Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Dossier Iran le analisi del Foglio e di Dimitri Buffa
Testata:Il Foglio - L'Opinione Autore: La redazione del Foglio - Dimitri Buffa Titolo: «Che cosa scrive Ahmadinejad sull’agenda atomica di Obama - Non bisogna fidarsi dell'Iran»
Riportiamo dal FOGLIO dioggi, 28/04/2009, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Che cosa scrive Ahmadinejad sull’agenda atomica di Obama ", dall'OPINIONE l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Non bisogna fidarsi dell'Iran ".
Il FOGLIO : " Che cosa scrive Ahmadinejad sull’agenda atomica di Obama"
Roma. Sul tanto invocato “engagement” tra Washington e Teheran – dopo il messaggio di Nowruz di Barack Obama, l’invettiva di Mahmoud Ahmadinejad a Ginevra e la sua intervista, domenica, all’Abc – Mohammed ElBaradei, segretario uscente dell’Aiea, è ottimista. Allude al nuovo clima portato a Washington da Obama e “sente che anche dall’Iran arrivano segnali diversi”. Gli indizi sono contrastanti, ma prevalgono i sospetti. Influenti settori del potente corpo dei Sepah Pasdaran remano contro qualsiasi apertura a Washington e l’ayatollah Ali Khamenei non è persuaso che il nuovo corso di Obama sarà differente nella sostanza dalla politica muscolare di George W. Bush. Il segretario di stato, Hillary Clinton, ha chiarito dinanzi al Congresso che l’offerta di dialogo all’Iran non è un assegno in bianco: il percorso diplomatico rafforza il “soft power” statunitense e la “moral suasion” nei confronti degli stati più riottosi a misure dure nei confronti di Teheran. Le sanzioni, insomma, sono sempre dietro l’angolo. Secondo The Politico, sta crescendo l’insofferenza dei democratici contro la disponibilità obamiana verso l’Iran. Questa settimana un nutrito gruppo di democratici al Senato e al Congresso si unirà ai repubblicani nell’invocare nuove sanzioni a Teheran, sanzioni che colpirebbero le vitali importazioni iraniane di gasolio. L’inviato speciale per il Golfo persico e l’Asia sud-occidentale, Dennis Ross, affronterà la sua prima missione nella regione per tranquillizzare gli alleati arabi di Arabia Saudita, Emirati e Qatar che non ci sarà alcun patto per lo spartimento del medio oriente dietro le loro spalle. In Iran, con le elezioni presidenziali di giugno all’orizzonte, le eminenze grigie studiano l’avversario e attendono. Nella sostanza nelle dichiarazioni di Ahmadinejad all’Abc c’è poco di nuovo. Su Obama si è dimostrato guardingo, a tratti critico, ma non smaccatamente ostile. Sul fronte israelo-palestinese ha ripetuto la vulgata che da anni la Repubblica islamica serve alla comunità internazionale. L’Iran rispetta l’autonomia dei palestinesi e dunque accetterà le loro scelte, compresa la soluzione dei due stati. L’unico annuncio Ahmadinejad lo riserva sul nucleare: il suo governo sta per presentare agli Stati Uniti e agli alleati europei una nuova proposta per risolvere la querelle. Il 13 maggio del 2008, con una lettera al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, il presidente iraniano aveva suggerito l’ipotesi di un accordo quadro da raggiungere attraverso “un giusto negoziato senza condizioni preliminari”. Il grand bargain di Ahmadinejad avrebbe risolto la diatriba nucleare e trattato temi come la questione israelo-palestinese, la lotta al terrorismo e al traffico di droga, l’immigrazione clandestina e il crimine organizzato. L’agenda smisurata che avrebbe finito con l’annacquare il pressante dossier nucleare non fu presa in considerazione. A un anno di distanza una trattativa senza condizioni preliminari non interessa più ad Ahmadinejad. “No, no, no – ha risposto a George Stephanopoulos dell’Abc – Noi pensiamo che la questione nucleare vada risolta nell’ambito dell’Agenzia (atomica, ndr) e dei suoi regolamenti”. Adesso è Teheran che non tratterà con Washington a meno che l’Amministrazione democratica non presenti un’agenda chiara e circostanziata. Poche ore dopo l’intervista di Ahmadinejad un funzionario dell’Amministrazione ha commentato laconico al Los Angeles Times: “Quello che vedremo sarà qualcosa di simile a quello che abbiamo già visto con qualche cambiamento qua e là”. Nel frattempo la giornalista americana di origine iraniana Roxana Saberi, condannata come spia, è divenuta merce di scambio di questa partita a scacchi e Khamenei è tornato a fustigare Stati Uniti e sionisti accusandoli di essere responsabili degli attacchi che negli ultimi giorni in Iraq hanno ucciso 72 pellegrini iraniani.
Il nuovo bluff del presidente Mahmoud Ahmadinejad, che sta giocando su due fronti, quello interno per la rielezione (niente affatto facile) e quello esterno per giocare a nascondino con Barack Obama, si chiama: “riconoscimento della volontà popolare dei palestinesi se sceglieranno di vivere in uno stato vicino a quello di Israele”. Dove sta il trucco? Semplice, nel fatto che oramai la formula “due popoli due stati” è poco più che uno slogan e quindi costa poco “offrire” ciò che nessuno vuole più. E al contempo, mentre tutti gli imbecilli guardano il dito che indica la luna, Ahmadinejad sta innescando una serie di mine a tempo nel mondo arabo e contro l’Occidente. Mine che si chiamano: annessione del Bahrein (“la 14esima provincia dell’Iran!”) sul presupposto della fede sciita maggioritaria della popolazione, finanziamento sotto banco dei vari terrorismi nella regione, da Hamas ad Hezbollah, passando, ultima novità, per i pirati somali, che stanno dando non pochi problemi al passaggio di merci e turisti per quei mari, in prospettiva incidendo persino sul traffico commerciale di Suez, cosa che stroncherebbe l’Egitto ma anche i sauditi. Last but not least, proseguimento della campagna di odio anti semita e di negazione dell’Olocausto in cui recentemente l’agenzia ufficiale iraniana, la Irna, ha dato una prova, per così dire, muscolare. Quello che preoccupa di più gli Stati arabi sunniti è questa penetrazione della propaganda sciita in tutto il Corno d’Africa e nella penisola arabica: ovunque vengano finanziati movimenti secessionisti ed estremisti, chiunque si opponga ai sunniti trova nell’Iran un punto di riferimento e il Bahrein, così come il Qatar, sono anche importanti per avere al loro interno le basi americane fondamentali per gli interessi statunitensi nel Golfo. Poi c’è la questione dei pirati: non si creda allo spontaneismo del fenomeno, per quanto l’avere lasciato da parte dell’amministrazione di Bill Clinton, nel 1993, il paese somalo allo sbando oggi crei anche questi effetti collaterali. I pirati fanno capo ai guerriglieri delle corti somale e questi ultimi ormai sono quasi tutti diventati dei veri e propri mercenari dell’Iran nel Corno d’Africa. E’ vero che in passato sono state dirottate anche due navi iraniane ma questo in un’ottica di disordine guerrigliero può sempre accadere. E’ chiaro anche però, che se, a lungo andare, diventasse impossibile la navigazione tra Suez e Gibuti, a guadagnarci sarebbe esclusivamente l’Iran e a perderci, e non poco, Il Cairo e Riyad. Non a caso l’Egitto con l’Iran ha rotto da un pezzo e ultimamente sono anche scoppiate frizioni diplomatiche per via degli emissari Hezbollah arrestati sul suolo egiziano. Peraltro ormai anche il Marocco non ha più contatti diplomatici con Teheran e l’accusa è sempre la stessa: fomentare la secessione religiosa sciita in un paese a stragrande maggioranza sunnita. Da ultimo, a parte il programma di arricchimento dell’uranio che continua, rispetto a Israele è sempre attivo da parte iraniana il cinico proseguimento della propaganda antisemita e in particolare del negazionismo sull’Olocausto. Leggere per credere un editoriale dello scorso 21 aprile pubblicato in “farsi” sul sito web dell’agenzia di stampa ufficiale iraniana (Irna): “Non troverete mai una singola persona che sia un sopravvissuto di Auschwitz”. L’autore, Hamid Esmaili, fa proprie le affermazioni di noti negazionisti dell’Olocausto e afferma che “Per i sionisti, Auschwitz è… il simbolo e la materializzazione di tutte quelle cose che costituiscono l’identità e l’essenza di un regime chiamato Israele…”. Nell’editoriale si dice anche che “..l’Olocausto costituisce la spina dorsale della fondazione di Israele in Medio Oriente al costo di avere obbligato milioni di palestinesi a lasciare la loro patria e ad accogliere gente ebrea senza casa da ogni parte del mondo nella Terra Santa di Palestina”. Secondo questo Hamid: “..l’Olocausto, da qualunque angolo lo si veda, è la scusa più significativa usata dal padrino dei sionisti, Theodor Herzl, e dai suoi compagni per giustificare gli sforzi per mettere in piedi un sistema sionista focalizzando l’attenzione su questo argomento e distorcendo dei fatti storici facendo frequenti riferimenti a nomi inventati e a luoghi che non esistono.” Ovviamente viene citata la “dottrina” di Faurisson: “egli crede che esista una bugia ancora più grande e pericolosa, affermando che le camere a gas sono state costruite più tardi, dopo la fine della guerra o che l’edificio esistente fosse simile all’originale e che le camere a gas siano state costruite dopo la fine della seconda guerra mondiale”. Poi la frase shock: “non troverete mai un singolo sopravvissuto di Auschwitz, mentre molti veterani della seconda guerra mondiale sono ancora vivi e vivono la vita normalmente”. Una bugia lampante ma anche una grande insidia: in effetti col tempo i sopravvissuti sono destinati a morire di vecchiaia. E se si riesce a far credere alla gente che non siano mai esistiti, neanche oggi che sono in vita... quando non lo saranno più, chi le ferma queste dottrine negazioniste?
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