Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/05/2009, a pag. 18, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Il giallo del Dottor Morte 'E’ ancora vivo, in Cile' " e dalla STAMPA a pag. 33, l'articolo di Alessandro Alviani dal titolo " Così nel lager stampavo sterline per Hitler ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Il giallo del Dottor Morte 'E’ ancora vivo, in Cile' "
WASHINGTON — Non c’è una cartella odontoiatrica per fare un raffronto. Non esistono resti umani su cui eseguire il test del Dna. E, come per Osama Bin Laden, vale la frase: «Non considerare un umano deceduto fintanto che non vedi il suo corpo. E anche in quel caso puoi fare un errore». Parliamo di Aribert Heim, il «Dottor Morte », il criminale di guerra nazista responsabile di orrendi esperimenti sui prigionieri nei lager di Mauthausen, Sachsenhausen e Buchenwald. E’ davvero crepato oppure, all’età di 85 anni, rimane uno dei dieci grandi latitanti del Terzo Reich?
Un’inchiesta giornalistica, pubblicata in febbraio, ha concluso che Heim sarebbe spirato nell’estate del 1992 in Egitto. E ciò è quello che ha ripetuto la sua famiglia sostenendo che il loro congiunto era arrivato al Cairo dopo una lunga fuga. Dalla Germania alla Francia, dal Marocco alla Libia, infine l’Egitto dove aveva abbracciato la fede islamica e si faceva chiamare Tarek Farid Hussein. I reporter scovano anche una valigia con documenti, certificati, carte. Presunte prove del suo soggiorno egiziano.
Ma lo scoop giornalistico non ha chiuso il giallo. Efraim Zuroff, responsabile del Centro Wiesenthal, impegnato da anni nella caccia agli ultimi nazisti, ha un’altra idea. La sua tesi è che il criminale potrebbe essere ancora vivo o comunque non sarebbe deceduto in Egitto. C’è la possibilità che Heim si nasconda in Cile. Segnalazioni raccolte nel Continente americano sembrano confermarlo. E oggi il sospetto di Zuroff è condiviso, come ha rivelato il settimanale Spiegel, dalla polizia tedesca. Un cambio d’opinione significativo. Gli investigatori, a febbraio, avevano giudicato fondate le conclusioni del New York Times e della tv tedesca Zdf che avevano svelato la presunta morte di Heim al Cairo. I funzionari della Divisione Criminale del Baden-Württemberg hanno raccolto nuove informazioni sul network, con appoggi in Svizzera e Usa, che ha garantito al fuggiasco un flusso continuo di denaro. Soldi usati per vivere ma anche per rimediare a un «buco» creato da un investimento finanziario finito male in Egitto.
Il Centro Wiesenthal, con l’aiuto dei membri delle comunità ebraiche sparse per il mondo, e le autorità tedesche hanno allora ripreso a indagare «in ogni direzione». Zuroff afferma che la storia egiziana «è troppo perfetta» per essere vera. E non è un caso che sia emersa dopo un anno durante il quale i cacciatori hanno riempito il dossier sul criminale con nuovi dati. Una serie di indizi che hanno permesso di concentrare le ricerche in Spagna e Sud America. Il Centro Wiesenthal, poi, cita una circostanza strana.
Un avvocato tedesco ha presentato una richiesta di esenzione fiscale per conto di Heim nel 2001, — ossia 12 anni dopo la sua presunta morte — precisando di essere «in contatto con il mio cliente, che vive all’estero». Questo, sottolinea Zuroff, dimostra che la famiglia ha mentito. Il figlio del nazista replica negando l’esistenza di quella pratica. La rabbiosa reazione di ambienti neonazisti americani con appelli alla solidarietà per il camerata svela legami pericolosi.
Chi insegue Heim deve districarsi tra dritte buone e false. Un conto corrente ancora attivo portava a guardare in Spagna. Vecchie complicità di camerati spingevano a cercare negli ambienti della destra sudamericana, sempre accogliente con i gerarchi. Trame da film di ex spie israeliane raccontavano altro: è stato rapito in Canada, sostenevano, poi ucciso al largo della California. Zuroff studia, verifica, cerca. E’ consapevole che è rimasto poco tempo e vorrebbe vedere Heim in una cella prima che la morte lo faccia sparire per l’ultima volta.
La STAMPA - Alessandro Alviani : " Così nel lager stampavo sterline per Hitler "
Se Adolf Burger è ancora vivo lo deve anche alla sua passione per i libri. «Avevo 14 anni e amavo leggere, ma la mia famiglia era povera; così pensai “se divento tipografo potrò avere molti libri”». Burger non ci riuscì: la sua prima tipografia era troppo piccola per stampare dei testi. In cambio, però, apprese quel mestiere che gli consentirà pochi anni dopo di sfuggire alle camere a gas di Auschwitz e Birkenau, nonostante la sua condanna a morte fosse ormai scritta. Burger, un ebreo di origini slovacche, era infatti al corrente di uno dei segreti meglio custoditi dai nazisti: l’«Operazione Bernhard». Dietro quel nome si nasconde la più grande operazione di falsificazione nella storia: 134 milioni di sterline, ventimila dollari, francobolli, carte d'identità, passaporti. Tutti identici agli originali. E tutti rigorosamente falsi, prodotti in una stamperia nel campo di concentramento di Sachsenhausen, a nord di Berlino, da un gruppo di internati ebrei. Una scelta non casuale: prima o poi i componenti del «Kommando falsari» dovevano essere liquidati, portando nella loro tomba quel segreto.
Burger, invece, è sopravvissuto all’Olocausto e ha raccontato la sua storia in un libro che esce in questi giorni (L'officina del diavolo, edizioni Nutrimenti, 400 pagine, 19,5 euro). Una storia ripresa nel film premio Oscar Il falsario e che comincia in Slovacchia. È lì che Burger apprese il mestiere di tipografo dopo la scuola. È lì che incontrò la futura moglie, Gisela. Ed è lì che nel 1939 un’amica lo convinse a collaborare col Partito comunista clandestino. Il suo compito era stampare falsi certificati di battesimo, un’attività che lo portò presto sotto la lente degli agenti della Gestapo, che lo arrestarono insieme alla moglie l’11 agosto del 1942.
Entrambi vennero inviati prima ad Auschwitz, dove Burger si trasformò in un numero, il 64401, poi a Birkenau, dove la breve vita di Gisela si concluse in una camera a gas. Per l’internato 64401 si aprivano invece le porte di Sachsenhausen. Nel marzo 1944 il comandante di Birkenau lo convocò nel suo ufficio: «Signor Burger, lei va a Berlino», gli disse. «Ero stupito: ero stato registrato con un numero e ora venivo chiamato “Herr Burger”», ricorda. Un gesto voluto: il regime nazista aveva bisogno dello stampatore Burger. E anche di incisori, pittori, compositori tipografici, funzionari di banca. In totale 142 ebrei vennero rastrellati in diversi campi di concentramento e spediti a Sachsenhausen per partecipare all'«Operazione Bernhard».
L’azione era nota soltanto ai vertici del Terzo Reich e puntava a mandare in tilt l’economia inglese, stampando quantità enormi di sterline false da lanciare sulla Gran Bretagna. Un espediente che i nazisti perseguirono con tenacia dal 1942. E anche con un certo successo: una banca svizzera a cui le SS spedirono un fascio di banconote contraffatte, precisando che si trattava probabilmente di denaro falso, non notò nulla di strano.
I falsari erano riusciti a ricreare la stessa carta delle sterline autentiche, a produrre gli stessi inchiostri, a decifrare il codice dei numeri di serie, a invecchiare a dovere le banconote. I risultati, tuttavia, non erano sempre eccellenti. E così i biglietti fasulli vennero divisi in quattro categorie, in base alla loro qualità. Quelli migliori furono usati dai nazisti per comprare oro o valute nei Paesi alleati e in quelli occupati. Quelli con qualche difetto finirono nelle tasche delle spie. Ad esempio in quelle di Cicero, il cameriere dell’ambasciatore inglese in Turchia che passò a Berlino verbali e piani segretissimi e venne ripagato con una montagna di sterline contraffatte. L’idea di inondare la Gran Bretagna di denaro falso venne invece accantonata. A coordinare il tutto era il maggiore delle SS Bernhard Krüger. Quando lo ricorda Burger alza la voce, per la prima volta. «Krüger? Basta dire SS e uno sa subito che si tratta di assassini!». Fu lui, chiarisce, a ordinare l'uccisione di sette internati colpevoli di essersi ammalati.
Le macchine per la stampa si trovavano nelle baracche 18 e 19 di Sachsenhausen. Due capannoni avvolti dal filo spinato, nei quali però non mancava il caffè, non c’era l’obbligo di radersi i capelli e si poteva persino giocare a ping pong. Vantaggi, questi, che avevano il loro prezzo. «Ero un morto in vacanza» spiega Burger. «Avevo un letto mio e cibo a sufficienza, ma sapevo che non sarei sopravvissuto». Rifiutarsi di collaborare? «In un campo di concentramento non esiste il “no”», afferma con un tono deciso che non tradisce affatto i suoi 91 anni. «Se uno si trova in due blocchi recintati e ci sono intorno per tutto il giorno otto SS che ordinano di stampare, uno stampa, perché se non si lo fa si viene fucilati e arrivano internati da altri lager che lo fanno».
Le sterline, intanto, non bastavano più: Krüger voleva anche i dollari. La procedura per copiarli era più difficile e venne rallentata dagli internati, che, di fronte all’avanzata di americani e russi, tentarono il sabotaggio. Krüger pose allora un ultimatum di quattro settimane. Alla scadenza dalle macchine uscirono 200 banconote da cento dollari uguali alle originali. Troppo tardi per i nazisti, che nel marzo del 1945 smontarono i macchinari e li trasferirono altrove. Iniziava una fuga che si concluderà il 5 maggio, nel lager di Ebensee, in Austria. È lì che, pressati dagli americani ormai alle porte, i nazisti scapparono, lasciando in vita il Kommando falsari. Le casse con le sterline false finirono nel lago di Toplitz.
Oggi Adolf Burger, che dopo il 1945 ha raccolto decine di documenti e raccontato la sua storia a migliaia di studenti nelle scuole tedesche, vive a Praga ed è uno degli ultimi sopravvissuti del «Kommando». Non legge più libri, ma sa ancora distinguere senza troppi sforzi le sterline vere da quelle prodotte a Sachsenhausen. C’è un modo per riuscirci, rivela. Gli inglesi erano soliti bucare le banconote per tenerle assieme con una spilla. «Volevamo lanciare il segnale che le nostre erano false e così le bucammo all’altezza della dea Britannia: nessun inglese l’avrebbe fatto».
A Spinosa e Poulet i premi Fiac
Alain Elkann, presidente della Fiac (Foundation for Italian Art and Culture) e consigliere del ministro Bondi, ha premiato a New York Nicola Spinosa, sovrintendente per i Beni Artistici di Napoli, e Anne Poulet, direttrice della Frick Collection. «È un riconoscimento - ha detto - per il successo dell’esposizione dell’Antea di Parmigianino alla Frick». Elkann ha anche tenuto un seminario sul contributo della cultura ebraica alla letteratura italiana del ‘900.
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