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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Manifesto Rassegna Stampa
12.05.2009 Il viaggio di B-XVI: ieri la visita a Yad Vashem
Cronache di Gian Guido Vecchi e Francesco Battistini. Lamentele di Giorgio perchè la visita non comprende Gaza

Testata:Corriere della Sera - Il Manifesto
Autore: Gian Guido Vecchi - Francesco Battistini - Michele Giorgio
Titolo: «Il Papa denuncia l’orrore dell’Olocausto -Shoah, i rabbini divisi sul discorso del Pontefice - Israele e Abu Mazen vietano Gaza al papa»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/05/2009, a pag. 2, la cronaca di Gian Guido Vecchi dal titolo " Il Papa denuncia l’orrore dell’Olocausto " e, a pag. 3, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Shoah, i rabbini divisi sul discorso del Pontefice ". Dal MANIFESTO, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Israele e Abu Mazen vietano Gaza al papa ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi : " Il Papa denuncia l’orrore dell’Olocausto "

GERUSALEMME — Il Papa li saluta a uno a uno e c’è una sopravvissuta ad Auschwitz che trattiene le mani di Bene­detto XVI più degli altri sei compagni, Gita Kalderon ri­prende a parlare in modo con­vulso, come si fa a raccontare in pochi secondi la propria storia, quella storia, e come avrebbe potuto pensare che un giorno l’avrebbe narrata a un Papa nato in Germania, al­lo Yad Vashem, nella Sala del ricordo della Shoah. Solo che la signora parla un ladino se­fardita spagnolo, «faccia sì che il popolo ebraico sia ama­to », capire è difficile ma non importa, poche volte Benedet­to XVI è apparso così com­mosso: torna al suo posto, la fiamma perenne illumina i nomi dei lager sul pavimento nero e quando lo speaker ne annuncia l’intervento il pon­tefice è così assorto che non se ne accorge, il presidente israeliano Shimon Peres lo av­verte sfiorandogli il braccio. Così la voce di Benedetto XVI quasi s’incrina mentre ricor­da i «milioni di ebrei» («sei milioni», aveva già scandito all’aeroporto) uccisi «nell’or­renda tragedia della Shoah» e sillaba: «Possano le loro soffe­renze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! Mai più un simile orrore possa di­sonorare ancora l’umanità!».
Il primo giorno del Papa in Israele è il più delicato, Bene­detto XVI dispiega in poche ore i temi fondamentali della sua visita. All’aeroporto, da­vanti a Peres e al premier Ne­tanyahu, parla delle «speran­ze » legate «all’esito dei nego­ziati tra israeliani e palestine­si » e alza lo sguardo: «Suppli­co quanti sono investiti di re­sponsabilità a esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vi­vere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confi­ni sicuri ed internazionalmen­te riconosciuti». Di lì a poco denuncia «l’antisemitismo che continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo» ed esorta a «combatterlo ovunque si tro­vi » perché «totalmente inac­cettabile ». Al Museo della Shoah cita Isaia, «darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato» — il significa­to di Yad («memoriale») e Shem («nome») — e spiega che le vittime «hanno perso la vita ma non perderanno mai i loro nomi, incisi in mo­do indelebile nella memoria di Dio».
Avner Shalev, presidente
del Museo, parla di una visita «positiva», salvo aggiungere che «il Papa non ha nomina­to direttamente i persecutori: i nazisti tedeschi». Peres si è detto «grato» e lo ha accolto a casa, «la sua visita può offri­re opportunità per noi e per nostri vicini di giungere alla pace». I genitori di Noam Sha­lit, il soldato prigioniero di Hamas a Gaza dal giugno 2006, hanno consegnato al Pa­pa un messaggio. Ed è in no­me di tutti i «figli» che il Papa ha evocato il «grido» di chi vuole una vita «libera dalla paura di minacce esterne e di insensata violenza».
Oggi il Papa andrà al Muro del pianto e nella Spianata delle moschee. Ma il dialogo «trilaterale» è arduo. L’incon­tro interreligioso della sera si è interrotto quando lo sceic­co Taysir al-Tamimi ha preso il microfono e inveito contro Israele e «i suoi crimini», mentre molti rabbini lasciava­no la sala e il patriarca Twal cercava di fermarlo. Parlava in arabo e Benedetto XVI guar­dava senza capire, desolato e contrariato quando gli hanno spiegato. «Una vergogna che ferisce soprattutto il Papa» protesta il governo israelia­no. E il gran rabbinato: «O lo sceicco esce dal comitato in­terreligioso o usciamo noi». Il più irritato è il Vaticano, «un intervento non previsto che è la negazione del dialo­go », fa sapere il portavoce, pa­dre Federico Lombardi: «Ci si augura che questo incidente non comprometta la missio­ne del Papa diretta a promuo­vere la pace e il dialogo tra le religioni».

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Shoah, i rabbini divisi sul discorso del Pontefice "

GERUSALEMME — Questo Papa, però... Che cosa s’aspettassero, l’ave­va già disegnato la mattina il vignetti­sta di Ma’ariv: un imbarazzato Ratzin­ger che porge la mano, un serio signo­re con la kippah che ricambia, ma sol­levando la manica e mostrando il nu­mero tatuato sul braccio, 6.000.000, sei milioni d’ebrei inceneriti.
L’aspettavano alle fiammelle di Yad Vashem, s’aspettavano una fiammata nei cuori. La prova del fuoco di Yad Vashem non scalda l’auditorio, figu­rarsi l’auditel: due minuti di servizio sui tg della sera e poi via con le notizie sull’incontro Netanyahu-Mubarak.
«Non ha citato i sei milioni» è delu­so Meir Lau, 72 anni, presidente del Museo dell’Olocausto, rabbino capo di Tel Aviv scampato a Buchenwald.
Per la verità, Benedetto XVI l’ha fatto in un discorso precedente, ma Lau aveva criticato pure Giovanni Paolo II, nel 2000 e ripete le stesse perplessità: «Il discorso all’aeroporto è stato super­bo, ma a Yad Vashem no. È mancato qualcosa. Non ho sentito le parole 'mi spiace, mi scuso', questo è certo. Ha usato la parola 'uccisi', anziché 'as­sassinati' e c’è una bella differenza. Non c’è stato nessun cenno ai tede­schi o ai nazisti, né una parola di rim­pianto. Non ho sentito la partecipazio­ne al dolore. Un’occasione mancata».

La ferita non è ricucita né riaperta. Resta lì, a cicatrizzarsi col tempo. An­che se non tutti condividono la rabbia dei rabbini: «Nemmeno Wojtyla s’era scusato — dice Adam Ferziger, studio­so d’ebraismo all’Università di Bar-Ilan —. La Shoah è un argomento delicato. Avesse usato parole per chie­dere
perdono, sarebbe stato un even­to drammatico. È già importante che Benedetto XVI sia venuto qui: dopo di lui, l’omaggio a Yad Vashem divente­rà una tradizione per ogni Papa». «Da tedesco, forse poteva osare di più — giustifica Christoph Schmid, docente di teologia tedesca all’Università di Ge­rusalemme —. Ma ho visto una parte­cipazione al dolore. Ha fatto un discor­so da capo di Stato, asciutto, come Pe­res. Sapendo che, qualunque cosa di­ca, diventa strumento di propagan­da ».
Ci provano un po’ tutti, per la veri­tà. Da settimane, mesi è tutt’un tira­re la tonaca, troppo corta per coprire ogni causa. Sgam­betti & dispetti. I quattro ministri della destra religiosa Shas che si fan­no notare per l’assenza, «in rispetto al­le vittime della Shoah», e il portavoce della Knesset, terza carica dello Stato, che evita il benvenuto all’aeroporto. I deputati liberal di Meretz che diserta­no «in solidarietà con la comunità gay». L’Autorità palestinese che inau­gura una sala stampa a Gerusalemme Est e il ministro dell’Interno che gliela chiude: «È una censura — protestano da Ramallah — perché Gerusalemme Est è territorio occupato, non Israele»;
«è la legge — replica il governo israe­liano — l’Anp sa di non poter aprire uffici in quella parte della città». Perfi­no le ambulanze al seguito: il Vatica­no le aveva chieste bianche, senza sim­boli, nemmeno la crocerossa, ma al­l’ultimo sono spuntate quelle con la stella di David. Ogni passo del percor­so è oggetto di trattativa, specie le in­quadrature tv: non si sa ancora che co­sa si vedrà del Muro, ma si sa che il palco della Valle di Josafat è stato spo­stato un po’, per consentire di vedere meglio il cimitero ebraico e un po’ meno quello musulmano. A Betlemme non s’è tro­vato un posto a sedere per i rifugiati del cam­po: l’Anp li ha assegna­ti tutti ai grandi papa­veri di Abu Mazen. Da Gaza, non s’è ancora capito a quanti arabi cristiani sarà con­sentito d’esserci. Anche gli ecologisti: per la spianata di Nazareth, protesta­no, sono stati sradicati decine di albe­ri, e da Haifa s’è fatto venire e ripianta­re un ulivo vecchio di 500 anni. Molti umori neri, poco humour. Ieri il traffi­co di Gerusalemme era paralizzato, i clacson impazzivano: «Prima che agli ebrei — ha commentato un comico tv — il Papa dovrebbe chiedere perdono agli automobilisti».

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Israele e Abu Mazen vietano Gaza al papa "

Incredibile il quotidiano comunista! Pur di screditare Israele arriva a compatire i cattolici di Gaza perchè fra le tappe del viaggio non ne è compresa una nella Striscia. Poco importa se a mettere il veto è stato pure Abu Mazen. Ecco l'articolo:

«Papa Ratzinger doveva andare a Gaza, perché la Chiesa cattolica deve stare sempre con chi soffre e con i più deboli, come ci ha insegnato Gesù Cristo». È perentorio il tono di padre Manuel Musallam: «So che il santo padre desiderava visitare i palestinesi cristiani di Gaza – ci dice padre Manuel, parroco di Gaza city per 14 anni e che la lasciato l’incarico appena qualche giorno fa – e avrebbe portato volentieri conforto all’intera popolazione colpita dalla guerra (l’offensiva israeliana tra il 27 dicembre e il 18 gennaio, ndr) ma Israele si è opposto e purtroppo anche l’Autorità nazionale palestinese ha dato parere sfavorevole». Così, aggiunge il religioso che ora vive a Bir Zeit, «la Striscia di Gaza è stata esclusa dalla visita di Benedetto XVI deludendo tanti cristiani e l’intera popolazione palestinese. È stata un’occasione mancata per diffondere unmessaggio di pace e giustizia tra coloro che soffrono». Benedetto XVI rimarrà lontano dalla Striscia di Gaza e nei Territori occupati palestinesi resterà solo qualche ora, in occasione della visita che effettuerà domani a Betlemme e al vicino campo profughi di Aida. Il muro di separazione costruito da Israele nella Cisgiordania palestinese lo vedrà soltanto dall’auto, lungo il tragitto che lo condurrà da Gerusalemme a Betlemme. Qualcuno al Patriarcato latino si affanna a spiegare che in fondo una buona parte del programma del pontefice è a Gerusalemme est, la zona araba della città occupata da Israele nel 1967 dove si trovano i principali siti religiosi cristiani. Ma l’itinerario a Gerusalemme è stato concordato soltanto con le autorità israeliane e la stessa Anp ha denunciato il tentativo di Israele di sfruttare l’enorme copertura mediatica dell’evento per affermare il suo controllo sull’intera città. Il Vaticano, peraltro, non ha replicato pubblicamente alla petizione circolata nelle settimane passate e firmata da centinaia di religiosi cattolici di Gaza e Cisgiordania, di diversi paesi occidentali e arabi e persino dagli studenti di teologia dell'Università di Berkeley, affinché il papa includesse Gaza nel suo viaggio. Il portavoce del Patriarcato latino di Gerusalemme, Wadie Abu Nassar, si è limitato ad affermare in un’intervista concessa ad aprile al Jerusalem Post che «Gaza non rientra e non rientrerà nell'itinerario del Papa, non ci saranno cambiamenti nel programma ». Parole che hanno generato non poco disappunto tra i 300 palestinesi cattolici della Striscia (dove i cristiani sono circa 3mila, in maggioranza di rito ortodosso). «Papa Giovanni Paolo II visitando nel 2000 il campo profughi di Deheishe aveva fatto promesse di aiuto ai palestinesi, ora quasi dieci anni dopo Benedetto XVI avrebbe dovuto parlare di pace e giustizia alla gente di Gaza», spiega padre Labib Kopti, direttore della rivista cattolica al Bushra e uno dei promotori dell’appello al papa. Come spiegato anche da padre Musallam, a schierarsi contro una possibile visita di Benedetto XVI a Gaza è stata anche l’Anp di Abu Mazen.Dal quartier generale palestinese smentiscono e parlano di «mancanza di garanzie di sicurezza » e di «decisioni israeliane e vaticane ». La questione invece è solo di natura politica: l’Anp e Israele non intendevano concedere al governo di Hamas, che controlla Gaza da due anni, un riconoscimento di fatto da parte del Vaticano. «Ma ciò è incomprensibile perché la Chiesa cattolica comunque già opera a Gaza avendo contatti anche con le autorità politiche locali (Hamas)», aggiunge Musallam. I palestinesi cattolici di Gaza adesso sperano di poter incontrare il papa a Betlemme. Soltanto ieri però Israele ha cominciato a distribuire una parte dei permessi che consentono di raggiungere la Cisgiordania. «Da stamattina – riferiva ieri il nuovo parroco di Gaza, Jorge Hernandez - siamo in fila al valico di Eretz per entrare in Israele. E finalmente, pochi minuti fa, sono riuscito a passare assieme a due suore di Madre Teresa con passaporto straniero... rischiamo di essere i soli cristiani di Gaza presenti. Finora non sono stati concessi i 250 permessi che il governo israeliano ci aveva promesso».

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