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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.05.2009 Orhan Pamuk e i silenzi di Erdogan. La Turchia di allontana dall'Europa
Analisi di Antonio Ferrari, cronaca di Dino Messina

Testata: Corriere della Sera
Data: 16 maggio 2009
Pagina: 36
Autore: Dino Messina - Antonio Ferrari
Titolo: «Turchia, processo agli scrittori - Pamuk e i silenzi di Erdogan. La Turchia di allontana dall'Europa»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/05/2009, a pag. 36, l'articolo di Dino Messina dal titolo " Turchia, processo agli scrittori " e, a pag. 8, il commento di Antonio Ferrari dal titolo " Pamuk e i silenzi di Erdogan. La Turchia di allontana dall'Europa ". Ecco gli articoli:

Dino Messina : " Turchia, processo agli scrittori "

TORINO — Atteso questa mattina al Lingotto come la vera star della Fiera del Libro, Orhan Pa­muk, premio Nobel 2006, nel suo Paese è ancora costretto a difendere il diritto a esprimere la pro­pria opinione davanti a un tribunale. La Yargitay, Corte di Cassazione, l’altro ieri ha infatti rigettato per la seconda volta il verdetto di un tribunale di Istanbul che lo aveva assolto dall’accusa di aver of­feso la nazione turca. Vilipendio alla «turchità» è infatti il capo d’imputazione previsto dal famigera­to articolo 301, da poco emendato ma che continua a produrre vittime.
Il caso appena riaperto risale al giugno 2006, quando l’autore di opere il cui motivo conduttore è il dialogo tra le culture e il rispetto delle identità diverse, aveva dichiarato a un giornale svizzero: «Noi turchi abbiamo ucciso trentamila curdi e un milione di armeni e nessuno, tranne me, in Tur­chia osa parlarne». Per la verità un amico di Pa­muk, il giornalista di origine armena Hrant Dink, sostenne la stessa tesi sul genocidio del 1915 e fu condannato a sei mesi di carcere, quindi ucciso da un fanatico il 19 gennaio 2007. «Pensavo — dice Pamuk — che a macchiare l’onore di una nazione non fosse il parlare di certe sue ombre, bensì pro­prio l’impossibilità, il divieto di parlarne».
La sentenza della Cassazione contro Pamuk si ag­giunge al recente sequestro per oscenità di un li­bro di Guillaume Apollinaire, Imprese di un giova­ne don Giovanni, e all’apertura del processo, il 5 maggio, contro lo scrittore Nedim Gürsel, profes­sore di letteratura turca a Parigi, autore di un romanzo, Le figlie di Allah, in cui racconta la nasci­ta dell’Islam e dà voce ai nemici di Maometto, che rifiutavano il monoteismo. Ma soprattutto si aggiunge ai quattro processi, riguardanti sempre la libertà di espressione, contro Perihan Magden, no­tissima scrittrice che ieri al Salone ha presentato il romanzo In fuga, tradotto in italiano da Elliot (pp. 240, e 16), che racconta la storia di una madre con un eccessivo senso di protezione verso la figlia. Per troppo amore vede nemici dappertutto e commet­te dei delitti in giro per il mondo: alla fine verrà uccisa dai gendarmi. Qualcuno ha voluto vedere in questa storia di una madre possessiva una metafo­ra di una patria che diventa soffocante al punto da mettere in pericolo la vita dei suoi figli.
Perihan Magden e Orhan Pamuk sono molto amici, si frequentano a Istanbul, condividono inte­ressi
letterari e impegno politico: nonostante le mi­nacce e i processi hanno entrambi deciso di non lasciare il Paese, si battono per la libertà di espres­sione e per l’ingresso della Turchia nell’Unione Eu­ropea. Pamuk, che ha appena pubblicato da Einau­di la raccolta di saggi Altri colori (pp. 525, e 21), in cui parla anche del processo che lo riguarda, ha scritto un articolo in difesa di Perihan, pubblicato dal «Guardian», in cui, dopo aver reso omaggio al­le qualità letterarie dell’amica e alla sua sorpren­dente inventiva, ne traccia un profilo politico. Per­ché Perihan Magden è diventata un personaggio politico per aver tenuto per una dozzina d’anni una rubrica sul quotidiano «Radikal», che le ha procu­rato non pochi guai giudiziari. Pamuk nel suo scrit­to si sofferma sulla battaglia in difesa dell’obiezio­ne di coscienza. In un articolo considerato offensi­vo per le forze armate turche, ha scritto Pamuk, «Magden ha difeso Mehmet Tarhan, che si era tro­vato in grave difficoltà per aver insistito a difende­re il suo diritto a rifiutare il servizio militare per ragioni di coscienza. Lei ha ricordato ai lettori tur­chi che l’Onu ha riconosciuto sin dagli anni Settan­ta l’obiezione di coscienza come un diritto umano, e che la Turchia — come l’Azerbaijan — non rico­nosce questo diritto. Mehmet Tarhan è un omoses­suale, e poiché l’esercito turco giudica l’omosessua­lità come un difetto o un handicap, egli avrebbe do­vuto essere esonerato dal sottoporsi a un esame fi­sico davvero degradante».
Perihan Magden, condannata per incitamento al­la diserzione e vilipendio alle forze armate, ha subi­to altri processi e altre condanne, l’ultima delle qua­li per aver criticato aspramente i fanatici che inneg­giavano all’assassinio di Hrant Dink. «La differenza tra critica e diffamazione — dice l’autrice di
In fu­ga — viene stabilita nel nostro Paese da un giudi­ce, in base a criteri molto soggettivi. Non abbiamo una Costituzione come la vostra, che stabilisce ine­quivocabilmente la libertà di espressione. E negli apparati dello Stato e nella società sono attive orga­nizzazioni semiclandestine che impediscono la cre­scita democratica del Paese. Forse in Italia non ave­te sentito parlare di Ergenekon, una organizzazio­ne molto influente che è stata in parte smantellata. Alcuni dei suoi esponenti sono finiti in prigione. Forse non è casuale che un dirigente di questa orga­nizzazione, l’avvocato nazionalista Kemal Kerinsiz, e la presidentessa dell’Associazione di sostegno e solidarietà alle madri dei martiri (militari uccisi ne­gli attacchi dei guerriglieri nazionalisti curdi del Pkk), la signora Pakire Akbaba, figurino tra i nuovi accusatori di Pamuk e allo stesso tempo siano i miei principali accusatori».
Il vero pericolo per la democrazia turca, sostiene Perihan Magden, «non viene dall’islamismo ma dall’estremismo nazionalista e kemalista, dai di­scendenti di quell’élite che realizzò la rivoluzione laica e che dominano la società in maniera burocra­tica. Prendiamo il caso del velo: perché proibirne l’uso alle ragazze musulmane, spesso provenienti da famiglie umili emancipate economicamente, che frequentano l’università? È un’imposizione in­giusta e una discriminazione».
La stessa opinione sulla questione del velo è so­stenuta da Orhan Pamuk, che affronta il tema nello splendido romanzo
Neve, nel quale un professore turco che ha vissuto a lungo lontano dalla patria scopre che la tutela della democrazia e dei diritti umani passa anche attraverso il rispetto delle tradi­zioni.
Il nuovo processo contro Orhan Pamuk, se an­drà male, non finirà con la condanna al carcere, ma con l’imposizione di un risarcimento pecuniario ai turchi che si sono sentiti offesi dalle sue dichiara­zioni sul genocidio armeno. Un risarcimento ben superiore ai trentamila euro richiesti in prima istanza. «Anche se sono soltanto soldi — commen­ta Magden — si tratta di un modo per tenerti sotto pressione. Anch’io devo pagare delle ammende per i reati di opinione di cui sono accusata. Vivo sem­pre nell’angoscia di riuscire a pagare, altrimenti fi­nisco in prigione. Credo che anche Orhan Pamuk viva una difficoltà simile, anche se lui è il personag­gio letterario più eminente del Paese, la gente lo ferma per strada per congratularsi. La rispettabilità e il successo del nostro premio Nobel disturbano i nemici della democrazia, che lo costringono a gira­re con la scorta, a vivere sempre sotto pressione».

Antonio Ferrari : " Pamuk e i silenzi di Erdogan. La Turchia di allontana dall'Europa "

Di Paesi amici, in Europa, la Turchia non ne ha molti. An­zi, ne ha pochissimi. Ma se continua ostinatamente a farsi del male rischia di demotivare anche chi la sta genero­samente aiutando nel suo lungo e tri­bolato cammino verso l’entrata nella Ue. A cominciare dall’Italia. Mercoledì scorso, l’Università di Firenze ha reso omaggio allo scrittore turco Orhan Pa­muk, premio Nobel per la letteratura, con una prestigiosa laurea honoris cau­sa.
A rigor di logica poteva essere una nuova occasione, per Ankara, di lucida­re l’orgoglio nazionale.
Invece no. La Corte di cassazione ha deciso di non cassare la sentenza di as­soluzione dello scrittore, che era stato accusato di «vilipendio dell’identità turca», e di incaricare, per la medesi­ma imputazione, un altro tribunale del Paese perché istruisca il nuovo proces­so.
La «colpa» di Pamuk è una dichiara­zione che rilasciò ad un giornale elveti­co sul fatto che in Turchia, a parte lui,
nessuno parlasse dell’uccisione di 30.000 curdi e di un milione di armeni. In realtà, negli ultimi anni, altri scritto­ri, giornalisti e intellettuali, sfidando la legge, hanno sollevato il problema de­gli imbarazzati silenzi della Turchia, sempre in debito con la propria memo­ria. Il problema pareva però «quasi ri­solto » con la decisione di emendare il famigerato articolo 301 del codice pe­nale sul vilipendio all’identità turca, co­me chiedeva l’Unione europea. «Quasi risolto»? No, assolutamente irrisolto. Così irrisolto che la Cassazione, ieri, ha compiuto un atto esiziale per gli inte­ressi e per l’immagine del Paese.
Il premier Erdogan tace e fa male. Non soltanto nei confronti del suo po­polo ma anche di chi, in Europa, Italia in testa, continua a sostenere le aspira­zioni di Ankara. Il danno rischia d’esse­re assai grave. Lo sarebbe anche se il governo riuscisse ad impedire il nuovo processo a Pamuk. Vien proprio da esclamare: Turchia, ma dove vai?

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