace con i palestinesi, mentre tace sull’ipotesi dei due Stati appoggiata da Washington: le dichiarazioni dei due leader al termine di un colloquio alla Casa Bianca durato due ore - mezz’ora più del previsto - riflettono il compromesso raggiunto fra i Paesi alleati che nelle ultime settimane avevano accumulato tensioni.
Per Obama l’incontro di ieri è stato l’inizio del coinvolgimento diretto nel negoziato di pace che punta alla creazione di uno Stato di Palestina a fianco di Israele: entro fine mese accoglierà nello Studio Ovale anche il palestinese Abu Mazen e l’egiziano Hosni Mubarak, e dunque aveva bisogno di un esordio positivo con l’israeliano Netanyahu, molto scettico sulla soluzione dei «due Stati». «I progressi si sono fermati sul fronte del negoziato - ha detto Obama, vestendo i panni del mediatore - e il premier israeliano ha l’opportunità storica di metterli seriamente in moto. Questo significa che tutte le parti devono prendere sul serio gli obblighi sottoscritti» e per il governo di Gerusalemme vuol dire fermare la costruzione degli insediamenti in Cisgiordania.
Netanyahu ha reagito dando a Obama la risposta che cercava: «Sono pronto da subito a riprendere i negoziati di pace con i palestinesi». Aggiungendo però una condizione: «Devono accettare l’esistenza di Israele come Stato ebraico». Una formulazione, ripetuta anche da Obama, che esclude il ritorno dei profughi entro le frontiere del 1967. Netanyahu si è comunque detto ottimista quanto il presidente americano sulla possibilità di un accordo, perché «mai come oggi israeliani e arabi sono concordi nella definizione della minaccia comune», cioè l’Iran che persegue il nucleare.
E’ proprio su questo terreno che l’ospite israeliano ha chiesto a Obama la contropartita per il passo compiuto sul negoziato. E la risposta del presidente è stata: «Nelle trattative sul nucleare iraniano è importante che ci sia un chiaro calendario di scadenze, anche perché questi colloqui al momento non stanno facendo chiari progressi». «Non condurremo negoziati all’infinito e, pur non essendoci scadenze artificiali, mi aspetto progressi entro la fine dell’anno. Se non avverranno, sarà la comunità internazionale a prendere atto che l’Iran si sta isolando» ha aggiunto, accennando all’ipotesi di nuove sanzioni dell’Onu.
Durante il colloquio nello Studio Ovale Obama ha avuto a fianco l’inviato per il Medio Oriente George Mitchell e il capo di gabinetto Rahm Emanuel, lasciando intendere che sono il team ristretto che lo affiancherà nel prosieguo dei negoziati, che si annunciano tesi. A confermarlo sono le reazioni dell’Autorità palestinese. «Netanyahu non ha detto di sostenere la soluzione dei due Stati - ha commentato il negoziatore Saeb Erakat - e ci aspettiamo che l’America agisca contro tale approccio».
Netanyahu è arrivato alla Casa Bianca alle 8.30 del mattino, portando in regalo al presidente un’antica Bibbia e un libro contemporaneo dal forte valore simbolico: una copia di «Pleasure Excursion to the Holy Land», (Viaggio in Terra Santa», il libro nel quale Mark Twain racconta il viaggio fatto nel 1867 in una «Terra di Israele» che, alla vigilia dell’immigrazione sionista, era «un luogo remoto, desolato, privo di cultura e di legge».
Come dire: meno di 150 anni fa al posto dello Stato di Israele non c’era altro che sabbia.
La STAMPA - Maurizio Molinari : "Per l’Anp la soluzione è unirsi alla Giordania"
Netanyahu ha spiegato a Obama che Israele rischia un secondo Olocausto». Così Meyrav Wurmster, titolare degli Studi mediorientali dell’Hudson Institute, riassume che cosa è avvenuto fra i due leader nello Studio Ovale.
Perché Obama ha indurito i toni con l’Iran?
«Fra Obama e Netanyahu restano delle importanti differenze perché Netanyahu considera il nucleare iraniano una minaccia esistenziale per lo Stato ebraico, mentre Obama crede nel negoziato con la Repubblica islamica e chiede a Israele di non condurre attacchi militari. Israele minaccia l’uso della forza e Obama non vuole che la usi. Ma nel colloquio c’è stato un avvicinamento, perché Netanyahu aveva dato un limite massimo di tre mesi per i negoziati, mentre adesso Obama dice che auspica un risultato positivo delle trattative sul nucleare entro la fine dell’anno, pur sottolineando che non esistono scadenze artificiali».
Che cosa è avvenuto fra il premier israeliano e il presidente degli Stati Uniti?
«Netanyahu ha spiegato a Obama con estrema chiarezza ciò che gli israeliani sentono: la minaccia di un secondo Olocausto di sei milioni di ebrei, che potrebbe avvenire se l’Iran arrivasse all'atomica. Non sappiamo quali informazioni gli israeliani abbiano sul nucleare iraniano e neanche se i due leader ne abbiano discusso ma dal punto di vista di Israele ci troviamo in una situazione analoga agli Anni 30, quando Hitler preparava l’Olocausto e il mondo occidentale si voltava dall’altra parte per non vedere».
Sulla composizione del conflitto con i palestinesi restano invece tutte le differenze...
«Obama crede nella soluzione dei due Stati mentre Netanyahu obietta che al momento non è possibile, in quanto attualmente c’è uno Stato palestinese a Gaza in mano a Hamas e uno in Cisgiordania governato da Abu Mazen. Di Stati al momento ve ne sono tre, non due, e da oltre 24 mesi gli egiziani stanno mediando senza successo per riuscire a far nascere un governo di unità nazionale fra i palestinesi. Netanyahu vuole un accordo di pace stabile con i palestinesi ma non crede che si possano avere tre Stati».
Visto che gran parte della comunità internazionale ritiene fattibili i due Stati, quali sono le «nuove idee» con cui Netanyahu pensa di uscire dallo stallo diplomatico?
«La prima, e più immediata da realizzare, riguarda la creazione di una commissione mista israelo-americana per verificare quanto e come è stata applicata la Road Map israelo-palestinese. Poiché la soluzione dei due Stati si basa sulla Road Map, Netanyahu vuole accertare che cosa è stato fatto negli ultimi anni, e vuole farlo assieme all’amministrazione di Washington».
E sulla Cisgiordania, cosa ha in mente?
«In attesa di una soluzione della disputa tra Hamas e Al Fatah pensa a un regime di autonomia».
Come proponeva il suo predecessore Itzhak Shamir a metà degli Anni 80...
«Esatto».
Non è una scorciatoia verso l'opzione giordana, la creazione di una confederazione giordano-palestinese?
«Potrebbe esserlo. Per arrivare a questo serve però l’assenso del re giordano Abdallah, dal quale Netanyahu è stato solo pochi giorni fa. Di quei colloqui non è trapelato nulla. Certo, se Hamas dovesse continuare a tenere Gaza, l’intesa Al Fatah-Giordania potrebbe evitare il rovesciamento di Abu Mazen, visto che anche in Cisgiordania Hamas si sta rafforzando molto».
Il FOGLIO - " Il baricentro che non c’è "
Al primo posto l’Iran; al secondo l’Iran; al terzo… l’Iran”. Così Benjamin Netanyahu ha definito l’ordine del giorno dei suoi colloqui con Barack Obama. Il presidente americano ha invece un’altra priorità – lo stato palestinese – ma sarà comunque difficile da imporre, pure se è alla vigilia del suo discorso al mondo musulmano di giugno al Cairo, in cui vorrebbe delineare una “svolta storica” nel conflitto israelo- palestinese. Sarà difficile perché l’Iran – sponsor di Hamas – non corrisponde seriamente alla sua apertura di dialogo, e ancora ieri l’ayatollah Khamenei ha ribadito la sua scelta per Ahmadinejad presidente e per una linea oltranzista con gli Stati Uniti e sul nucleare, invitando a “non votare per quei candidati che vogliono inchinarsi davanti al nemico, ma per quelli che considerano un valore la resistenza ai paesi che vogliono usare la forza”. Obama dovrà prendere atto di un limite nella strategia mediorientale: anche se riuscisse a convincere Israele a scendere a patti in cambio di una pace non soltanto con i palestinesi, ma con tutte le 57 nazioni islamiche (questa è la novità su cui puntano Egitto e Giordania), lo stato palestinese nascerebbe morto perché Abu Mazen non ha la forza di gestirlo. Gaza è in mano ad Hamas e – anche per influenza dell’Iran – ogni tentativo di mediazione con Abu Mazen fallisce (l’ultimo è saltato ieri). Lo stato palestinese non può nascere per la drammatica ragione che i palestinesi non sono in grado di governarlo e – anzi – sono impegnati a combattersi tra di loro.
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