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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
28.04.2009 Contro i talebani, per l'emancipazione femminile
la battaglia di Malalai Joya, l'annunciata modifica della legge che legalizza lo stupro

Testata:Il Foglio
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «In Afghanistan al via il riesame - La donna più famosa di Kabul ci spiega come combattere i talebani»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 28/04/2009, in prima pagina, la notizia dal titolo "  In Afghanistan al via il riesame " e, a pag. 3, l'articolo dal titolo " La donna più famosa di Kabul ci spiega come combattere i talebani ". Ecco gli articoli:

il FOGLIO - "  In Afghanistan al via il riesame "

In Afghanistan al via il riesame della legge sul diritto di famiglia sciita che ha legalizzato lo stupro sulle mogli. Il presidente Karzai, nella conferenza stampa con il premier britannico Brown, ha annunciato che “vi saranno delle modifiche” alla legge.

Il FOGLIO - " La donna più famosa di Kabul ci spiega come combattere i talebani "

Roma. I talebani hanno appena ucciso una delle sue più care amiche. Sitara Achakzai era consigliera provinciale di Kandahar, nota per l’attività in favore dei diritti delle donne. Aveva passato in Germania gli anni del potere talebano ed era tornata dopo la caduta del regno della sharia nel 2002. Rischiava la vita ogni giorno a Kandahar, la culla del talebanesimo, e Sitara lo sapeva. Anche Malalai Joya sa di essere in cima alla black list dei talebani. E’ una delle icone femminili più celebri, scampata a quattro attentati. “Se dovessi morire, il mio sangue servirà alla causa dell’emancipazione. Puoi uccidere un fiore, ma non puoi fermare la primavera”. E’ fiera di portare il nome della Giovanna D’Arco afghana, che nel 1880, durante la battaglia contro i soldati britannici, si tolse il burqa, impugnò la spada e guidò l’esercito alla vittoria. Era il dicembre 2003. A Kabul era stata convocata la Loya Jirga per scrivere la Costituzione. Sotto un tendone bianco erano riuniti mullah, mujaheddin e leader da tutte le province. “Il mio nome è Malalai Joya della provincia di Farah”, disse Malalai. “Con il permesso degli stimati presenti, in nome di Dio e dei martiri caduti sul sentiero della libertà, vorrei parlare un paio di minuti. Vorrei chiedere ai miei compatrioti perché permettono che la legittimità e la legalità di questa Loya Jirga vengano messe in questione dalla presenza dei felloni che hanno ridotto il nostro paese in questo stato. Dovrebbero essere portati davanti a tribunali nazionali e internazionali. Se pure potrà perdonarli il nostro popolo, il nostro popolo dai piedi scalzi, la nostra storia non li perdonerà mai”. Le fu ordinato di ritrattare le sue parole. Malalai non lo fece, scatenando l’ira dei barbuti che iniziarono a urlare di tutto, “infedele”, “puttana”, “comunista”. Quei due minuti cambiarono tutto. Malalai rientrò a Kabul nel 1998, in pieno regime talebano, per fondare un orfanotrofio e una clinica. Oggi dirige l’Organisation of Promoting Afghan Women’s Capabilities. “Soffro, come tutte le donne dell’Afghanistan” ci racconta. “I fondamentalisti mi hanno espulso dal Parlamento, mi hanno preso il passaporto e bandito, ma io continuo a lottare per ciò in cui credo. Ho subito quattro tentativi di omicidio. L’ultimo non molto tempo fa. Devo cambiare casa in continuazione. Ma sono stata fortunata”. Malalai spiega perché, se le donne sono oppresse, non c’è futuro per la democrazia a Kabul. “Siamo come un uccello, un’ala è donna e l’altra è uomo e quando una delle due viene incarcerata e abortita non è possibile volare. Non c’è umanità, democrazia, libertà quando metà della popolazione viene cancellata. Questi fondamentalisti hanno commesso numerosi crimini contro la mia gente, anche prima dei talebani c’erano i ‘signori della guerra’. Distruggono scuole e bandiscono le bambine dalle aule. L’educazione è la chiave della libertà dell’Afghanistan”. Tante donne sono morte in questi anni per la libertà dal fondamentalismo islamista. “Safia Amjan e Malalai Kakar sono state uccise perché volevano cambiare le cose e Sitara è stata assassinata perché lottava per i diritti delle donne. Il suo assassino, il mullah Omar, è un fascista islamico. Gli innocenti afghani sono uccisi ogni giorno. Un ragazzo e una ragazza sono stati appena ammazzati in pubblico perché si amavano. I talebani sono i boia del nostro paese. Ci sono tanti eroi in Afghanistan di cui non sappiano niente. Io il mullah Omar vorrei vederlo davanti al Tribunale penale internazionale”. Malalai dice che non si esilierà mai. “Dal mio discorso nel 2003, non posso vivere con mio marito, vedere la mia famiglia. Non sono sicura per la mia vita, quando esco di casa non so se ci tornerò la sera. Ma non lascerò mai l’Afghanistan, è il mio paese, il mio popolo, devo proseguire qui la mia battaglia. Voi non dimenticateci. Io ho imparato da Martin Luther King a continuare questa guerra”.

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