lunedi` 12 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.05.2009 Tariq Ramadan, se lo conosci lo eviti
Ignora la modernizzazione, predica 'fedeltà e ritorno al Corano'

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 maggio 2009
Pagina: 43
Autore: Marco Ventura
Titolo: «L'ambigua riforma di Ramadan»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/05/2009, a pag. 43, l'articolo di Marco Ventura dal titolo " L'ambigua riforma di Ramadan ".

Come si cura questo Islam ma­lato? I terapeuti si accalcano al capezzale. Fioccano le pro­poste degli intellettuali mu­sulmani. Diagnosi e rimedi sono i più diversi, ma la regola d’oro è sempre la stessa. La terapia deve ancorarsi alla tra­dizione; nutrirsi di fedeltà ai Testi, ai fa­sti passati, alla sapienza dei maestri. Ov­viamente ogni maître à penser ritiene che la propria terapia sia «fedele», non quella altrui. E l’Islam continua a girare in tondo. A unirsi su ciò che lo divide.
Il saggio di Tariq Ramadan in uscita in Italia (
La riforma radicale, Rizzoli, traduzione di Sara Arena e Cristiana La­tini, pp. 418, e 22 in libreria da domani) è uno splendido esempio del genere. Le quattrocento pagine di teorie e con­cetti sono dominate dall’idea che il ri­scatto dell’Islam sia nella fedeltà alla sua storia, al suo patrimonio; nella pra­tica di una tradizione da cui scaturirà inevitabilmente il nuovo. Proprio per­ché fedele alla vera tradizione, l’autore si accredita come ponte tra i fondamen­talisti e l’Islam europeo. Blandisce i ra­dicali esaltando la creatività dei sapien­ti e l’immobilità dei Testi sacri, critican­do «l’ossessione di seguire l’Occiden­te ». Vellica gli occidentali spiegando che l’Islam è interpretazione, testo che si fa contesto; predicando il «rifiuto del­l’immobilismo, del formalismo, del­l’imitazione cieca e del fatalismo». Fin dal titolo, il volume offre agli occidenta­li il miele della «Riforma» e agli islami­sti il latte della «radicalità».
Tariq Ramadan è odiato o amato per il suo singolare profilo di stratega uni­versale del pensiero islamico; perché ne spicca l’unicità di intellettuale che di­ce sull’Islam cose che piacciono a tutti. Ma non è questo il cuore della questio­ne.
Ramadan è interessante non per un’unicità a ben vedere inesistente, ma al contrario per la sua rappresentatività, per il suo fare come tutti. Il suo approccio alla malattia dell’Islam è in realtà il più comune ed è parte della malattia stessa: un discorso senza fratture e senza concretezza, in cui le convergenze teoriche annullano drammi, colpe e responsabilità della storia, in cui tutto può esser digerito dallo smisurato stomaco dell’Islam; in cui il suo refrain «tutto è ancora possibile» non misura le condizioni storiche, ma la speculazione teologica.
L’Islam è invece malato di realtà; si può curare soltanto con dosi massicce di concretezza, di storia, di fatti. Tariq Ramadan dedica solo quattro righe su quattrocento pagine alla modernizza­zione nell’Impero ottomano, eppure l’Islam soffre perché ignora cosa è suc­cesso nell’incontro/scontro con le po­tenze coloniali, come ne sia uscito cam­biato per sempre; soffre perché finge che quella contaminazione non si sia prodotta, perché vagheggia una purez­za istituzionale negata dalla realtà degli Stati arabo-musulmani. L’Islam è mala­to perché il suo diritto non sa stabilire rapporti con gli altri sistemi giuridici. Giuristi coraggiosi discutono la sharia mettendone a fuoco specificità e impu­rità, raccontando come interagisca con gli ordinamenti degli Stati musulmani e non, come si differenzi nello spazio e nel tempo. Invece Ramadan isola la sha­ria dal contesto. Non accenna mai, mai, al suo reale funzionamento. Maneggia disinvolto concetti (legge, giurispru­denza, fonti) di difficile traduzione già nelle varie tradizioni giuridiche occi­dentali. L’Islam è malato perché non sa integrare i diritti dell’individuo, delle minoranze. Ramadan non parla dell’op­pressione conformistica nelle società
musulmane o nelle famiglie e comunità islamiche in Occidente. Teme che la libertà politica dell’individuo metta in crisi l’interpretazione tradizionale dei Testi sacri, la «fedeltà» al Testo, la struttura dell’autorità. Il suo Islam, scrive Ramadan, rifiuta «un’interpretazione libera dei testi, lasciata all’elaborazione critica di individui privi di ogni conoscenza riguardo alle scienze islamiche, come anche delle convenzioni e delle norme imposte agli specialisti dei testi e all’esercizio della loro competenza». Le sue quattrocento pagine di esaltazione del connubio tra scienze sociali e Islam si sbriciolano davanti alla suprema leg­ge della fedeltà alla tradizione; scrive ancora Ramadan: «Il rinnovamento e la riforma del pensiero musulmano mo­derno non possono in nessun caso comportare il mancato rispetto delle esigenze di conoscenza e di scienza del­la Rivelazione, delle tradizioni profeti­che e delle produzioni dei sapienti nel corso della Storia».
La parola «fedeltà» ricorre ottanta volte nel volume. È il vessillo di quel­­l’Islam che migliaia di Ramadan vorreb­bero guarire a colpi di finzione teologi­ca; un Islam illuso dalla potenza della fede e sfinito da una realtà nemica. Esal­tato perché fedele alla Rivelazione; de­presso perché infedele al reale. Non del­l’alleanza astratta tra fede e ragione ha bisogno l’Islam malato, ma di quella concreta tra religione e realtà.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT