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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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L'Opinione - Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.04.2009 Durban II : una tragedia mascherata da farsa
E in Iran Roxana Saberi continua lo sciopero della fame

Testata:L'Opinione - Corriere della Sera
Autore: David Harris - Viviana Mazza
Titolo: «Una tragedia mascherata da farsa - Paura per la salute di Roxana. Il padre: 'Ha già perso 5 chili'»
       

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Riportiamo dall' OPINIONE di oggi, 29/04/2009, il commento di David Harris dal titolo " Una tragedia mascherata da farsa " su Durban II e l'Iran e dal CORRIERE della SERA a pag. 19, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Paura per la salute di Roxana. Il padre: «Ha già perso 5 chili» ". Ecco gli articoli:

L'OPINIONE - David Harris : " Una tragedia mascherata da farsa "  

E’ stata una tragedia mascherata da farsa. Il presidente iraniano che teneva il suo discorso alla “Durban Review Conference” a Ginevra. Forse non c’era nessun miglior simbolo di tutto ciò che è andato storto di un processo concepito in origine per far avanzare la battaglia antirazzista, che vedere il capo mondiale del fanatismo sul podio. Ed il fatto che la sala rappresentasse anche la sede del Consiglio dei Diritti umani dell'Onu, ha costituito un ulteriore elemento di derisione del suo ruolo e dell'istituzione stessa. Dopo tutto, mentre il Presidente Mahmoud Ahmadinejad è impegnato a combattere contro il liberalismo, prevedendo la caduta dell'Occidente, auspicare la scomparsa di Israele e a chiedere una protezione speciale per l’Islam, lui rappresenta una nazione che ha calpestato tutti i diritti umani dei suoi propri cittadini. Invece di essere sul podio, lui dovrebbe essere sul banco degli imputati. Guardate i record dell'Iran durante la sua presidenza. Considerate il vergognoso trattamento dei Baha’i, una pacifica comunità religiosa che patisce una persecuzione implacabile, incluse ricorrenti accuse di slealtà. Ponderate il non invidiabile destino degli omosessuali in Iran – sì, nonostante l’assurda asserzione di Ahmadinejad all'Università di Columbia che in Iran non ve ne sono. Esaminate il durissimo trattamento riservato a quelle donne iraniane che richiedono per loro uguali diritti – ovviamente non convinti della affermazione di Ahmadinejad, sempre alla Columbia, che le donne dell'Iran sono le più libere del mondo. Ricordate i minorenni nei bracci della morte iraniani, dove è stato comminato il più alto numero di pene di morte a bambini che in qualsiasi altro posto sulla terra. Infatti, nel 2008, l’Iran è stato l'unico paese nel mondo noto per avere giustiziato un bambino. Immaginate Roxana Saberi, la giovane reporter iraniano-americana che giace in una prigione iraniana condannata ad otto anni per una falsa accusa di spionaggio. Chiedete del destino che l’Iran riserva agli apostati, coloro che mettono in dubbio o abbandonano la loro fede islamica. Sondate le vite dei giornalisti che parlano della corruzione o mettono in mostra gli altri difetti del paese. Informatevi sugli attivisti dei sindacato che vengono imprigionati quando tentano di organizzare scioperi per protestare contro le condizioni di lavoro. Ricordate la situazione estremamente precaria delle minoranze etniche, come i curdi. Chiedete della sorte di quelli che coraggiosamente cercano di esaminare lo stato dei diritti umani in Iran. Pensate alle implicazioni dell’invocare l'eliminazione di un altro paese. Non è l’incitamento stesso al genocidio, un crimine? Eppure a Ginevra c’era Ahmadinejad, che con arroganza andava ben oltre i sette minuti imposti quale termine massimo a tutti gli oratori, mentre gli adulatori del suo entourage lo guardavano con ammirazione. Il problema, tuttavia, non era realmente quello dei suoi adulatori. Molto più grave era il fatto che la maggioranza delle delegazioni nazionali sono rimaste ad ascoltare il suo discorso per intero, e alcuni lo hanno anche applaudito. Lo hanno fatto perché davvero approvano le sue parole? O perché la loro definizione di etichetta diplomatica li ha costretti a rimanere incollati ai loro posti? Lo hanno fatto perché si sentono legati all’Iran da ragioni economiche, dall’energia o altre cause, e non volevano che alcune parole “mal scelte” rovinassero l’amicizia? O è stato a causa di una solidarietà regionale o religiosa che spazza via tutte le altre considerazioni? E’ stato perché in qualche modo ignoravano l’attuale situazione in Iran? O perché optano di credere all’implacabile propaganda iraniana che la critica è tutto un esercizio della propaganda Occidentale, e nulla più? I diritti umani non sono mai stati protetti dall’indifferenza umana. Gli errori umani non sono mai stati corretti dalla negligenza cocciuta o dall’autoinganno. La chiarezza morale, non la codardia, è chiamata a provocare cambiamenti. Richiede determinazione e coerenza - non solo movimenti di labbra quando le persone stanno a guardare. E la convenienza politica non sarà mai il sentiero per alleviare l'ingiustizia. Quindi cosa fare? E’ fin troppo il ritardo nel mettere a fuoco l’abissale record di violazioni dei diritti umani registrato in Iran. E se le preposte istituzioni intergovernative non possono o non vogliono farlo per evidenti ragioni politiche – preferendo invece deviare l’attenzione di ciascuno sul discolo da castigare, Israele – allora spetta ai singoli governi e organizzazioni non governative indicare la strada. Perciò Il mondo dovrebbe imparare dall'esempio di quelle nazioni – Australia, Canada, Germania, Israele, Italia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia e Stati Uniti – che non erano in sala fin dall’inizio, così come gli oltre venticinque paesi europei che sono lodevolmente usciti quando il leader iraniano ancora una volta ha cominciato ad appagare il suo odio razzista. (La Repubblica ceca si è di conseguenza unita ai nove paesi che sono rimasti fuori dalla conferenza). Io non fingo di sapere quello che, alla fine, cambierà il comportamento iraniano o condurrà il popolo iraniano ad esigere leader di genere completamente diverso. Quello che so è che un atteggiamento di accondiscendenza verso la leadership corrente non risolverà il problema. Se i leader iraniani possono impunemente violare i diritti umani, possono evitare serie conseguenze e farsi beffe ripetutamente delle risoluzioni vincolanti dell’Onu, e possono essere ricevuti rispettosamente nelle sale del potere in tutto il mondo, allora le forze per il cambiamento dell'Iran non saranno certamente aiutate. Se un delinquente, il cui muso dovrebbe essere sui manifesti dei "wanted" in tutto il mondo per le violazioni dei diritti umani e gli appelli al genocidio, può cenare col presidente della Svizzera, può progettare una visita in Brasile per discutere l’espansione dei legami commerciali, e può parlare in una sala una volta infusa con lo spirito di leggendari sostenitori dei diritti umani come René Cassin ed Eleanor Roosevelt, vuol dire che qualche cosa va molto, molto male. Se le lezioni della storia vengono ignorate – incluso soprattutto il bisogno di schierarsi contro il male e vederlo per quello che è – sarà a nostro collettivo pericolo.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Paura per la salute di Roxana. Il padre: «Ha già perso 5 chili» "

Domenica scorsa era il suo trentaduesimo compleanno. Roxana Saberi lo ha trascorso nel carcere di Evin, a Teheran, dove è rinchiusa da quasi tre mesi. Non ha toccato cibo, ha detto il padre Reza, 68 anni, na­to in Iran, trasferitosi negli Sta­ti Uniti e tornato a Teheran per starle vicino. Beve solo acqua zuccherata per tenersi in vita.
La giornalista irano-america­na è stata condannata il 18 apri­le a 8 anni di carcere per spio­naggio in favore degli Stati Uni­ti in un processo a porte chiuse a Teheran. Le prove contro di lei non sono state rese note. L’avvocato ha fatto ricorso e at­tende che la magistratura fissi la data del processo d’appello, nel quale anche Shirin Ebadi do­vrebbe difenderla. Intanto Ro­xana avrebbe iniziato uno scio­pero della fame: oggi è il nono giorno. I genitori e il fidanzato temono per la sua vita. La magi­stratura iraniana nega: «propa­ganda », «non sta digiunando». Gli Stati Uniti, che chiedono la liberazione della giornalista de­finendo le accuse infondate, hanno rinnovato ieri la preoccu­pazione «per la sue condizioni mentali e fisiche». E l’organizza­zione Reporters Sans Fron­tières, che si batte per la libertà di stampa, ha lanciato uno scio­pero della fame simbolico.
Lunedì, giorno delle visite a Evin, Reza e la moglie giappone­se Akiko hanno trovato la figlia «debolissima e pallida», ha det­to il padre: «Riusciva a malape­na
a stare in piedi», avrebbe perso quasi 5 chili. Il padre ha cercato di convincerla a mangia­re. «Ma continuerà lo sciopero della fame finché non sarà libe­rata ». Al fidanzato, il noto regi­sta curdo iraniano Bahman Ghobadi, 40 anni, è stato impe­dito di vederla. Domenica «è stato il giorno peggiore della mia vita — dice al Corriere —. Tutto il giorno sono rimasto se­duto davanti alla finestra. Da lì riesco a vedere la prigione di Evin a nord ovest. L’anno scor­so eravamo insieme, felici». Si sono conosciuti un anno e mez­zo fa. Nel 2007 andarono insie­me al festival di San Sebastián, dove l’anno prima lui fu premia­to per Mezza Luna, bandito in Iran. Dal 31 gennaio, quando fu arrestata, l’ha vista una volta, dopo la sentenza. La portavano in prigione: «E’ stato solo per un secondo. Era in macchina, le sono corso dietro gridando il suo nome. Lei mi ha guardato». Il capo di Reporters Sans Frontières (Rsf) Jean-François Julliard e altri tre membri del­l’organizzazione hanno deciso di prendere simbolicamente «il posto di Roxana». Giubbotti rossi, cartelli con la sua foto, si sono seduti sul marciapiedi di fronte alla compagnia Iran Air sugli Champs-Elysées di Parigi. Una decina di persone hanno manifestato con loro ieri sotto la pioggia. Riprenderanno oggi. «Ognuno di noi si asterrà dal mangiare per 48 ore — dice Jul­liard —. Vogliamo lanciarle un messaggio: sospenda lo sciope­ro della fame. Faremo noi pres­sione per il suo rilascio». La pro­testa potrebbe continuare fino al 3 maggio, giornata mondiale per la libertà di stampa. Ha ade­rito la sede di Bruxelles e forse si uniranno quelle in Germa­nia, Spagna, Usa, Canada. «Ma speriamo che, prima d’allora, lei smetta lo sciopero della fa­me e venga fissata una data per l’appello».
«Potrebbe essere fissato en­tro i prossimi 10 giorni — dice Ghobadi —. Sono ottimista. Spero che il verdetto cambi». Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha chiesto al ca­po della magistratura, l’ayatol­lah Shahroudi, che i diritti alla difesa di Roxana vengano ga­rantiti. Shahroudi ha promesso «un processo veloce ed equo». Segnali positivi. D’altra parte, però, il ministro degli Esteri ira­niano ha invitato «i Paesi stra­nieri » a non interferire: Saberi, nata in Usa, ha doppia naziona­­lità, ma Teheran l’ha processata come iraniana.
Bahman e Roxana dovevano andare a Cannes a maggio per presentare il suo film
Nessuno sa nulla sui gatti persiani, sulla musica underground iraniana, di cui lei è co-sceneggiatrice. «Non andrò mai da solo — dice lui —. Ma sono certo che ci an­dremo insieme. E sono pronto a lasciare l’Iran con Roxana. An­dremo a stare a Berlino, negli Stati Uniti o in Canada».

 

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