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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
05.05.2009 Per il centro Wiesenthal il Dr. Morte è ancora vivo
in più, la storia di Adolf Burger, scampato alla morte nel lager contraffacendo banconote

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Guido Olimpio - Alessandro Alviani
Titolo: «Il giallo del Dottor Morte 'E’ ancora vivo, in Cile' - Così nel lager stampavo sterline per Hitler»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/05/2009, a pag. 18, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Il giallo del Dottor Morte 'E’ ancora vivo, in Cile' " e dalla STAMPA a pag. 33, l'articolo di Alessandro Alviani dal titolo " Così nel lager stampavo sterline per Hitler  ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Il giallo del Dottor Morte 'E’ ancora vivo, in Cile' "

WASHINGTON — Non c’è una cartella odontoiatrica per fare un raffronto. Non esistono resti umani su cui eseguire il test del Dna. E, co­me per Osama Bin Laden, va­le la frase: «Non considerare un umano deceduto fintan­to che non vedi il suo corpo. E anche in quel caso puoi fa­re un errore». Parliamo di Aribert Heim, il «Dottor Mor­te », il criminale di guerra nazi­sta responsabi­le di orrendi esperimenti sui prigionieri nei lager di Mau­thausen, Sach­senhausen e Bu­chenwald. E’ davvero crepa­to oppure, al­l’età di 85 anni, rimane uno dei dieci grandi latitanti del Terzo Reich?
Un’inchiesta giornalistica, pubblicata in febbraio, ha concluso che Heim sarebbe spirato nell’estate del 1992 in Egitto. E ciò è quello che ha ripetuto la sua famiglia sostenendo che il loro con­giunto era arrivato al Cairo dopo una lunga fuga. Dalla Germania alla Francia, dal Marocco alla Libia, infine l’Egitto dove aveva abbrac­ciato la fede islamica e si fa­ceva chiamare Tarek Farid Hussein. I reporter scovano anche una valigia con docu­menti, certificati, carte. Pre­sunte prove del suo soggior­no egiziano.
Ma lo scoop giornalistico non ha chiuso il giallo. Efra­im Zuroff, responsabile del Centro Wiesenthal, impe­gnato da anni nella caccia agli ultimi nazisti, ha un’al­tra idea. La sua tesi è che il criminale potrebbe essere ancora vivo o comunque non sarebbe deceduto in Egitto. C’è la possibilità che Heim si nasconda in Cile. Se­gnalazioni raccolte nel Con­tinente americano sembra­no confermarlo. E oggi il so­spetto di Zuroff è condiviso, come ha rivelato il settima­nale
Spiegel, dalla polizia te­desca. Un cambio d’opinio­ne significativo. Gli investi­gatori, a febbraio, avevano giudicato fondate le conclu­sioni del New York Times e della tv tedesca Zdf che ave­vano svelato la presunta morte di Heim al Cairo. I fun­zionari della Divisione Cri­minale del Baden-Württem­berg hanno raccolto nuove informazioni sul network, con appoggi in Svizzera e Usa, che ha garantito al fug­giasco un flusso continuo di denaro. Soldi usati per vive­re ma anche per rimediare a un «buco» creato da un inve­stimento finanziario finito male in Egitto.
Il Centro Wiesenthal, con l’aiuto dei membri delle co­munità ebraiche sparse per il mondo, e le autorità tede­sche hanno allora ripreso a indagare «in ogni direzione». Zuroff afferma che la storia egiziana «è troppo perfetta»
per essere vera. E non è un ca­so che sia emersa dopo un an­no durante il quale i cacciato­ri hanno riempito il dossier sul criminale con nuovi dati. Una serie di indizi che hanno permesso di concentrare le ri­cerche in Spagna e Sud Ame­rica. Il Centro Wiesenthal, poi, cita una circostanza stra­na.
Un avvocato tedesco ha presentato una richiesta di esenzione fiscale per conto di Heim nel 2001, — ossia 12 anni dopo la sua presunta morte — precisando di esse­re «in contatto con il mio cliente, che vive all’estero». Questo, sottolinea Zuroff, di­mostra che la famiglia ha mentito. Il figlio del nazista replica negando l’esistenza di quella pratica. La rabbiosa reazione di ambienti neonazi­sti americani con appelli alla solidarietà per il camerata svela legami pericolosi.
Chi insegue Heim deve di­stricarsi tra dritte buone e false. Un conto corrente an­cora attivo portava a guarda­re in Spagna. Vecchie compli­cità di camerati spingevano a cercare negli ambienti del­la destra sudamericana, sem­pre accogliente con i gerar­chi. Trame da film di ex spie israeliane raccontavano al­tro: è stato rapito in Canada, sostenevano, poi ucciso al largo della California. Zuroff studia, verifica, cerca. E’ con­sapevole che è rimasto poco tempo e vorrebbe vedere He­im in una cella prima che la morte lo faccia sparire per l’ultima volta.

La STAMPA - Alessandro Alviani : " Così nel lager stampavo sterline per Hitler "

Se Adolf Burger è ancora vivo lo deve anche alla sua passione per i libri. «Avevo 14 anni e amavo leggere, ma la mia famiglia era povera; così pensai “se divento tipografo potrò avere molti libri”». Burger non ci riuscì: la sua prima tipografia era troppo piccola per stampare dei testi. In cambio, però, apprese quel mestiere che gli consentirà pochi anni dopo di sfuggire alle camere a gas di Auschwitz e Birkenau, nonostante la sua condanna a morte fosse ormai scritta. Burger, un ebreo di origini slovacche, era infatti al corrente di uno dei segreti meglio custoditi dai nazisti: l’«Operazione Bernhard». Dietro quel nome si nasconde la più grande operazione di falsificazione nella storia: 134 milioni di sterline, ventimila dollari, francobolli, carte d'identità, passaporti. Tutti identici agli originali. E tutti rigorosamente falsi, prodotti in una stamperia nel campo di concentramento di Sachsenhausen, a nord di Berlino, da un gruppo di internati ebrei. Una scelta non casuale: prima o poi i componenti del «Kommando falsari» dovevano essere liquidati, portando nella loro tomba quel segreto.
Burger, invece, è sopravvissuto all’Olocausto e ha raccontato la sua storia in un libro che esce in questi giorni (L'officina del diavolo, edizioni Nutrimenti, 400 pagine, 19,5 euro). Una storia ripresa nel film premio Oscar Il falsario e che comincia in Slovacchia. È lì che Burger apprese il mestiere di tipografo dopo la scuola. È lì che incontrò la futura moglie, Gisela. Ed è lì che nel 1939 un’amica lo convinse a collaborare col Partito comunista clandestino. Il suo compito era stampare falsi certificati di battesimo, un’attività che lo portò presto sotto la lente degli agenti della Gestapo, che lo arrestarono insieme alla moglie l’11 agosto del 1942.
Entrambi vennero inviati prima ad Auschwitz, dove Burger si trasformò in un numero, il 64401, poi a Birkenau, dove la breve vita di Gisela si concluse in una camera a gas. Per l’internato 64401 si aprivano invece le porte di Sachsenhausen. Nel marzo 1944 il comandante di Birkenau lo convocò nel suo ufficio: «Signor Burger, lei va a Berlino», gli disse. «Ero stupito: ero stato registrato con un numero e ora venivo chiamato “Herr Burger”», ricorda. Un gesto voluto: il regime nazista aveva bisogno dello stampatore Burger. E anche di incisori, pittori, compositori tipografici, funzionari di banca. In totale 142 ebrei vennero rastrellati in diversi campi di concentramento e spediti a Sachsenhausen per partecipare all'«Operazione Bernhard».
L’azione era nota soltanto ai vertici del Terzo Reich e puntava a mandare in tilt l’economia inglese, stampando quantità enormi di sterline false da lanciare sulla Gran Bretagna. Un espediente che i nazisti perseguirono con tenacia dal 1942. E anche con un certo successo: una banca svizzera a cui le SS spedirono un fascio di banconote contraffatte, precisando che si trattava probabilmente di denaro falso, non notò nulla di strano.
I falsari erano riusciti a ricreare la stessa carta delle sterline autentiche, a produrre gli stessi inchiostri, a decifrare il codice dei numeri di serie, a invecchiare a dovere le banconote. I risultati, tuttavia, non erano sempre eccellenti. E così i biglietti fasulli vennero divisi in quattro categorie, in base alla loro qualità. Quelli migliori furono usati dai nazisti per comprare oro o valute nei Paesi alleati e in quelli occupati. Quelli con qualche difetto finirono nelle tasche delle spie. Ad esempio in quelle di Cicero, il cameriere dell’ambasciatore inglese in Turchia che passò a Berlino verbali e piani segretissimi e venne ripagato con una montagna di sterline contraffatte. L’idea di inondare la Gran Bretagna di denaro falso venne invece accantonata. A coordinare il tutto era il maggiore delle SS Bernhard Krüger. Quando lo ricorda Burger alza la voce, per la prima volta. «Krüger? Basta dire SS e uno sa subito che si tratta di assassini!». Fu lui, chiarisce, a ordinare l'uccisione di sette internati colpevoli di essersi ammalati.
Le macchine per la stampa si trovavano nelle baracche 18 e 19 di Sachsenhausen. Due capannoni avvolti dal filo spinato, nei quali però non mancava il caffè, non c’era l’obbligo di radersi i capelli e si poteva persino giocare a ping pong. Vantaggi, questi, che avevano il loro prezzo. «Ero un morto in vacanza» spiega Burger. «Avevo un letto mio e cibo a sufficienza, ma sapevo che non sarei sopravvissuto». Rifiutarsi di collaborare? «In un campo di concentramento non esiste il “no”», afferma con un tono deciso che non tradisce affatto i suoi 91 anni. «Se uno si trova in due blocchi recintati e ci sono intorno per tutto il giorno otto SS che ordinano di stampare, uno stampa, perché se non si lo fa si viene fucilati e arrivano internati da altri lager che lo fanno».
Le sterline, intanto, non bastavano più: Krüger voleva anche i dollari. La procedura per copiarli era più difficile e venne rallentata dagli internati, che, di fronte all’avanzata di americani e russi, tentarono il sabotaggio. Krüger pose allora un ultimatum di quattro settimane. Alla scadenza dalle macchine uscirono 200 banconote da cento dollari uguali alle originali. Troppo tardi per i nazisti, che nel marzo del 1945 smontarono i macchinari e li trasferirono altrove. Iniziava una fuga che si concluderà il 5 maggio, nel lager di Ebensee, in Austria. È lì che, pressati dagli americani ormai alle porte, i nazisti scapparono, lasciando in vita il Kommando falsari. Le casse con le sterline false finirono nel lago di Toplitz.
Oggi Adolf Burger, che dopo il 1945 ha raccolto decine di documenti e raccontato la sua storia a migliaia di studenti nelle scuole tedesche, vive a Praga ed è uno degli ultimi sopravvissuti del «Kommando». Non legge più libri, ma sa ancora distinguere senza troppi sforzi le sterline vere da quelle prodotte a Sachsenhausen. C’è un modo per riuscirci, rivela. Gli inglesi erano soliti bucare le banconote per tenerle assieme con una spilla. «Volevamo lanciare il segnale che le nostre erano false e così le bucammo all’altezza della dea Britannia: nessun inglese l’avrebbe fatto».
A Spinosa e Poulet i premi Fiac
Alain Elkann, presidente della Fiac (Foundation for Italian Art and Culture) e consigliere del ministro Bondi, ha premiato a New York Nicola Spinosa, sovrintendente per i Beni Artistici di Napoli, e Anne Poulet, direttrice della Frick Collection. «È un riconoscimento - ha detto - per il successo dell’esposizione dell’Antea di Parmigianino alla Frick». Elkann ha anche tenuto un seminario sul contributo della cultura ebraica alla letteratura italiana del ‘900.

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