Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Il viaggio di B-XVI: ieri la visita a Yad Vashem Cronache di Gian Guido Vecchi e Francesco Battistini. Lamentele di Giorgio perchè la visita non comprende Gaza
Testata:Corriere della Sera - Il Manifesto Autore: Gian Guido Vecchi - Francesco Battistini - Michele Giorgio Titolo: «Il Papa denuncia l’orrore dell’Olocausto -Shoah, i rabbini divisi sul discorso del Pontefice - Israele e Abu Mazen vietano Gaza al papa»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/05/2009, a pag. 2, la cronaca di Gian Guido Vecchi dal titolo " Il Papa denuncia l’orrore dell’Olocausto " e, a pag. 3, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Shoah, i rabbini divisi sul discorso del Pontefice ". Dal MANIFESTO, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Israele e Abu Mazen vietano Gaza al papa ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi : " Il Papa denuncia l’orrore dell’Olocausto "
GERUSALEMME — Il Papa li saluta a uno a uno e c’è una sopravvissuta ad Auschwitz che trattiene le mani di Benedetto XVI più degli altri sei compagni, Gita Kalderon riprende a parlare in modo convulso, come si fa a raccontare in pochi secondi la propria storia, quella storia, e come avrebbe potuto pensare che un giorno l’avrebbe narrata a un Papa nato in Germania, allo Yad Vashem, nella Sala del ricordo della Shoah. Solo che la signora parla un ladino sefardita spagnolo, «faccia sì che il popolo ebraico sia amato », capire è difficile ma non importa, poche volte Benedetto XVI è apparso così commosso: torna al suo posto, la fiamma perenne illumina i nomi dei lager sul pavimento nero e quando lo speaker ne annuncia l’intervento il pontefice è così assorto che non se ne accorge, il presidente israeliano Shimon Peres lo avverte sfiorandogli il braccio. Così la voce di Benedetto XVI quasi s’incrina mentre ricorda i «milioni di ebrei» («sei milioni», aveva già scandito all’aeroporto) uccisi «nell’orrenda tragedia della Shoah» e sillaba: «Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! Mai più un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità!». Il primo giorno del Papa in Israele è il più delicato, Benedetto XVI dispiega in poche ore i temi fondamentali della sua visita. All’aeroporto, davanti a Peres e al premier Netanyahu, parla delle «speranze » legate «all’esito dei negoziati tra israeliani e palestinesi » e alza lo sguardo: «Supplico quanti sono investiti di responsabilità a esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti». Di lì a poco denuncia «l’antisemitismo che continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo» ed esorta a «combatterlo ovunque si trovi » perché «totalmente inaccettabile ». Al Museo della Shoah cita Isaia, «darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato» — il significato di Yad («memoriale») e Shem («nome») — e spiega che le vittime «hanno perso la vita ma non perderanno mai i loro nomi, incisi in modo indelebile nella memoria di Dio». Avner Shalev, presidente del Museo, parla di una visita «positiva», salvo aggiungere che «il Papa non ha nominato direttamente i persecutori: i nazisti tedeschi». Peres si è detto «grato» e lo ha accolto a casa, «la sua visita può offrire opportunità per noi e per nostri vicini di giungere alla pace». I genitori di Noam Shalit, il soldato prigioniero di Hamas a Gaza dal giugno 2006, hanno consegnato al Papa un messaggio. Ed è in nome di tutti i «figli» che il Papa ha evocato il «grido» di chi vuole una vita «libera dalla paura di minacce esterne e di insensata violenza». Oggi il Papa andrà al Muro del pianto e nella Spianata delle moschee. Ma il dialogo «trilaterale» è arduo. L’incontro interreligioso della sera si è interrotto quando lo sceicco Taysir al-Tamimi ha preso il microfono e inveito contro Israele e «i suoi crimini», mentre molti rabbini lasciavano la sala e il patriarca Twal cercava di fermarlo. Parlava in arabo e Benedetto XVI guardava senza capire, desolato e contrariato quando gli hanno spiegato. «Una vergogna che ferisce soprattutto il Papa» protesta il governo israeliano. E il gran rabbinato: «O lo sceicco esce dal comitato interreligioso o usciamo noi». Il più irritato è il Vaticano, «un intervento non previsto che è la negazione del dialogo », fa sapere il portavoce, padre Federico Lombardi: «Ci si augura che questo incidente non comprometta la missione del Papa diretta a promuovere la pace e il dialogo tra le religioni».
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Shoah, i rabbini divisi sul discorso del Pontefice "
GERUSALEMME — Questo Papa, però... Che cosa s’aspettassero, l’aveva già disegnato la mattina il vignettista diMa’ariv: un imbarazzato Ratzinger che porge la mano, un serio signore con la kippah che ricambia, ma sollevando la manica e mostrando il numero tatuato sul braccio, 6.000.000, sei milioni d’ebrei inceneriti. L’aspettavano alle fiammelle di Yad Vashem, s’aspettavano una fiammata nei cuori. La prova del fuoco di Yad Vashem non scalda l’auditorio, figurarsi l’auditel: due minuti di servizio sui tg della sera e poi via con le notizie sull’incontro Netanyahu-Mubarak. «Non ha citato i sei milioni» è deluso Meir Lau, 72 anni, presidente del Museo dell’Olocausto, rabbino capo di Tel Aviv scampato a Buchenwald. Per la verità, Benedetto XVI l’ha fatto in un discorso precedente, ma Lau aveva criticato pure Giovanni Paolo II, nel 2000 e ripete le stesse perplessità: «Il discorso all’aeroporto è stato superbo, ma a Yad Vashem no. È mancato qualcosa. Non ho sentito le parole 'mi spiace, mi scuso', questo è certo. Ha usato la parola 'uccisi', anziché 'assassinati' e c’è una bella differenza. Non c’è stato nessun cenno ai tedeschi o ai nazisti, né una parola di rimpianto. Non ho sentito la partecipazione al dolore. Un’occasione mancata».
La ferita non è ricucita né riaperta. Resta lì, a cicatrizzarsi col tempo. Anche se non tutti condividono la rabbia dei rabbini: «Nemmeno Wojtyla s’era scusato — dice Adam Ferziger, studioso d’ebraismo all’Università di Bar-Ilan —. La Shoah è un argomento delicato. Avesse usato parole per chiedere perdono, sarebbe stato un evento drammatico. È già importante che Benedetto XVI sia venuto qui: dopo di lui, l’omaggio a Yad Vashem diventerà una tradizione per ogni Papa». «Da tedesco, forse poteva osare di più — giustifica Christoph Schmid, docente di teologia tedesca all’Università di Gerusalemme —. Ma ho visto una partecipazione al dolore. Ha fatto un discorso da capo di Stato, asciutto, come Peres. Sapendo che, qualunque cosa dica, diventa strumento di propaganda ». Ci provano un po’ tutti, per la verità. Da settimane, mesi è tutt’un tirare la tonaca, troppo corta per coprire ogni causa. Sgambetti & dispetti. I quattro ministri della destra religiosa Shas che si fanno notare per l’assenza, «in rispetto alle vittime della Shoah», e il portavoce della Knesset, terza carica dello Stato, che evita il benvenuto all’aeroporto. I deputati liberal di Meretz che disertano «in solidarietà con la comunità gay». L’Autorità palestinese che inaugura una sala stampa a Gerusalemme Est e il ministro dell’Interno che gliela chiude: «È una censura — protestano da Ramallah — perché Gerusalemme Est è territorio occupato, non Israele»; «è la legge — replica il governo israeliano — l’Anp sa di non poter aprire uffici in quella parte della città». Perfino le ambulanze al seguito: il Vaticano le aveva chieste bianche, senza simboli, nemmeno la crocerossa, ma all’ultimo sono spuntate quelle con la stella di David. Ogni passo del percorso è oggetto di trattativa, specie le inquadrature tv: non si sa ancora che cosa si vedrà del Muro, ma si sa che il palco della Valle di Josafat è stato spostato un po’, per consentire di vedere meglio il cimitero ebraico e un po’ meno quello musulmano. A Betlemme non s’è trovato un posto a sedere per i rifugiati del campo: l’Anp li ha assegnati tutti ai grandi papaveri di Abu Mazen. Da Gaza, non s’è ancora capito a quanti arabi cristiani sarà consentito d’esserci. Anche gli ecologisti: per la spianata di Nazareth, protestano, sono stati sradicati decine di alberi, e da Haifa s’è fatto venire e ripiantare un ulivo vecchio di 500 anni. Molti umori neri, poco humour. Ieri il traffico di Gerusalemme era paralizzato, i clacson impazzivano: «Prima che agli ebrei — ha commentato un comico tv — il Papa dovrebbe chiedere perdono agli automobilisti».
Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Israele e Abu Mazen vietano Gaza al papa "
Incredibile il quotidiano comunista! Pur di screditare Israele arriva a compatire i cattolici di Gaza perchè fra le tappe del viaggio non ne è compresa una nella Striscia. Poco importa se a mettere il veto è stato pure Abu Mazen. Ecco l'articolo:
«Papa Ratzinger doveva andare a Gaza, perché la Chiesa cattolica deve stare sempre con chi soffre e con i più deboli, come ci ha insegnato Gesù Cristo». È perentorio il tono di padre Manuel Musallam: «So che il santo padre desiderava visitare i palestinesi cristiani di Gaza – ci dice padre Manuel, parroco di Gaza city per 14 anni e che la lasciato l’incarico appena qualche giorno fa – e avrebbe portato volentieri conforto all’intera popolazione colpita dalla guerra (l’offensiva israeliana tra il 27 dicembre e il 18 gennaio, ndr) ma Israele si è opposto e purtroppo anche l’Autorità nazionale palestinese ha dato parere sfavorevole». Così, aggiunge il religioso che ora vive a Bir Zeit, «la Striscia di Gaza è stata esclusa dalla visita di Benedetto XVI deludendo tanti cristiani e l’intera popolazione palestinese. È stata un’occasione mancata per diffondere unmessaggio di pace e giustizia tra coloro che soffrono». Benedetto XVI rimarrà lontano dalla Striscia di Gaza e nei Territori occupati palestinesi resterà solo qualche ora, in occasione della visita che effettuerà domani a Betlemme e al vicino campo profughi di Aida. Il muro di separazione costruito da Israele nella Cisgiordania palestinese lo vedrà soltanto dall’auto, lungo il tragitto che lo condurrà da Gerusalemme a Betlemme. Qualcuno al Patriarcato latino si affanna a spiegare che in fondo una buona parte del programma del pontefice è a Gerusalemme est, la zona araba della città occupata da Israele nel 1967 dove si trovano i principali siti religiosi cristiani. Ma l’itinerario a Gerusalemme è stato concordato soltanto con le autorità israeliane e la stessa Anp ha denunciato il tentativo di Israele di sfruttare l’enorme copertura mediatica dell’evento per affermare il suo controllo sull’intera città. Il Vaticano, peraltro, non ha replicato pubblicamente alla petizione circolata nelle settimane passate e firmata da centinaia di religiosi cattolici di Gaza e Cisgiordania, di diversi paesi occidentali e arabi e persino dagli studenti di teologia dell'Università di Berkeley, affinché il papa includesse Gaza nel suo viaggio. Il portavoce del Patriarcato latino di Gerusalemme, Wadie Abu Nassar, si è limitato ad affermare in un’intervista concessa ad aprile al Jerusalem Post che «Gaza non rientra e non rientrerà nell'itinerario del Papa, non ci saranno cambiamenti nel programma ». Parole che hanno generato non poco disappunto tra i 300 palestinesi cattolici della Striscia (dove i cristiani sono circa 3mila, in maggioranza di rito ortodosso). «Papa Giovanni Paolo II visitando nel 2000 il campo profughi di Deheishe aveva fatto promesse di aiuto ai palestinesi, ora quasi dieci anni dopo Benedetto XVI avrebbe dovuto parlare di pace e giustizia alla gente di Gaza», spiega padre Labib Kopti, direttore della rivista cattolica al Bushra e uno dei promotori dell’appello al papa. Come spiegato anche da padre Musallam, a schierarsi contro una possibile visita di Benedetto XVI a Gaza è stata anche l’Anp di Abu Mazen.Dal quartier generale palestinese smentiscono e parlano di «mancanza di garanzie di sicurezza » e di «decisioni israeliane e vaticane ». La questione invece è solo di natura politica: l’Anp e Israele non intendevano concedere al governo di Hamas, che controlla Gaza da due anni, un riconoscimento di fatto da parte del Vaticano. «Ma ciò è incomprensibile perché la Chiesa cattolica comunque già opera a Gaza avendo contatti anche con le autorità politiche locali (Hamas)», aggiunge Musallam. I palestinesi cattolici di Gaza adesso sperano di poter incontrare il papa a Betlemme. Soltanto ieri però Israele ha cominciato a distribuire una parte dei permessi che consentono di raggiungere la Cisgiordania. «Da stamattina – riferiva ieri il nuovo parroco di Gaza, Jorge Hernandez - siamo in fila al valico di Eretz per entrare in Israele. E finalmente, pochi minuti fa, sono riuscito a passare assieme a due suore di Madre Teresa con passaporto straniero... rischiamo di essere i soli cristiani di Gaza presenti. Finora non sono stati concessi i 250 permessi che il governo israeliano ci aveva promesso».
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