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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Libero Rassegna Stampa
13.05.2009 Arrestati a Bari due terroristi di Al Qaeda-Progettavano un attentato a Parigi
L'analisi di Stefano Dambruoso

Testata:Corriere della Sera - Libero
Autore: Dino Martirano - Giovanni Bianconi - Stefano Dambruoso
Titolo: «Terrorismo, presi a Bari due portavoce di Al Qaeda - Chi spara c’è, ora servono ingegneri- La lotta al jihad si fa su internet»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/05/2009, a pag. 18, la cronaca di Dino Martirano dal titolo " Terrorismo, presi a Bari due portavoce di Al Qaeda  " e a pag. 19 quella di Giovanni Bianconi dal titolo " Chi spara c’è, ora servono ingegneri ". Da LIBERO, in prima pagina, l'articolo di Stefano Dambruoso dal titolo " La lotta al jihad si fa su internet ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Dino Martirano : " Terrorismo, presi a Bari due portavoce di Al Qaeda  "

BARI — In una cella del car­cere di Bari imbottita di micro­spie, dove erano rinchiusi dal­l’ 11 novembre 2008 per favo­reggiamento dell’immigrazio­ne clandestina, l’imam siriano con passaporto francese e l’in­gegnere francese convertito al­l’Islam si scambiavano spezzo­ni di frasi incomprensibili. Poi, la mattina del 14 dicem­bre, la conversazione prende una piega «inquietante», anno­tano i magistrati. L’imam, Bas­sam Ayachi, 63 anni, confida al discepolo: «Ci ammazziamo colpendo, colpiamo... Non hai bisogno che ti dica che signifi­ca avere un aereo francese, noi gli africani lo avremo». E l’al­tro, l’ingegnere informatico Raphaël Gendrom 34 anni, di­ce che «bisogna colpire gli in­glesi » ma anche che «bisogna cambiare posto». «A Parigi», incalza l’imam producendo un fischio che vuole richiamare il sibilo di un jet.
«Colpirò De Gaulle», fa l'al­tro riferendosi all’aeroporto parigino e ottiene subito l’as­senso del maestro: «La sera, quando saranno tante perso­ne ». È tutto da dimostrare che questo sia il canovaccio di un piano operativo ma tanto ba­sta per allertare le autorità francesi, per far scattare l’accu­sa di associazione finalizzata al terrorismo internazionale (articolo 270 bis) e per trasfor­mare un semplice controllo di frontiera al porto di Bari in un intrigo internazionale con ra­mificazioni in Francia, Belgio, Siria, Iraq e Afghanistan. Rice­vuta in carcere la nuova accu­sa, anche per il reclutamento di volontari per la Jihad, l’imam e l’ingegnere avrebbe­ro detto: «Sia fatta la volontà di Dio».
In realtà Ayachi e Gendrom se ne andavano in giro con molta disinvoltura su un cam­per
con targa belga che a no­vembre viene bloc­cato al porto di Ba­ri dopo l’attracco di una motona­ve proveniente da Patrasso. A bordo c’è an­che un bambi­no (il figlio del­l’imam, poi ri­consegnato alla famiglia) ma da un doppio fondo saltano fuori tre si­riani e due palestine­si: clandestini, non se­gnalati come fiancheggia­tori, che dicono di aver sborsa­to 1000 euro a testa per il pas­saggio. La storia sembra finire lì ma un occhiuto agente della Polmare scova nel camper sei pendrive e un paio di cd.

In quei file i pm baresi Ro­berto Rossi e Francesca Pirrelli scoprono insieme agli agenti della Digos una enciclopedia
della propaganda jihadista con riferimenti alla rete di Al Qaeda e a Al Zawahiri. Ci sono anche cataloghi di armi, ma­nuali di antiterrorismo e ap­punti su come neutralizzare un cecchino. Il resto lo fa il l’antiterrorismo gui­dato da Carlo De Stefano che viene a sapere dai colle­ghi francesi e belgi qual è lo spessore cari­smatico dei due arrestati. Più che capi militari (anche se in cella parlano di «colpi­re il popolo», di «superbomba» e di una «tonnellata di gra­nate acquistate a 5 euro al pezzo a Riad»), l’imam e l’ingegnere che ha 3 mogli sembrano esperti nel ramo stampa e propaganda: un sito che hanno fondato a Bruxelles è stato oscurato nel 2004 e Ayachi (che si farebbe chiama­re «Mohammed Atta», come l’attentatore delle Torri) ha su­bito condanne per le minacce mosse all’allora ministro Fran­cese Sarkozy e per una vee­mente campagna antisemita. L’imam e l’ingegnere viaggia­vano in Siria, Marocco e Italia (segnalati in Liguria, 2005, e a Brogeda nel maggio 2008). Per il gip Francesca Romanaz­zi, la cellula belga operava «per creare consenso per il ter­rorismo a matrice islamista e per il reclutamento di attenta­tori suicidi», con la «volontà e il proposito di passare all’azio­ne terroristica vera e propria». Su un punto, però, il gip non concorda con i pm: Ayachi e Gendrom non sarebbero dei veri capi, qualcuno li ha defini­ti i portavoce di Al Qaeda, ma adepti di rango inferiore. I qua­li, però, si preoccupano molto quando in cella sentono alla tv il ministro Bobo Maroni che commenta lo smantellamento della cellula di Bruxelles da parte della polizia belga

CORRIERE della SERA - Giovanni Bianconi : " Chi spara c’è, ora servono ingegneri "

ROMA — C’è anche un «pentito», nel­l’inchiesta sulla presunta rete di terrori­sti (o aspiranti tali, o reclutatori, fian­cheggiatori, o semplici propagandisti) che la Procura di Bari ritiene di aver indi­viduato. Si chiama Hamadi Aziri, è stato arrestato in Francia nel dicembre 2008, e ha raccontato di aver conosciuto perso­nalmente Raphaël Marcel Frédéric Gen­dron, un «convertito» nato pochi chilo­metri a nord di Parigi 34 anni fa e residen­te in Belgio, uno dei due arrestati nel por­to di Bari. Di lui ha detto che è «un ele­mento di primissimo piano della propa­ganda mediatica di ispirazione qaedi­sta », l’ha incontrato più volte, e gli ha sentito dire che «quando hai imparato la religione non resta altro da fare che impa­rare la kalash ». Interpretazione di investi­gatori e inquirenti: «Imparare a utilizzare il kalashnikov».
Ma al di là di quel che ha riferito il «di­chiarante » Aziri, per Gendron e il suo amico Bassam Ayachi parlano le migliaia di documenti informatici e centinaia di filmati trovati nelle
pen-drive che il fran­cese trapiantato in Belgio custodiva gelo­samente. Materiale che, secondo l’accu­sa, prendeva e distribuiva sui siti Inter­net europei per diffondere la Jihad e inci­tare alla «guerra santa». Come fosse una sorta di «postino elettronico» di Al Qae­da nel continente, diffondendo messag­gi, programmi e proclami attraverso i computer.
Sul forum del sito
ribat.org, Gendron esaltava «l’importanza dell’addestramen­to fisico», anche attraverso la frequenta­zione di corsi di arti marziali, considera­to «momento prodromico al vero com­battimento ». Ma con lo pseudonimo Ous­sama El Afghani (svelato dal «pentito» che ha parlato in Francia), ha diffuso un documento sulla lotta jihadista nel quale si afferma che non servono solo coraggio e pratica fisica o militare, bensì professio­nalità anche in settori diversi.
«Tutti i Paesi in guerra hanno bisogno di specialisti — scrive il 'convertito' — e
in tutti i campi. Ci vogliono ingegneri nel settore edile, nel genio militare. Ci voglio­no anche eruditi competenti in scienze religiose e predicatori, poiché sono un baluardo contro eventuali derive che po­trebbero manifestarsi. Abbiamo bisogno di «condottieri», di gente che sia capace di guidare un esercito, di strateghi belli­ci. Come ho detto, persone che imbracci­no fucili ce n’è a sufficienza laggiù. Chi parte per quei posti lo fa solo per se stes­so se non reca niente di positivo. Non si tratta di teoria, né di un campo scout. Si tratta di una guerra contro degli invaso­ri. E in tale quadro, il Musulmano deve essere sveglio e non buttarsi stupidamen­te rischiando la vita degli altri fratelli...».
Il messaggio era contenuto in una car­tella insieme a un altro secondo il quale la jihad è un «obbligo generale che rica­de su ciascuno dei componenti dell’inte­ra comunità di fedeli» quando i «combat­tenti locali» non hanno la possibilità di prendere il sopravvento sul nemico. E’ quel che accade in Iraq e in Afghanistan, quindi l’obbligo di combattere si estende via via ai Paesi confinanti, secondo la «te­oria dei cerchi concentrici», fino a coin­volgere «tutti i credenti della terra». An­che in Europa.
Nella cartella chiamata
Documen­ts/ Hishem/Projet/Sheikh Abu Yahya so­no stati trovati diversi files audio con i discorsi di Abu Yahya Al Libi, considera­to dagli investigatori uno dei principali esponenti di Al Qaeda; il 22 gennaio scor­so ha invitato a compiere attentati negli Stati Uniti e in Gran Bretagna in risposta all’attacco israeliano contro Gaza.
In un cd-rom trovato insieme alle
pen-drive di Gendron sono contenuti an­che i discorsi dell’altro arrestato, l’imam siriano Ayachi, anch’essi destinati, proba­bilmente, alla diffusione via Internet. In un video Ayachi parlava disegnando su una lavagna lo Stato ebraico con i suoi confini, finché non s’è lanciato in un vi­rulento proclama esaltando la piccolezza di Israele di fronte alla vastità dei Paesi musulmani: «Se i musulmani si riunisco­no insieme... non un milione... venti mi­lioni, trenta milioni, cinquanta milioni, un miliardo... e sputano... faranno affoga­re Israele con il loro sputo... Non è un Pa­ese potente... Un miliardo che sputano e affogherà... Non abbiamo bisogno di combatterli... Sputare addosso a loro e fi­niranno per affogarsi, è questa la verità».

LIBERO - Stefano Dambruoso : " La lotta al jihad si fa su internet "

Era prevedibile che accadesse. Per anni abbiamo lottato contro il terrorismo internazionale svuotando alcune moschee delle cellule che all’interno vi si organizzavano, al riparo degli occhi dell’opinione pubblica, delle forze di polizia e dell’autorità giudiziaria. Allora, scoprimmo che in quei luoghi (pochi fortunatamente) vivevano mondi chiusi e impenetrabili, laboratorio di piani violenti e di distruzione. In quelle indagini trovammo videocassette, materiale propagandistico, registrazioni. Qualcuno obiettò che si trattava di materiale neutro, rispettabile manifestazione del pensiero. Era invece il segno di una attività di proselitismo pericolosissima che aveva come obiettivo il reclutamento per compiere attentati. Quelle cellule sono state smembrate e i loro adepti arrestati e condannati con sentenze ormai definitive.
Oggi, ce lo aspettavamo, quei nuclei si ricostituiscono altrove, cambiano procedure, si adattano alle nuove tecnologie, cambiano terreno, ed è così che ce li ritroviamo su internet. Guai ad abbassare la guardia. Soprattutto guai a confondere facebook o youtube con i siti che creano e mantengono ogni giorno il consenso attorno al terrorismo, all’antisemitismo, all’odio verso l’occidente: tutto inizia da lì. Non si tratta di disputare sulla libertà di opinione, né di sopravvalutare manifestazioni del pensiero innocue, sebbene ideologicamente estreme.
Internet sta diventando il luogo di aggregazione e di organizzazione del terrorismo. Luogo direi quasi “fisico”, concreto, effettivo.Su internet si aggregano uomini pronti a morire per il jiahd senza che sia loro necessario camminare, prendere in affitto un appartamento, incontrarsi, spostarsi. Tutti capiamo i vantaggi e i pericoli connessi: nessun pedinamento, nessuna intercettazione ambientale, niente fotografie, niente perquisizioni e sopralluoghi a sorpresa. I rischi per i terroristi si riducono di molto, e basta un nickname, una sorta di passamontagna in versione terzo millennio, a rendere imprendibile un pericoloso terrorista, il quale spesso impartisce gli ordini da luoghi irraggiungibili.
Internet è diventata il mezzo moderno dell’arruolamento, il luogo dove l’aspirante kamikaze riceve le subliminazioni del gesto violento e suicida, l’indottrinamento e persino le istruzioni concrete su come, dove e quando attuarlo. Eppure i due arrestati a Bari erano andati a prendersi il materiale di propaganda scaricato su dischetti perché oramai il controllo sul web della Polizia è avanzatissimo e avevano timore.
Da questo punto di vista l’operazione della magistratura e delle forze dell’ordine che ha portato all’arresto di due sospetti terroristi a Bari è davvero all’avanguardia. Ci apre gli occhi, una volta per tutte.
Bisogna continuare su questa strada, senza allarmismi naturalmente, ma neppure abbassando la guardia, perché è questo che attendono i terroristi.
I terroristi, sottolineo. Non è più esaustiva la polarizzazione del pericolo terrorismo attorno alla sola Al Qaeda. Oggi sappiamo che in realtà il pericolo può arrivare dal singolo terrorista fai da te così come da micro gruppi organizzati su scala nazionale o anche operanti su scala internazionale, seppure in una dimensione minoritaria, quasi marginale e anonima.
Bisogna capire che il terrorismo è anzitutto un fenomeno sociale che ha valenze psicologiche e motivazionali fortissime. Solo in questo modo possiamo evitare schematismi e rigidità che fanno il gioco di un fenomeno magmatico e, per certi aspetti, indefinibile.
Che Bin Laden sia vivo o morto è questione importante ma non cruciale. I terroristi che si muovono in Europa attendono il momento giusto per colpire non certo l’ordine di Bin Laden o dei suoi eventuali sostituti o successori. E allora non aspettiamo che “ci scappi il morto”. Occorre mantenere alta la guardia, non imbrigliarsi in dispute oziose sui diritti umani o sui principi della Costituzione che rischiano di diventare fini a stesse. Da magistrato dico che la legge va rispettata e anche i diritti individuali devono essere rispettati. Ma i principi non possono essere utilizzati come una sorta di limitatore della efficienza della prevenzione e della difesa dei principi medesimi che si vuole difendere. Non c’è contraddizione tra il diritto alla vita e la vita del diritto. Tutti sappiamo infatti che se la sicurezza dei cittadini e l’integrità delle istituzioni dovessero essere oggetto di un attacco terroristico, tutto, ma proprio tutto verrebbe compromesso, a cominciare proprio dalla nostra libertà. Ed è questo cui mira il terrorismo, scardinare la società e le istituzioni iniettando il panico nella vita di un paese. Non è ancora accaduto, ma guai se dovesse accadere.
Teniamo alta la guardia, dunque.

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