Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/05/2009, a pag. 18, la cronaca di Dino Martirano dal titolo " Terrorismo, presi a Bari due portavoce di Al Qaeda " e a pag. 19 quella di Giovanni Bianconi dal titolo " Chi spara c’è, ora servono ingegneri ". Da LIBERO, in prima pagina, l'articolo di Stefano Dambruoso dal titolo " La lotta al jihad si fa su internet ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Dino Martirano : " Terrorismo, presi a Bari due portavoce di Al Qaeda "
BARI — In una cella del carcere di Bari imbottita di microspie, dove erano rinchiusi dall’ 11 novembre 2008 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, l’imam siriano con passaporto francese e l’ingegnere francese convertito all’Islam si scambiavano spezzoni di frasi incomprensibili. Poi, la mattina del 14 dicembre, la conversazione prende una piega «inquietante», annotano i magistrati. L’imam, Bassam Ayachi, 63 anni, confida al discepolo: «Ci ammazziamo colpendo, colpiamo... Non hai bisogno che ti dica che significa avere un aereo francese, noi gli africani lo avremo». E l’altro, l’ingegnere informatico Raphaël Gendrom 34 anni, dice che «bisogna colpire gli inglesi » ma anche che «bisogna cambiare posto». «A Parigi», incalza l’imam producendo un fischio che vuole richiamare il sibilo di un jet.
«Colpirò De Gaulle», fa l'altro riferendosi all’aeroporto parigino e ottiene subito l’assenso del maestro: «La sera, quando saranno tante persone ». È tutto da dimostrare che questo sia il canovaccio di un piano operativo ma tanto basta per allertare le autorità francesi, per far scattare l’accusa di associazione finalizzata al terrorismo internazionale (articolo 270 bis) e per trasformare un semplice controllo di frontiera al porto di Bari in un intrigo internazionale con ramificazioni in Francia, Belgio, Siria, Iraq e Afghanistan. Ricevuta in carcere la nuova accusa, anche per il reclutamento di volontari per la Jihad, l’imam e l’ingegnere avrebbero detto: «Sia fatta la volontà di Dio».
In realtà Ayachi e Gendrom se ne andavano in giro con molta disinvoltura su un camper con targa belga che a novembre viene bloccato al porto di Bari dopo l’attracco di una motonave proveniente da Patrasso. A bordo c’è anche un bambino (il figlio dell’imam, poi riconsegnato alla famiglia) ma da un doppio fondo saltano fuori tre siriani e due palestinesi: clandestini, non segnalati come fiancheggiatori, che dicono di aver sborsato 1000 euro a testa per il passaggio. La storia sembra finire lì ma un occhiuto agente della Polmare scova nel camper sei pendrive e un paio di cd.
In quei file i pm baresi Roberto Rossi e Francesca Pirrelli scoprono insieme agli agenti della Digos una enciclopedia della propaganda jihadista con riferimenti alla rete di Al Qaeda e a Al Zawahiri. Ci sono anche cataloghi di armi, manuali di antiterrorismo e appunti su come neutralizzare un cecchino. Il resto lo fa il l’antiterrorismo guidato da Carlo De Stefano che viene a sapere dai colleghi francesi e belgi qual è lo spessore carismatico dei due arrestati. Più che capi militari (anche se in cella parlano di «colpire il popolo», di «superbomba» e di una «tonnellata di granate acquistate a 5 euro al pezzo a Riad»), l’imam e l’ingegnere che ha 3 mogli sembrano esperti nel ramo stampa e propaganda: un sito che hanno fondato a Bruxelles è stato oscurato nel 2004 e Ayachi (che si farebbe chiamare «Mohammed Atta», come l’attentatore delle Torri) ha subito condanne per le minacce mosse all’allora ministro Francese Sarkozy e per una veemente campagna antisemita. L’imam e l’ingegnere viaggiavano in Siria, Marocco e Italia (segnalati in Liguria, 2005, e a Brogeda nel maggio 2008). Per il gip Francesca Romanazzi, la cellula belga operava «per creare consenso per il terrorismo a matrice islamista e per il reclutamento di attentatori suicidi», con la «volontà e il proposito di passare all’azione terroristica vera e propria». Su un punto, però, il gip non concorda con i pm: Ayachi e Gendrom non sarebbero dei veri capi, qualcuno li ha definiti i portavoce di Al Qaeda, ma adepti di rango inferiore. I quali, però, si preoccupano molto quando in cella sentono alla tv il ministro Bobo Maroni che commenta lo smantellamento della cellula di Bruxelles da parte della polizia belga
CORRIERE della SERA - Giovanni Bianconi : " Chi spara c’è, ora servono ingegneri "
ROMA — C’è anche un «pentito», nell’inchiesta sulla presunta rete di terroristi (o aspiranti tali, o reclutatori, fiancheggiatori, o semplici propagandisti) che la Procura di Bari ritiene di aver individuato. Si chiama Hamadi Aziri, è stato arrestato in Francia nel dicembre 2008, e ha raccontato di aver conosciuto personalmente Raphaël Marcel Frédéric Gendron, un «convertito» nato pochi chilometri a nord di Parigi 34 anni fa e residente in Belgio, uno dei due arrestati nel porto di Bari. Di lui ha detto che è «un elemento di primissimo piano della propaganda mediatica di ispirazione qaedista », l’ha incontrato più volte, e gli ha sentito dire che «quando hai imparato la religione non resta altro da fare che imparare la kalash ». Interpretazione di investigatori e inquirenti: «Imparare a utilizzare il kalashnikov».
Ma al di là di quel che ha riferito il «dichiarante » Aziri, per Gendron e il suo amico Bassam Ayachi parlano le migliaia di documenti informatici e centinaia di filmati trovati nelle pen-drive che il francese trapiantato in Belgio custodiva gelosamente. Materiale che, secondo l’accusa, prendeva e distribuiva sui siti Internet europei per diffondere la Jihad e incitare alla «guerra santa». Come fosse una sorta di «postino elettronico» di Al Qaeda nel continente, diffondendo messaggi, programmi e proclami attraverso i computer.
Sul forum del sito ribat.org, Gendron esaltava «l’importanza dell’addestramento fisico», anche attraverso la frequentazione di corsi di arti marziali, considerato «momento prodromico al vero combattimento ». Ma con lo pseudonimo Oussama El Afghani (svelato dal «pentito» che ha parlato in Francia), ha diffuso un documento sulla lotta jihadista nel quale si afferma che non servono solo coraggio e pratica fisica o militare, bensì professionalità anche in settori diversi.
«Tutti i Paesi in guerra hanno bisogno di specialisti — scrive il 'convertito' — e in tutti i campi. Ci vogliono ingegneri nel settore edile, nel genio militare. Ci vogliono anche eruditi competenti in scienze religiose e predicatori, poiché sono un baluardo contro eventuali derive che potrebbero manifestarsi. Abbiamo bisogno di «condottieri», di gente che sia capace di guidare un esercito, di strateghi bellici. Come ho detto, persone che imbraccino fucili ce n’è a sufficienza laggiù. Chi parte per quei posti lo fa solo per se stesso se non reca niente di positivo. Non si tratta di teoria, né di un campo scout. Si tratta di una guerra contro degli invasori. E in tale quadro, il Musulmano deve essere sveglio e non buttarsi stupidamente rischiando la vita degli altri fratelli...».
Il messaggio era contenuto in una cartella insieme a un altro secondo il quale la jihad è un «obbligo generale che ricade su ciascuno dei componenti dell’intera comunità di fedeli» quando i «combattenti locali» non hanno la possibilità di prendere il sopravvento sul nemico. E’ quel che accade in Iraq e in Afghanistan, quindi l’obbligo di combattere si estende via via ai Paesi confinanti, secondo la «teoria dei cerchi concentrici», fino a coinvolgere «tutti i credenti della terra». Anche in Europa.
Nella cartella chiamata Documents/ Hishem/Projet/Sheikh Abu Yahya sono stati trovati diversi files audio con i discorsi di Abu Yahya Al Libi, considerato dagli investigatori uno dei principali esponenti di Al Qaeda; il 22 gennaio scorso ha invitato a compiere attentati negli Stati Uniti e in Gran Bretagna in risposta all’attacco israeliano contro Gaza.
In un cd-rom trovato insieme alle pen-drive di Gendron sono contenuti anche i discorsi dell’altro arrestato, l’imam siriano Ayachi, anch’essi destinati, probabilmente, alla diffusione via Internet. In un video Ayachi parlava disegnando su una lavagna lo Stato ebraico con i suoi confini, finché non s’è lanciato in un virulento proclama esaltando la piccolezza di Israele di fronte alla vastità dei Paesi musulmani: «Se i musulmani si riuniscono insieme... non un milione... venti milioni, trenta milioni, cinquanta milioni, un miliardo... e sputano... faranno affogare Israele con il loro sputo... Non è un Paese potente... Un miliardo che sputano e affogherà... Non abbiamo bisogno di combatterli... Sputare addosso a loro e finiranno per affogarsi, è questa la verità».
LIBERO - Stefano Dambruoso : " La lotta al jihad si fa su internet "
Era prevedibile che accadesse. Per anni abbiamo lottato contro il terrorismo internazionale svuotando alcune moschee delle cellule che all’interno vi si organizzavano, al riparo degli occhi dell’opinione pubblica, delle forze di polizia e dell’autorità giudiziaria. Allora, scoprimmo che in quei luoghi (pochi fortunatamente) vivevano mondi chiusi e impenetrabili, laboratorio di piani violenti e di distruzione. In quelle indagini trovammo videocassette, materiale propagandistico, registrazioni. Qualcuno obiettò che si trattava di materiale neutro, rispettabile manifestazione del pensiero. Era invece il segno di una attività di proselitismo pericolosissima che aveva come obiettivo il reclutamento per compiere attentati. Quelle cellule sono state smembrate e i loro adepti arrestati e condannati con sentenze ormai definitive.
Oggi, ce lo aspettavamo, quei nuclei si ricostituiscono altrove, cambiano procedure, si adattano alle nuove tecnologie, cambiano terreno, ed è così che ce li ritroviamo su internet. Guai ad abbassare la guardia. Soprattutto guai a confondere facebook o youtube con i siti che creano e mantengono ogni giorno il consenso attorno al terrorismo, all’antisemitismo, all’odio verso l’occidente: tutto inizia da lì. Non si tratta di disputare sulla libertà di opinione, né di sopravvalutare manifestazioni del pensiero innocue, sebbene ideologicamente estreme.
Internet sta diventando il luogo di aggregazione e di organizzazione del terrorismo. Luogo direi quasi “fisico”, concreto, effettivo.Su internet si aggregano uomini pronti a morire per il jiahd senza che sia loro necessario camminare, prendere in affitto un appartamento, incontrarsi, spostarsi. Tutti capiamo i vantaggi e i pericoli connessi: nessun pedinamento, nessuna intercettazione ambientale, niente fotografie, niente perquisizioni e sopralluoghi a sorpresa. I rischi per i terroristi si riducono di molto, e basta un nickname, una sorta di passamontagna in versione terzo millennio, a rendere imprendibile un pericoloso terrorista, il quale spesso impartisce gli ordini da luoghi irraggiungibili.
Internet è diventata il mezzo moderno dell’arruolamento, il luogo dove l’aspirante kamikaze riceve le subliminazioni del gesto violento e suicida, l’indottrinamento e persino le istruzioni concrete su come, dove e quando attuarlo. Eppure i due arrestati a Bari erano andati a prendersi il materiale di propaganda scaricato su dischetti perché oramai il controllo sul web della Polizia è avanzatissimo e avevano timore.
Da questo punto di vista l’operazione della magistratura e delle forze dell’ordine che ha portato all’arresto di due sospetti terroristi a Bari è davvero all’avanguardia. Ci apre gli occhi, una volta per tutte.
Bisogna continuare su questa strada, senza allarmismi naturalmente, ma neppure abbassando la guardia, perché è questo che attendono i terroristi.
I terroristi, sottolineo. Non è più esaustiva la polarizzazione del pericolo terrorismo attorno alla sola Al Qaeda. Oggi sappiamo che in realtà il pericolo può arrivare dal singolo terrorista fai da te così come da micro gruppi organizzati su scala nazionale o anche operanti su scala internazionale, seppure in una dimensione minoritaria, quasi marginale e anonima.
Bisogna capire che il terrorismo è anzitutto un fenomeno sociale che ha valenze psicologiche e motivazionali fortissime. Solo in questo modo possiamo evitare schematismi e rigidità che fanno il gioco di un fenomeno magmatico e, per certi aspetti, indefinibile.
Che Bin Laden sia vivo o morto è questione importante ma non cruciale. I terroristi che si muovono in Europa attendono il momento giusto per colpire non certo l’ordine di Bin Laden o dei suoi eventuali sostituti o successori. E allora non aspettiamo che “ci scappi il morto”. Occorre mantenere alta la guardia, non imbrigliarsi in dispute oziose sui diritti umani o sui principi della Costituzione che rischiano di diventare fini a stesse. Da magistrato dico che la legge va rispettata e anche i diritti individuali devono essere rispettati. Ma i principi non possono essere utilizzati come una sorta di limitatore della efficienza della prevenzione e della difesa dei principi medesimi che si vuole difendere. Non c’è contraddizione tra il diritto alla vita e la vita del diritto. Tutti sappiamo infatti che se la sicurezza dei cittadini e l’integrità delle istituzioni dovessero essere oggetto di un attacco terroristico, tutto, ma proprio tutto verrebbe compromesso, a cominciare proprio dalla nostra libertà. Ed è questo cui mira il terrorismo, scardinare la società e le istituzioni iniettando il panico nella vita di un paese. Non è ancora accaduto, ma guai se dovesse accadere.
Teniamo alta la guardia, dunque.
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