mercoledi` 14 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Il Giornale - La Repubblica Rassegna Stampa
25.04.2009 In Pakistan i talebani sono arrivati a soli 100 Km dalla capitale
Cronaca di Fausto Biloslavo, analisi di Guido Rampoldi

Testata:Il Giornale - La Repubblica
Autore: Fausto Biloslavo - Guido Rampoldi
Titolo: «Il Pakistan va allo scontro con i talebani - L´instabile paese delle atomiche e la fine di un rapporto con gli Usa»

Riportiamo da pag. 17 de Il GIORNALE di oggi, 25/04/2009,  l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " Il Pakistan va allo scontro con i talebani " e da pagina 11 de La REPUBBLICA l'analisi di Guido Rampoldi dal titolo " L´instabile paese delle atomiche e la fine di un rapporto con gli Usa ". Ecco gli articoli:

Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " Il Pakistan va allo scontro con i talebani "

La minaccia talebana in Pakistan si sta pericolosamente espandendo. Negli ultimi due giorni gli oltranzisti islamici che si annidano nella aree tribali di frontiera hanno di nuovo sfidato il governo. Almeno un centinaio di talebani, armati fino ai denti, a bordo dei classici fuoristrada scoperti, si sono spinti a soli 100 chilometri da Islamabad, la capitale. Giovedì scorso i fondamentalisti «occupavano» il distretto di Buner pattugliando le strade ed inneggiando alla sharia, la dura legge islamica. Ieri il capo di stato maggiore pachistano, generale Ashfaq Parvez Kayani, apprezzato dagli americani, ha mostrato i muscoli. Diverse unità delle guardie di frontiera pachistane sono state inviate d’urgenza nel distretto per fronteggiare l’avanzata talebana. Fra questi i reparti che fanno parte di un programma di addestramento finanziato dal Pentagono. Poi lo stesso Kayani ha rilasciato dichiarazioni durissime a Rawalpindi, suo quartier generale, giurando di sconfiggere il terrorismo «ad ogni costo». Secondo il generale «l'esercito non permetterà ai ribelli di dettare condizioni al governo e di imporre alla società pachistana il loro modello di vita». Secondo indiscrezioni riprese dalla stampa pachistana e indiana, sono stati mobilitati numerosi rinforzi dei corpi speciali. Kayani starebbe preparando i piani per riprendere il controllo della valle di Swat dove i talebani sono riusciti a strappare un accordo al governo per l’applicazione integrale della sharia ed il controllo di fatto dell’area, in cambio di un cessate il fuoco. La tregua, però, è durata poco. L’avanguardia talebana giunta a 100 chilometri dalla capitale è partita proprio dalla zona di Swat. Nelle ultime 48 ore gli Stati Uniti avevano espresso «profonda preoccupazione» per l’avanzata talebana. Il Capo degli stati maggiori riuniti, ammiraglio Mike Mullen, ha affermato che la situazione si sta avvicinando «a un punto di svolta». I talebani puntano ad espandersi non solo nelle tradizionali zone tribali pasthun, ma pure nelle aree più a sud del Punjab, la provincia più importante del paese.
La miccia dell’ennesima provocazione talebana è stata disinnescata all’ultimo minuto dall’intervento di Maulana Sufi Mohammad, un radicale islamico, che aveva mediato fra i fondamentalisti ed il governo l’accordo della valle di Swat. Nel 2001 Sufi Mohammad entrò in Afghanistan con migliaia di giovani in armi per combattere al fianco dei talebani. I suoi uomini furono decimati dai bombardamenti americani e al ritorno in Pakistan venne arrestato. Da sempre si è battuto per l’applicazione integrale della sharia nelle aree tribali. Suo genero è Maulana Fazlullah, uno dei vice di Baitullah Mehsud, il leader dei gruppi neo talebani sorti in Pakistan negli ultimi anni. Fazlullah comanda i fondamentalisti a Swat e ieri ha ordinato ai suoi di tornare a casa. «Abbiamo ricevuto l'ordine di ritirarci», ha confermato alla tv satellitare al-Arabiya, Mufti Bashir, che guida l’avanguardia talebana. «Siamo venuti solo per fare dawa (propaganda islamica, ndr) nelle moschee e nei centri di questa zona. Grazie ad Allah abbiamo compiuto il nostro dovere», ha spiegato il comandante fondamentalista. Bashir ha escluso che i suoi uomini volessero arrivare fino a Islamabad, che dista cinque ore di macchina. Però ha subito rilanciato: «Non vogliamo arrivare alla capitale anche se dobbiamo portare la dawa in tutto il mondo». Nonostante l’annunciato ritiro gruppi di talebani sono stati segnalati in altre aree al di fuori della valle di Swat, come il distretto di Shangla. L’Occidente è preoccupato per la sicurezza ed il controllo dell’arsenale nucleare pachistano. Il generale Kayani ieri ha respinto i timori sostenendo che «le dichiarazioni dall'esterno alimentano i dubbi sul futuro del Pakistan, ma un Paese di 170 milioni di abitanti, grazie al suo esercito, è capace di fronteggiare qualsiasi crisi».

La REPUBBLICA - Guido Rampoldi : " L´instabile paese delle atomiche e la fine di un rapporto con gli Usa "

In vari pensatoi da qualche tempo si discute se il Pakistan arriverà alla fine del 2009; o se invece collasserà prima, implodendo in un´anarchia generalizzata nella quale vagoleranno Taliban, milizie tribali e una dozzina di bombe atomiche pronte per l´uso. Fauste o infauste, le prognosi convengono su questo: l´Occidente dispone ancora di strumenti per tentare di arrestare il marasma pachistano prima che diventi irreversibile.
Il problema è che nella prassi politica e militare il poderoso consesso delle democrazie somiglia ad uno quegli eserciti persiani che la falange macedone sbaragliava a ripetizione durante la sua marcia verso l´Indo, poiché la confusione di lingue e stili di combattimento li conduceva a fallire le manovre più elementari. E comunque il salvataggio del Pakistan non è certo un´operazione facile. Nei suoi turbolenti sessant´anni il Paese ha visto alternarsi indecorose dittature militari e non molto più decorosi governi civili. Un tempo era la Terra promessa della sempre attesa Riforma islamica, poi è stato infettato da un ultra-fondamentalismo d´importazione che oggi conta per una piccola quota dell´elettorato, meno del 5%, ma rappresenta la quasi totalità delle milizie, vale a dire decine di migliaia di armati. La sua fazione "rivoluzionaria", i Taliban, ormai è saldamente attestata in vasti territori al confine con l´Afghanistan, e li usa come trampolini per successive avanzate. In marzo le sgangherate milizie di tale Fazlallah, più noto come "Mullah radio" per le sue concioni radiofoniche, si sono presi lo Swat, una regione a ridosso della frontiera afgana, dove hanno sostituito lo stato di diritto con la giustizia delle corti islamiche.
In cambio di una vaga promessa di non belligeranza, il governo centrale ha ratificato questo atto di aperta sovversione. Galvanizzati, all´inizio di questa settimana quei Taliban sono calati nella valle di Buner, un centinaio di chilometri della capitale, e ammazzati alcuni poliziotti, hanno ordinato alle donne di chiudersi in casa, alle scuole di serrare i portoni. Soltanto un nuovo negoziato con Islamabad, e presumibilmente nuove concessioni, ieri hanno indotto quei guerrieri a tornare nelle loro montagne.
Sbigottiti da questi eventi, nelle ultime ore gli occidentali hanno scoperto che se in Afghanistan non va bene, in Pakistan va molto peggio. E´ a rischio «l´esistenza stessa del Pakistan», ha avvertito il generale Petraeus. La Clinton, Berlino, Londra, la preoccupazione è unanime. E al Pentagono, questo possiamo darlo per scontato, hanno tirato fuori dai cassetti i piani per tentare di impossessarsi delle atomiche pachistane qualora tutto precipiti.
A questo coro angosciato manca la voce di chi dovrebbe difendere le istituzioni nell´ora più grave, le Forze armate pachistane. Se si esclude una dichiarazione vaga e ufficiosa attribuita al capo di stato maggiore, i generali tacciono. E il loro silenzio è misterioso quanto la loro inazione.
Proviamo a ripercorrere la sequenza che conduce alla "talibanizzazione" dello Swat. Quel "mullah Radio" che pare in grado di minacciare uno Stato di 165 milioni di abitanti, non è un Garibaldi islamico, ma un noto pasticcione. E i suoi miliziani non sono molti più dei cinque o seicento che nei giorni scorsi hanno "conquistato" la valle di Buner. Perché l´esercito, forte di cinquecentomila uomini, ha lasciato fare? E perché proprio adesso, mentre il presidente pachistano si prepara a partire per Washington? Ecco le domande che l´Occidente dovrebbe porsi.
Il vertice militare pachistano non inclina al fondamentalismo, ma come ormai è evidente, non combatte la nostra stessa guerra. La sua priorità è contrastare l´India, tanto più che quella sta rafforzando notevolmente le sue posizioni in Afghanistan, in buona collaborazione con gli americani. Per una cultura militare ossessionata dalla geopolitica, avere gli indiani sia a est che a ovest rappresenta una minaccia esistenziale. Percezione sovreccitata, ma favorita dall´attivismo del servizio segreto indiano in Afghanistan e dai toni bellicosi usati da leader della destra indù nella campagna elettorale in corso.
Questo lo sfondo. Ma più immediato, e forse decisivo, è il rapporto sempre più problematico con gli Stati Uniti. Da quando si è insediato Obama, la frequenza dei bombardamenti americani in Pakistan è aumentata. Che aiutino o no le sorti della guerra afgana, cominciano a diventare uno smacco per le Forze armate pakistane, i cui compiti istituzionali includono la tutela dei confini. Fino a ieri lo stato maggiore ingoiava, in cambio di copiosi aiuti militari. Ora anche gli aiuti si sono diradati, mentre a Islamabad si consolida il sospetto che ormai Washington dia retta alla diplomazia indiana, quando ripete: il Pakistan è finito. Non è così. Ma se l´esercito scegliesse una "neutralità" suicida, e se gli occidentali non riuscissero a farlo ricredere, quella potrebbe diventare l´ennesima profezia che si autoinvera, e per il solito motivo: l´inettitudine degli attori.

Per inviare la propria opinione a Giornale e Repubblica, cliccare sulle e-mail sottostanti


segreteria@ilgiornale.it
rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT