Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Roxana Saberi libera Cronaca di Maurizio Molinari, analisi del Foglio
Testata:Il Foglio - La Stampa Autore: La redazione del Foglio - Maurizio Molinari Titolo: «I tre buoni motivi che hanno spinto l’Iran a liberare R. Saberi - Teheran libera la reporter Usa. 'Subito a casa'»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 12/05/2009, a pag. 3, l'analisi dal titolo " I tre buoni motivi che hanno spinto l’Iran a liberare R. Saberi " e dalla STAMPA, a pag. 11, la cronaca di Maurizio Molinari dal titolo " Teheran libera la reporter Usa. “Subito a casa” ". Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - " I tre buoni motivi che hanno spinto l’Iran a liberare R. Saberi "
Roma. Dopo tre mesi di prigionia e due settimane di sciopero della fame Roxana Saberi è libera. Arrestata a gennaio per aver comprato una bottiglia di vino, la trentaduenne giornalista irano-statunitense è stata prima fermata con l’accusa di aver lavorato senza le necessarie autorizzazioni e successivamente accusata di essere una spia. Il 18 aprile la Corte rivoluzionaria l’ha condannata a 8 anni di carcere. La sua detenzione ha rappresentato un ostacolo alle ipotesi di “engagement” con l’occidente e la sua liberazione può aprire il campo a nuovi scenari. E’ troppo presto per dire che i mullah sono stati ammansiti dall’Obama-style, ma è indubbio che ogni gesto di distensione rilancia il partito del dialogo. La liberazione di Saberi è soprattutto frutto di un’oculata gestione del caso da parte di Washington e del clima che si respira nei palazzi del potere iraniani. A Teheran le elezioni presidenziali sono alle porte – il 12 giugno – e il regime si prepara a misurare i rapporti di forza tra le diverse fazioni. Il braccio di ferro tra i pasdaran e gli esponenti della nomenklatura clericale è in corso e l’investitura dell’ayatollah Ali Khamenei è ancora tutta da guadagnare. Le relazioni con Washington sono il principale tema di dibattito degli insider di regime. Chi ricopre incarichi di governo o aspira a occuparli si professa con modalità diverse disponibile alla trattativa. E’ vivo nella memoria il ricordo della morte di Zahra Kazemi, la fotografa iraniana naturalizzata canadese rinchiusa nella prigione di Evin nell’estate del 2003 e uccisa durante la detenzione. I responsabili individuati da un’inchiesta durante la presidenza Khatami non hanno mai pagato. L’episodio si rivelò devastante per le relazioni tra l’Iran e il Canada. Un “incidente” o una “improvvisa e mortale malattia” della Saberi avrebbe rischiato di compromettere l’immagine e gli affari di Teheran (più delle lapidazioni e delle impiccagioni di cui sono vittime i cittadini iraniani). Un boomerang inaccettabile. La Repubblica islamica spesso manda avvertimenti di natura disparata per far capire che potrebbe fare molto male, poi però, quando e se conviene, si mostra “magnanima” (come con i marinai inglesi). Prolungare la prigionia di Saberi sarebbe stato uno schiaffo a Washington, e Teheran si muove meglio in situazioni più ambigue. In questo caso poi i maggiorenti del sistema erano quasi tutti d’accordo. I riformisti che hanno criticato il suo arresto e Ahmadinejad che, alle prese con una corsa elettorale più complessa del previsto, non soltanto non ha posto veti, ma ha invitato la magistratura a rispettare i diritti della difesa durante il processo d’appello. Il caso Saberi è “un esempio di come si possano sfruttare la vita umana e la libertà per ottenere vantaggi politici”, ha commentato Mohammed Ali Abtahi, ex collaboratore di Khatami ora consigliere del candidato riformista Medhi Karrubi. Secondo fonti del Foglio a Teheran, il regime auspicava una richiesta ufficiale da parte di Barack Obama per la liberazione di Saberi che le autorità iraniane avrebbero presentato come una richiesta di aiuto, un sintomo di debolezza. Ma il 20 aprile Hillary Clinton ha evocato l’ipotesi di misure contro Teheran e al Congresso un folto gruppo di democratici si è unito ai repubblicani nell’invocare nuove sanzioni. Gli Stati Uniti hanno lanciato due mediazioni: la prima “umanitaria” affidata a Jessy Jackson e la seconda con il ministero degli Esteri giapponese (Saberi è di madre giapponese e Tokyo è un cliente importante per il petrolio iraniano). Entrambe si sono risolte con un nulla di fatto. Dai primi di maggio i toni dell’Amministrazione Obama si sono fatti più perentori. Nel frattempo a New York è finito in guai seri Farshid Jahedi, uomo di punta della penetrazione iraniana in America. Capo della fondazione Alavi (un ente cultural-caritatevole sospettato di gestire dagli Stati Uniti il finanziamento alla rete terroristica dei mullah), Jahedi è stato arrestato a dicembre con l’accusa di riciclaggio. La settimana scorsa, un procuratore americano ha evocato la possibilità di una condanna a 30 anni. Una condanna che avrebbe reso ancora meno percorribile di quanto già non sia l’ipotetico scongelamento dei beni iraniani in America.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Teheran libera la reporter Usa. "Subito a casa”"
Teheran libera Roxana Saberi e Hillary Clinton si dice «incoraggiata da quanto avvenuto». La giornalista americana Saberi, 32 anni, era stata arrestata quattro mesi in Iran e condannata per «spionaggio» da un tribunale speciale a 8 anni di reclusione da scontare nel famigerato carcere di Evin. Ieri era in programma la sentenza di appello e, a sorpresa, il verdetto dei giudici ha ridotto la condanna a due anni assegnando anche la sospensione di pena e quindi, come detto dal portavoce del ministero della Giustizia Ali Reza Jamshidi, «la possibilità di lasciare da subito l’Iran». Il padre della giornalista, Reza, era a Teheran e nella serata è stato il primo a riabbracciare la figlia dicendosi «molto felice per la sua liberazione» e descrivendola «in buone condizioni». La donna non ha voluto rilasciare alcun commento. Entro domani entrambi lasceranno l’Iran per tornare a Fargo, in North Dakota, dove la famiglia risiede. L’arresto e i cento giorni di detenzione di Saberi avevano causato forti tensioni internazionali a causa del fatto che la ragazza - di padre iraniano e madre giapponese - era una free lance che da sei anni viveva e lavorava in Iran per diverse testate giornalistiche. L’amministrazione Obama aveva recapitato messaggi espliciti a Teheran chiedendo l’immediata liberazione della giornalista e poco dopo la sentenza d’appello il presidente si è detto sollevato dal «gesto umanitario». Il Segretario di Stato, Hillary Clinton ha aggiunto: «Siamo molto incoraggiati per il rilascio e continueremo ovviamente a opporci alle accuse che le sono state sollevate puntando a rovesciare il verdetto». Sebbene Hillary non abbia fatto alcun riferimento alle autorità iraniane, le sue parole testimoniano un rilassamento delle tensioni accumulatesi nelle ultime settimane allorché la Casa Bianca era rimasta colpita dall’improvviso arresto, coinciso con le aperture di Obama verso l’Iran. Da Teheran la scelta del rilascio è stata motivata con una «grazia islamica», terminologia che lascia intendere come la decisione sia venuta dai più alti gradi della teocrazia. Teheran punta a presentare la «grazia concessa» come un gesto di apertura nei confronti degli Usa desiderando probabilmente chiedere una veloce contropartita. «Inoltre la giornalista ha cooperato con le autorità ed ha espresso rimorso» ha aggiunto Jashmidi lasciando intendere che la condanna per spionaggio era in effetti giustificata. Ma secondo l’avvocato Saleh Nikbakht, il rilascio è stato possibile grazie al fatto che la condanna in primo grado per «cooperazione con Paese ostile» è stata derubricata a «raccolta e trasmissione di informazioni atte a minacciare la sicurezza», in quanto i giudici non hanno ritenuto che Stati Uniti e Iran non possono essere definiti Paesi tra loro «ostili». Byron Dorgan, il senatore del North Dakota che negli ultimi quattro mesi si è battuto per la liberazione di Saberi, ritiene che a muovere Teheran siano stati ben altri motivi: «Avevano preso un ostaggio per usarlo a piacimento contro gli Usa ma devono aver sentito una pressione internazionale molto forte ed hanno fatto marcia indietro». Per Human Right Watch quanto avvenuto dimostra che Teheran «se vuole è in grado di rispettare gli standard dei diritti umani», commenta Sarah Leah Whitson, direttore del dipartimento Medio Oriente, auspicando che «vengano liberati anche i molti iraniani imprigionati senza alcuna ragione».
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