Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
B-XVI- Continua la visita in Israele Commenti di R. A. Segre, Giorgio Israel. Bassa propaganda da Michele Giorgio
Testata:Il Giornale - Il Foglio - Il Manifesto Autore: R. A. Segre - Giorgio Israel - Michele Giorgio Titolo: «E la protesta dello sceicco rende il Pontefice più simpatico a Gerusalemme - La teologia del professor Ratzinger fa di B-XVI il Papa più vicino agli ebrei - Il pontefice: 'Gerusalemme città di tutti, basta profughi e sfollati'»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 13/05/2009, a pag. 8, l'opinione di R. A. Segre dal titolo " E la protesta dello sceicco rende il Pontefice più simpatico a Gerusalemme ", dal FOGLIO, a pag. II, l'analisi di Giorgio Israel dal titolo " La teologia del professor Ratzinger fa di B-XVI il Papa più vicino agli ebrei ", dal MANIFESTO, a pag. 9, la cronaca di Michele Giorgio dal titolo " Il pontefice: 'Gerusalemme città di tutti, basta profughi e sfollati' " preceduta dal nostro commento.
Il GIORNALE - R. A. Segre : " E la protesta dello sceicco rende il Pontefice più simpatico a Gerusalemme "
Il Talmud dice che possiamo conquistare il (nostro) mondo e possiamo perderlo in un solo istante. È un po’ quello che è successo ieri alla conferenza interconfessionale al centro Notre Dame di Gerusalemme, dove un esponente islamico, lo sceicco Taysir al Tamimi, impadronendosi del microfono, ha denunciato Israele del «macello di donne e bambini a Gaza» e chiesto al Papa «nel nome di Dio di condannare questi crimini». Non appena il contenuto del discorso fatto in arabo viene riferito a Benedetto XVI, questi lascia la conferenza. Il risultato di questo incidente, il primo che turba la delicata atmosfera di un pellegrinaggio pieno di mine religiose e politiche, va al di là degli sforzi vaticani di minimizzarlo. Forse gli accompagnatori del Papa non si rendono conto dell’impatto positivo che l’incidente “interconfessionale” provocato dallo sceicco palestinese sta avendo in Israele. Con l’intervento dello sceicco i palestinesi non hanno certo perduto il “mondo in un istante”. Ma esso ha dimostrato come essi “non perdono mai una occasione di perdere una occasione”. Il comportamento arrogante dello sceicco, più del contenuto del suo discorso anti israeliano è stato un regalo a Israele. Una delle tesi del governo Netanyahu è infatti che per arrivare alla pace occorre mettere fine alla pretesa dei palestinesi che tutto deve essere loro permesso in quanto vittime, indipendentemente dalle loro responsabilità verso se stessi e verso gli altri. In senso opposto, l’uscita di Benedetto XVI dalla conferenza a seguito delle parole dello sceicco, gli ha fatto conquistare “in un attimo” un mondo che negli occhi degli israeliani non si era sinora accattivato. Ha diminuito l’impatto negativo della benedizione da lui impartita alla conferenza “Durban II” pur conoscendone il suo tenore antisemita; ha fatto perdonare il rifiuto del rappresentante vaticano di abbandonare la conferenza ginevrina per protesta contro le diatribe anti israeliane del presidente dell’Iran. Benedetto XVI, di cui gli israeliani avevano percepito sino a ieri attraverso la crudele copertura televisiva soprattutto il comportamento impacciato, l’espressione spesso impaurita del volto, la prudenza per tema di commettere errori politici, è improvvisamente diventato simpatico per l’uomo della strada che del cristianesimo e della chiesa di Roma sa ben poco. Vede ora nel Papa soprattutto un vecchio servitore di Dio, umile, sincero, sopraffatto dal peso del suo ruolo. Nessun organo di stampa ha meglio descritto questo aspetto di Benedetto XVI di una caricatura svizzera diffusa nel mondo dal New York Times. In essa si vedono le mura merlate di Gerusalemme che accolgono il Papa con una grande scritta di benvenuto, un religioso ebreo e un religioso islamico sospettosi sullo sfondo e tre alti prelati che in ginocchio pregano: «Di grazia Signore impediscigli di fare pasticci».
Il FOGLIO - Giorgio Israel : " La teologia del professor Ratzinger fa di B-XVI il Papa più vicino agli ebrei "
Esiste un tratto che accomuna Pontefici ed ebrei nelle vedute di certi ambienti: entrambi vengono preferiti quando sono defunti. In occasione della mancata visita di Benedetto XVI all’università La Sapienza il coro di questi ambienti fu: “Giovanni Paolo II non l’avrebbe mai fatto! Lui sì che era tollerante, aperto e difensore di Galileo”. Dimenticavano l’astio che essi stessi avevano riservato al Papa intransigente anticomunista e ostile alla teologia “progressista”. Né ha senso contrapporre le azioni dell’attuale Papa ai gesti straordinari del precedente, come la visita alla Sinagoga di Roma. Quei gesti hanno avuto un ruolo fondamentale, ma per vincere incomprensioni e intolleranza occorre anche affrontare di petto le questioni dottrinarie e teologiche che ne sono alla base. Non mi stancherò di ripetere che il documento del 2001 “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana” (opera precipua del cardinale Ratzinger) è stato un contributo cruciale in tal senso perché ha riletto una serie di passaggi delicati dei Vangeli in modo da eliminarne ogni interpretazione in senso antiebraico. Per Ratzinger il rapporto tra cristianesimo ed ebraismo è costitutivo del cristianesimo stesso: “Il congedo dei cristiani dall’Antico Testamento avrebbe la conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo”. Di natura diversa è il rapporto con l’islam con cui non esiste una relazione speciale e s’impone invece la dimensione del dialogo. Ciò era evidente nel discorso di Ratisbona che indicava la sintesi tra spiritualismo ebraico-cristiano e razionalismo ellenico come radice della civiltà europea. Certamente Benedetto XVI è un Papa che crede profondamente nei principi della tradizione e per cui il dialogo non è sincretismo: “Non riluttante e non ambiguo”, l’ha definito ieri. Ciò non poteva non condurre a difficoltà e conflitti. Peraltro ha pochi titoli a muovere rimproveri chi, in altri contesti religiosi, persegue un ripristino dell’ortodossia anche più rigoroso. Dopo l’incidente con l’islam dovuto al discorso di Ratisbona e quello con ambienti ebraici per il ripristino della messa tridentina e della preghiera del Venerdì santo per la salvezza degli ebrei, Benedetto XVI ne ha fronteggiato uno assai grave con le manifestazioni di negazionismo del vescovo lefebvriano Williamson. E’ stato un periodo difficile che il Papa da solo ha risolto con dichiarazioni nette contro il negazionismo e con una memorabile lettera in cui ha aperto il suo animo in modo talmente chiaro da spianare la strada a questo viaggio di cui ci vorrà tempo per comprendere le implicazioni e gli effetti. La prima impressione superficiale è che esso si svolga in un clima ecumenico, di esaltazione di ciò che unisce le tre religioni al fine di realizzare la convivenza pacifica tra i popoli. A Gerusalemme – ha detto Benedetto XVI – ebrei, cristiani e musulmani sono chiamati “ad assumersi il dovere e a godere del privilegio di dare insieme testimonianza della pacifica coesistenza a lungo desiderata dagli adoratori dell’unico Dio”. Ai musulmani ha offerto una porta aperta al dialogo che è stata apprezzata dai moderati, come il rettore della moschea di Parigi Boubaker. Agli ebrei ha offerto dichiarazioni inequivocabili contro il negazionismo e ha ribadito la relazione speciale che intercorre tra le due fedi indicando la necessità di spazzare via una volta per tutte i detriti dell’antigiudaismo cristiano. Dietro ai toni universalistici si vede in filigrana la dottrina di Ratzinger. Appare sempre chiara l’idea della speciale natura dei rapporti tra cristianesimo ed ebraismo. La ricchezza di citazioni dall’Antico Testamento, il riferimento al Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe nella preghiera al Muro del pianto, la lettura di due salmi assieme a un rabbino, offrono l’immagine di tale particolarità. Non è mancata la riproposizione dell’idea ratzingeriana che la fede non può essere disgiunta dalla ragione e, in tal senso, ha un ruolo da giocare nella sfera pubblica. Con grande finezza intellettuale, è stato il presidente israeliano Peres a mettersi sulla lunghezza d’onda del Papa. Non a caso gli ha rivolto in latino una frase densa di significati: “Ave Benedicti, princeps fidelium”. E ha riproposto il tema del ruolo della religione nella sfera pubblica, affermando: “Tutti noi ebrei, cristiani e musulmani, popoli di fede riconosciamo che la sfida di oggi non è la separazione della religione dallo stato ma la separazione senza compromessi della religione dalla violenza”. L’affermazione che la religione non deve più farsi agente di violenza è un tema centrale di questo viaggio. Il Papa ha proscritto tutti gli integralismi e ha condannato in modo trasparente gli attentati suicidi. Aprirà tutto ciò la strada all’esito che “si smuovano i cuori” per camminare “umilmente nel sentiero di giustizia e di compassione” e verso la pace tra israeliani e palestinesi? Purtroppo c’è da dubitarne. Ne sono prova certe accanite manifestazioni di intolleranza come quella del rappresentante musulmano che si è lanciato in una violenta arringa contro Israele nel corso della visita all’Auditorium del Jerusalem Center o le espressioni tutt’altro che accomodanti del Mufti di Gerusalemme. Desideri e realtà appaiono ancora muoversi su sentieri molto lontani.
Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Il pontefice: 'Gerusalemme città di tutti, basta profughi e sfollati' "
Michele Giorgio non ha perso nemmeno questa volta l'occasione di fare propaganda contro Israele. L'articolo, che dovrebbe parlare della tappa del Papa a Gerusalemme e della messa a Josafat, è un concentratoo di odio e calunnie contro Israele. Niente di diverso dal solito. Ecco l'articolo:
Benedetto XVI ha visitato ieri nella città vecchia di Gerusalemme i metri quadrati più contesi del Medio Oriente. Dalla Spianata della Moschea della Roccia (terzo luogo santo dell’Islam), ha annunciato un dialogo senza reticenze ed ambiguità tra cristiani e musulmani e dal Muro del pianto ha proclamato l’amicizia tra cristiani ed ebrei. Ha anche depositato, come aveva fatto nel 2000 Giovanni Paolo II, una preghiera per la pace tra le fenditure del Muro del Pianto. Una visita descritta come un semplice pellegrinaggio ma che non poteva rimanere a distanza dalla questione politica di Gerusalemme, città che Israele ha unilateralmente proclamato sua capitale «eterna e indivisibile» in violazione delle risoluzioni internazionali. Il futuro di Gerusalemme coinvolge direttamente il Vaticano, non solo per motivi spirituali ma anche per la presenza all’interno delle mura antiche del Santo Sepolcro e di altri siti cristiani. Ieri, durante la messa nella valle di Giosafat, Benedetto XVI ha detto che a Gerusalemme «non dovrebbe esservi posto per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia ». Gerusalemme - ha ricordato - «è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua». Il Vaticano guarda ora con più favore ad uno status internazionale per l’intera Gerusalemme, come prevede la risoluzione 181 dell’Onu? Non è chiaro. Dopo la firma degli accordi bilaterali con Israele, la Chiesa cattolica ha mantenuto un atteggiamento ambiguo su Gerusalemme, anche sul futuro della parte araba (Est) della città, sotto occupazione dal 1967 e rivendicata dai palestinesi. Il papa ha poi espresso l’auspicio che «Dio non permetta altri profughi e sfollati» a causa del conflitto.Non ha fatto esplicito riferimento alla colonizzazione israeliana e alla demolizione di case palestinesi, ma ha detto: «Desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e possono ancora conoscere». «Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati», ha concluso il pontefice. Invece il mondo «con le palpebre appesantite dall’indifferenza» ha dimenticato i palestinesi, ha aggiunto il patriarca latino di Gerusalemme, Fuad Twal. «Santissimo Padre - ha detto Twal - Assistiamo all’agonia del popolo palestinese, che sogna di vivere in uno Stato palestinese libero e indipendente, ma non ci arriva». Twal deve tenere presente che i palestinesi li ha dimenticati anche il Vaticano visto che Benedetto XVI trascorrerà oggi a Betlemme le uniche 10 ore nei Territori occupati previste dal suo viaggio di ben otto giorni in Terra Santa. Non si spengono nel frattempo le polemiche suscitate dal discorso di Ratzinger al Memoriale dell’Olocausto, Yad Vashem. Per tanti ebrei il papa hamancato l’occasione di cancellare i dubbi sulla sua visione dello sterminio compiuto dai nazisti tedeschi. «Un discorso deludente» ha titolato ieri il quotidiano Maariv, «Un’occasione perduta per il Papa» ha incalzato Yediot Ahronot. Sulla prima pagina Haaretz ha pubblicato un commento dello storico TomSegev. «Il papa ha parlato di "ebrei uccisi" e non sterminati come se fossero stati vittima di un incidente stradale », ha notato Segev. Alle critiche ha replicato irritato il portavoce Vaticano Federico Lombardi che, peraltro, ha smentito che Ratzinger da adolescente abbia fatto parte della Hitlerjugend (Gioventù hitleriana).
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