Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Iran: Hillary Clinton minaccia sanzioni più pesanti Analisi di Carlo Panella, Giulio Meotti. Cronaca di Glauco Maggi. La lettera di Bahaman Gobadi
Testata:Il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera Autore: Carlo Panella - Giulio Meotti - Amy Rosenthal - Glauco Maggi - Bahaman Gobadi Titolo: «La geopolitica dell'odio - Ha studiato in Germania e paragona gli ebrei alla peste. Ramin, il consulente di Ahmadinejad sulla Shoah - L’Iran irrita gli Usa - Liberate la mia amata Roxana, un’innocente che è fedele all’Iran»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 23/04/2009, a pag. I, l'analisi di Carlo Panella dal titolo " La geopolitica dell'odio " e quella di Giulio Meotti dal titolo " Ha studiato in Germania e paragona gli ebrei alla peste. Ramin, il consulente di Ahmadinejad sulla Shoah ". Dalla STAMPA, a pag. 14, la cronaca di Glauco Maggi dal titolo " L’Iran irrita gli Usa " sulle minacce di sanzioni più pesanti statunitensi all'Iran se continuerà con la sua politica attuale. Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'appello del regista Bahamn Gobadi, fidanzato di Roxana Saberi, che chiede all'Iran di rilasciarla. Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - Carlo Panella : " La geopolitica dell'odio "
Imedia mondiali hanno commesso un grave errore centrando l’attenzione soltanto sulle parole intollerabili pronunciate a Ginevra da Mahmoud Ahmadinejad contro Israele. Errore reiterato, che si verifica ogni volta che Ahmadinejad parla in sede Onu e che occulta quanto di ben peggiore e allarmante il presidente iraniano sostiene e dice non a nome proprio – si badi bene – ma di tutta la leadership iraniana, in tutte le sue componenti. Il punto focale dell’analisi del quadro mondiale degli iraniani – e quindi di Ahmadinejad – è semplice: negazione totale, reiterata e assoluta della legalità internazionale garantita dalle potenze che hanno sconfitto il nazifascismo. E su questo punto è incredibilmente vasto l’appoggio e l’entusiasmo che in ogni occasione matura tra i paesi rappresentati all’Onu che vissero marginalmente quel conflitto. L’antisemitismo, l’antisionismo, la negazione dell’Olocausto sono soltanto una parte – la più oscena – di una ricostruzione della storia non solo negazionista, ma provocatoriamente revisionista. Una storia da cui è volutamente, recisamente negata e ignorata ogni parte e responsabilità avute dal nazifascismo. A partire dall’affermazione che le due guerre mondiali non sono affatto state scatenate l’una dagli Imperi centrali e l’altra dal nazifascismo, ma da “accaparratori di potere”. Non è la denuncia dell’azione delle trame massonicodemo- pluto-giudaiche, ma solo per ipocrisia lessicale. Il senso dell’intero svolgimento del tema è quello. Ahmadinejad dunque ripropone una visione revisionista della storia del Novecento che ha un notevole spessore nella tradizione iraniana (là dove, non soltanto lo scià Reza, ma anche ampi settori del clero nel 1940 sostenevano apertamente l’Asse), così come in quella araba (tutti i gruppi dirigenti postcoloniali in Iraq, Siria, Egitto, Palestina, ma anche in Tunisia e Algeria si erano schierati o avevano complottato col nazifascismo sino al 1945). Ma quelle guerre furono vinte da “potenze che si autodefinirono conquistatrici del mondo, ignorando o calpestando i diritti delle altre nazioni con l’imposizione di leggi oppressive e trattati internazionali”. Da qui discende immediatamente la prima, più forte e centrale affermazione: il Consiglio di sicurezza dell’Onu, eredità di quelle guerre scatenate dalle lobby che ora lo compongono, non ha nessuna legittimità, non ha nessun diritto a detenere – grazie alla permanenza dei membri della coalizione antinazista – tramite il diritto di veto, il principio di legalità dell’ordine internazionale: “Il Consiglio di sicurezza dell’Onu è il più alto organismo internazionale decisionale del mondo per la tutela della pace e della sicurezza. Ma come possiamo aspettarci che realizzi la giustizia e la pace, quando la discriminazione è legalizzata e la sede stessa del diritto è dominata dalla coercizione e dalla forza, piuttosto che dalla giustizia e dai diritti?” In questo contesto di sopruso, illegalità e violenza che è planetario e non regionale, si colloca secondo Ahmadinejad la scelta di “ricorrere all’aggressione militare per togliere a un intero popolo la sua dimora e inviare gli ebrei – col pretesto delle loro sofferenze – in Palestina occupata per istituire un governo razzista”. Qui, Ahmadinejad non ha letto la frase sulla “dubbia e ambigua questione dell’Olocausto”, che pure era stampata nel discorso distribuito ai delegati. Ma è stata solo una seconda ipocrisia lessicale; il senso è inequivocabile. Così come è inequivocabile il riferimento al ruolo che a più riprese viene attribuito dal Corano agli ebrei – come traditori della Legge e manipolatori della Bibbia – quale veicolo di divisione della comunità musulmana, che Khomeini così sintetizza nel secondo capoverso del suo fondamentale testo sul “Governo islamico”: “Sin dai primi momenti, gli ebrei hanno seminato divisione e zizzania dentro la comunità dei credenti”. Di nuovo, Ahamadinejad accusa un illegittimo e arbitrario Consiglio di sicurezza, espressione di “potenze usurpatrici di potere” di avere aiutato e dato mano libera per 60 anni ai sionisti “razzisti e autori di genocidio”: “I sostenitori di Israele sono sempre stati complici o in silenzio di fronte ai suoi crimini”. Ma anche se è centrale, non è questo di Israele il baricentro della weltanschaung iraniana, che prosegue con la denuncia della guerra contro Saddam Hussein che “ha colpito una cultura nobile con migliaia di anni alle spalle, eliminando le potenziali capacità di tutti i paesi islamici di minacciare o contenere il regime sionista” agli ordini “dei sionisti e dei loro alleati”. Poi l’Afghanistan. Infine, la crisi economica mondiale la cui responsabilità è del “Sionismo mondiale, che incarna il razzismo, che falsifica i dettami della religione e abusa dei sentimenti religiosi per nascondere il suo odio e il suo volto orribile”. E’ la riproposizione del tema del “complotto” internazionale, che accomuna ebrei e un “capitalismo e un liberalismo che hanno fallito”, che pare – ma non è – ricalcata sul “Complotto dei Savi di Sion” (comoda tesi che addebita all’Europa anche la responsabilità dell’antisemitismo islamico), e che invece discende dai tanti versetti del Corano, in cui il Profeta inchioda gli ebrei a questo ruolo complottardo e infido, per non avere voluto convertirsi alla Medina e avere trescato con gli idolatri della Mecca. Segue ovviamente la “pars costruens”: “E’ necessario ristrutturare le attuali organizzazioni internazionali e i loro regolamenti”. E qui arriva la dichiarazione che mette in un angolo e svergogna le nazioni che hanno deciso di non boicottare la Conferenza di Ginevra: “Questa Conferenza è un terreno di sperimentazione su questo cammino”. Infine, la proposta: “E’ di fondamentale importanza una rapida riforma della struttura del Consiglio di Sicurezza, compresa l’eliminazione delle discriminazioni e del diritto di veto, di modo che si possa modificare e cambiare il mondo di oggi, inclusi i suoi sistemi monetari e finanziari”. Chi pensi che è il discorso di un pazzotico non ha torto, e Ahmadinejad ha anche le phisique du rôle del caporale austriaco. Ma la notizia non è soltanto questa. La vera notizia è che metà sala – in primis il rappresentante dell’Algeria – è scoppiata in una standing ovation quando Ahmadinejad ha terminato di parlare, che un centinaio, di rappresentanti di paesi dell’Onu vi si sono riconosciuti, l’hanno condiviso. Questa è la vera novità di Ginevra. Questo è il dramma che a Ginevra si è consolidato. Questa è la piattaforma di una alleanza internazionale – non certo il documento finale – che a Ginevra è stata varata. Prodotto non casuale di uno straordinario successo personale di Ahmadinejad che in quattro soli anni ha preso un Iran irrilevante sul piano internazionale e ne ha fatto la punta di diamante di movimento per una modifica della stessa legalità internazionale, forte del consenso di un centinaio di paesi: alcuni tra quelli islamici e alcuni strategici per le più diverse ragioni, come il Venezuela, Cuba, la Bolivia e anche la Corea del nord.
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Ha studiato in Germania e paragona gli ebrei alla peste. Ramin, il consulente di Ahmadinejad sulla Shoah"
Lo hanno già ribattezzato “il Goebbels di Ahmadinejad”. A lui si devono gran parte delle frasi che hanno reso tristemente famoso l’Iran negli ultimi quattro anni. “Una terribile esplosione cancellerà l’entità sionista dalla mappa”. “Vogliamo rimuovere le fonti della tensione in medio oriente. La soluzione è semplice”. “Voglio dire ai paesi occidentali che così come l’Unione Sovietica fu spazzata via e non esiste più, così il regime sionista presto sarà cancellato e l’umanità sarà liberata”. “Se Allah vorrà, nel futuro vedremo la distruzione di questo regime corrotto e occupante”. “Le potenze mondiali hanno creato questo sporco microbo chiamato regime sionista”. “I sionisti si avviano alla fine come un ratto morto”. Come spiega il New Yorker, l’uomo che è stato incaricato dal regime iraniano di fare del “mito della Shoah” un nuovo paradigma storiografico si chiama Mohammad Ali Ramin, è il principale consulente del presidente Mahmoud Ahmadinejad sulla questione ebraica e l’Olocausto. E’ un insegnante di Filosofia alla Message of Light University di Teheran, alto, cinquant’anni, capelli biondi inusuali per un iraniano, Ramin ha vissuto e lavorato molti anni in Germania, nella città di Clausthal-Zellerfeld, e parla tedesco. Lì si è laureato in ingegneria. Ramin è anche noto come l’“angelo della morte” di Ahmadinejad, l’uomo che il presidente negazionista ha incaricato di scatenare la campagna sull’Olocausto come “mito” (sua è l’idea dell’intervista di Ahmadinejad al settimanale tedesco Spiegel prima di Durban II). Ramin è convinto che la storia sullo sterminio degli ebrei sia “ingiusta” e che l’occidente abbia trasferito “il problema ebraico” in medio oriente. “Portando gli ebrei nel mondo islamico, hanno creato una situazione in cui gli ebrei saranno distrutti”. Grazie a Ramin, dal dicembre 2005 la “menzogna dell’Olocausto” è diventata martellante nei sermoni televisivi del venerdì in Iran. I talk show sulla tv pubblica mostrano storici che sbeffeggiano le camere a gas, l’agenzia di stampa iraniana ha creato una piattaforma di negazionisti da tutto il mondo, si indicono concorsi per vignette antisemite e il centro religioso di Qom ha annunciato progetti di ricerca contro i “difensori dell’Olocausto”. Ramin ha elevato a politica governativa l’opzione di un nuovo crimine epocale contro gli ebrei. Come Ahmadinejad, Ramin proviene dalla scuola haqqani dell’ayatollah Mesbah-Yazdi, la più radicale dell’islam sciita, predica il ritorno del dodicesimo Imam nascosto e vede negli ebrei “la radice dei mali del mondo”. Da lì proviene Ahmad Fardid, teorico della purezza razziale persiana. Yazdi è uno dei predicatori del venerdì di Teheran, è stato allievo e compagno di percorso di Khomeini assieme a Ramin, è membro del Consiglio degli esperti, il collegio che elegge la Guida suprema della Rivoluzione. Soprannominato “il coccodrillo” a causa di una vignetta satirica costata la galera al suo disegnatore, Yazdi ha liquidato i 22 milioni di iraniani che hanno eletto presidente il “riformista” Khatami come “un mucchio di straccioni che bevono acquavite”. Quando, mesi fa, un giornale moderato ha pubblicato un articolo che chiedeva l’abolizione della pena di morte, Yazdi sentenziò che chiunque metta in dubbio le fondamenta dell’islam deve essere immediatamente ucciso. Yazdi è il massimo teorico del terrorismo suicida e della guerra agli “infedeli”. Come spiega lo studioso iraniano Vali Nasr, Yazdi è “la faccia stridente di Qom”, rappresenta il radicale e messianico attaccamento ai valori della rivoluzione di Khomeini e al potere che essa ha consegnato al clero. Yazid è il religioso favorito delle Guardie della Rivoluzione (sepah-e pasdaran), oltre che degli scagnozzi che fanno il lavoro sporco per la Repubblica islamica. Ai tempi d’oro del riformismo, dal 1997 al 2005, ha incoraggiato queste forze a mettere fine con ogni mezzo alle manifestazioni per il cambiamento. Durante il ciclo elettorale presidenziale del 2005, è stato l’unico religioso a emettere una fatwa a sostegno dell’ex Guardia rivoluzionaria Mahmoud Ahmadinejad. Dopo le elezioni, non si fece scrupolo di dichiarare che l’Iran ora aveva il suo primo vero governo islamico e che non c’era più bisogno di tenere altre elezioni. Dopotutto, all’inizio della Rivoluzione, le elezioni erano state una concessione alle forze laiche. Erano incompatibili con la teocrazia, e pertanto “Repubblica islamica” era una contraddizione in termini, che doveva essere rimpiazzata da un non adulterato “governo islamico”. Mentre molti iraniani ambivano a un futuro democratico, Mesbah-Yazdi guardava ai talebani come modello. Ramin è un grande propagandista, un’arte che ha appreso durante l’esilio francese di Khomeini. Quando la Francia rilasciò un visto al religioso iraniano, a sua moglie e ai suoi collaboratori, i quali nell’ottobre del 1978 si stabilirono tutti nel sobborgo parigino di Neauphle-le-Château, studenti, giornalisti e intellettuali corsero in Francia a incontrare Khomeini, il quale durante i quattro mesi del suo soggiorno francese rilasciò oltre centoventi interviste alla radio e alla stampa e pubblicò circa cinquanta tra discorsi e dichiarazioni. Ramin era al suo fianco. L’abile distinzione ebraismo-sionismo Sulla sua scrivania, Ramin tiene in bella mostra una fotografia di Imad Mughniyeh, “lo Sciacallo sciita” ucciso più di un anno fa, il terrorista che ha ucciso più americani prima dell’11 settembre, il massacratore degli ebrei in tutto il mondo. L’altra foto vede Ramin in compagnia di alcuni ebrei ultraortodossi e antisionisti che hanno partecipato alle conferenze iraniane sulla Shoah. “Chiunque conosca i miei pensieri sa che influenzano il presidente”, dice con orgoglio l’intellettuale iraniano. Abilissimo nello sfruttare il senso di colpa occidentale, Ramin precisa che quando parla di Israele e di Olocausto lui e Ahmadinejad lottano “per la giusta considerazione del giudaismo”, che a sentir loro sarebbe stato stuprato dal sionismo. Nulla di nuovo. Già Khomeini scrisse una lettera indirizzata agli ebrei iraniani nel 1980: “Noi siamo contro i sionisti perché loro sono contro tutte le religioni. Loro non sono ebrei. Sono uomini politici che agiscono nel nome degli ebrei. E gli ebrei stessi li odiano”. Ramin ha elaborato una retorica violenta e omicida, afferma che “gli ebrei hanno ucciso i profeti di Dio e si sono opposti alla giustizia e alla rettitudine. Nel corso della storia questo gruppo ha inflitto i danni più grandi alla razza umana”. Per Ramin, gli ebrei sono colpevoli persino della propagazione del tifo e della peste, sono persone “ripugnanti” che avvelenavano i pozzi dei cristiani per ucciderli. La retorica biologista Ramin l’ha appresa dal suo maestro, Yazdi, che non a caso si affermò negli anni Novanta guidando l’opposizione più radicale al riformismo che definì “una iniezione del virus dell’Aids nel corpo sano della nazione islamica”. “La risoluzione della questione dell’Olocausto finirà con la distruzione di Israele”, proclama il consulente di Ahmadinejad, che non si fa portavoce del classico antisemitismo, ma di una nuova dottrina che vede nella fine di Israele una “liberazione della verità”, “la fine della tirannia” e “la distruzione dell’oppressione”. Il negazionismo della Shoah è parte dell’opposizione fra libertà e schiavitù con il pretesto di eliminare gli “oppressori della verità”. In un’intervista del 28 dicembre scorso al sito web iraniano Baztab, Ramin ha dichiarato che Hitler era ebreo da parte di entrambi i genitori, sua nonna una prostituta ebrea e il padre di Hitler usò fino ai quarant’anni il cognome ebraico di sua madre per poi cambiarlo in Hitler. Sempre secondo Ramin, Hitler, che frequentava quasi esclusivamente ebrei, dalle amanti al medico personale, sviluppò sentimenti di ambivalenza nei confronti dell’ebraismo perché anche la madre era una prostituta ebrea, e decise di espellere gli ebrei dall’Europa centrale per favorire il sorgere di un governo ebraico in Palestina, supportato dai suoi facoltosi amici ebrei. Con la sua barba ben curata e gli occhi blu, Ramin sembra uno scandinavo, è charming nello stile, dirige il mensile Emanat, è fondatore dell’Association of the islamic path in Europe e il gran cerimoniere dei seminari iraniani sulla Shoah iniziati nel 2006. E’ sempre rimasto legato alla Germania, dove ha fondato la “Islamische Gemeinschaft in Clausthal e.V.”, in una città a un’ora di macchina da Hannover. Ma nella sua biografia c’è soprattutto l’affiliazione ai “Sacrificatori della Velayat”, un gruppo terroristico dedito alla conservazione della reggenza del giureconsulto islamico, il cuore della dittatura islamica iraniana. Ramin ha recentemente chiesto ad Austria, Germania e Polonia, le tre principali nazioni dove fu realizzata la “soluzione finale” degli ebrei, di fornire “le prove” della Shoah. Sempre sua fu l’idea nel 2005, l’anno dell’elezione alla presidenza di Ahmadinejad, di chiedere a Vienna e Berlino di creare uno stato ebraico entro i loro confini per risolvere la questione mediorientale. Quando gli è venuta l’idea geniale di creare una fondazione storiografica negazionista, la formazione europea gli ha suggerito di camuffarla sotto un nome algido, neutrale, burocratico, affascinante. Così l’ha chiamata World Holocaust Foundation.
La STAMPA - Glauco Maggi : " L’Iran irrita gli Usa. Se continua così sanzioni più dure "
Sanzioni più strette all’Iran, «dovessero rendersi necessarie». Il segretario di Stato americano Clinton, parlando davanti alla Commissione Affari Esteri del Senato, ha mostrato il bastone dell’amministrazione Usa, dopo la carota offerta con la «mano tesa» dal presidente Obama al leader oltranzista di Teheran Ahmadinejad. «Crediamo realmente che seguendo la strada della diplomazia guadagniamo credibilità e influenza presso le nazioni che dovranno lavorare con noi per rendere il regime delle sanzioni stretto e paralizzante tanto quanto sarà necessario», ha spiegato Hillary. Il governo americano ha fiducia che, con l’aiuto dei partner internazionali, potrà essere coordinato un regime articolato di misure restrittive contro l’Iran, «nell’eventualità che non dovessimo avere successo e trovassimo un ostacolo insormontabile nel nostro approccio», ha detto Hillary ai suoi ex colleghi senatori perché l’Iran sentisse. Se Clinton mostra il muso duro dell’America, da Teheran la risposta non è però affatto incoraggiante. L’Iran si mantiene fermo nel rivendicare il diritto di costruire centrali nucleari, ufficialmente a scopi civili, e continua imperterrito ad arricchire l’uranio, il passo tecnologico indispensabile a produrre sia l’elettricità, sia le bombe. Anzi, prendendo alla lettera le aperture fatte da Obama in campagna elettorale, e appena dopo la vittoria, Ahmadinejad ha fatto l’offeso e ha ribattuto alle critiche e alle minacce da Washington con un avvertimento e una lezioncina. «Boicottare la conferenza dell’Onu di Ginevra sul razzismo criticando l’Iran, come ha fatto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, non aiuta a risolvere i problemi», ha detto ieri in un comizio trasmesso dalla televisione il presidente iraniano, che era stato contestato all’Onu per il suo attacco ad Israele. «Nuova amministrazione americana, ti darò un consiglio - è arrivato a dire Ahmadinejad -. Obama è arrivato al potere con lo slogan del cambiamento, cioè che il popolo americano come il resto del mondo vuole un cambiamento nella politica del colonialismo. Di conseguenza, per lui sarebbe stato un obbligo prendere parte alla più importante conferenza internazionale sul razzismo», ha recriminato. E ha aggiunto: «Condannare le mie affermazioni non aiuta a risolvere i problemi», mentre la folla gridava «morte all’America e morte a Israele». Quanto alla linea dei colloqui diretti prospettati da Obama-Clinton, una netta rottura con la politica di Bush, il leader iraniano ha risposto con la riscoperta degli incontri «5+1»: il dialogo simultaneo sul nucleare con Usa, Francia, Gran Bretagna, Germania, Russia e Cina è per Teheran «costruttivo». Avendo già ottenuto che gli incontri si avvieranno senza fermare le attività di arricchimento dell’uranio, Ahmadinejad preferisce che al tavolo ci siano pure gli amici russo e cinese. In Senato il segretario di Stato ha avuto anche parole allarmate sul Pakistan, Paese già dotato di armi nucleari. «Pone una minaccia mortale alla sicurezza degli Usa e del mondo - ha affermato Clinton -. Voglio dire senza equivoci non solo al governo pachistano, ma anche al popolo pachistano nel Paese e all’estero, che devono osteggiare con forza la politica che sta cedendo territori sempre più estesi agli insorti». Il giorno prima, i taleban avevano occupato il distretto di Buner nel Pakistan nord-occidentale, estendendo l’imposizione della sharia fino a soli 96 chilometri di distanza dalla capitale Islamabad. La mossa segue la conquista pacifica da parte dei taleban della confinante Swat Valley dove in base a una pace separata con il governo centrale vige da allora la sharia. La drammatica involuzione politico-sociale in Pakistan e la guerra in Afghanistan saranno al centro dei colloqui che il presidente Obama avrà con i leader dei due Paesi il 6 il 7 maggio. Il presidente afghano Hamid Karzai e quello pachistano Asif Ali Zardari incontreranno separatamente alla Casa Bianca Obama. Obiettivo dell’America, finora frustrato, è convincere le due nazioni a cooperare, tra loro e con gli Usa e la Nato, per combattere Al Qaeda e i taleban.
CORRIERE della SERA - Bahaman Gobadi : " Liberate la mia amata Roxana, un’innocente che è fedele all’Iran "
Una lettera d’amore. Un appello. Per Roxana Saberi, la giornalista irano-americana condannata in Iran a 8 anni di carcere per spionaggio. L'ha scritto il regista curdo iraniano Bahman Ghobadi, 40 anni. Rivela d’essere il fidanzato di Roxana e ne proclama l’innocenza in farsi, inglese e francese su Internet. Ghobadi, ex assistente di Kiarostami, premiato in molti festival incluso Cannes (Il Tempo dei Cavalli Ubriachi, 2000), rivela che Roxana voleva tornare in America, ma lui la convinse a restare a Teheran per poter terminare il suo prossimo film. Spiega che è «troppo pura» e squattrinata per essere una spia, che è «un'iraniana e ama l’Iran», e come tale deve essere assolta. Se finora sono rimasto in silenzio, è stato per il suo bene. Se oggi parlo, è per il suo bene. Roxana è la mia amica, fidanzata e compagna; è una giovane intelligente e piena di talento, che ho sempre ammirato. Era il 31 gennaio. Il giorno del mio compleanno. La mattina Roxana mi ha telefonato per dirmi che sarebbe passata a prendermi. Non è mai arrivata. L'ho chiamata sul cellulare, ma era spento, e per un paio di giorni non ho saputo nulla di lei. Sono andato al suo appartamento e, dato che ognuno di noi ha le chiavi di casa dell'altro, sono entrato, ma lei non c'era. Due giorni dopo mi ha telefonato e mi ha detto: «Scusami caro, sono dovuta andare a Zahedan ». Mi sono arrabbiato: perché non mi aveva fatto sapere niente? Allora sono andato a Zahedan. L'ho cercata in tutti gli hotel, ma nessuno la conosceva. Per dieci giorni la mia mente è stata attraversata da mille folli pensieri, fin quando ho saputo da suo padre che era stata arrestata. Ho pensato fosse uno scherzo. Ho pensato fosse un malinteso, e che sarebbe stata liberata dopo due o tre giorni. Ma il tempo passava e non ricevevo sue notizie. Ho cominciato a preoccuparmi, ho bussato a tutte le porte chiedendo aiuto, finché non ho capito quel che era successo. È con le lacrime agli occhi che dichiaro che Roxana è del tutto innocente. Lo dice una persona che la conosce da anni e che ha condiviso con lei ogni momento. Ora ho il cuore pieno di tristezza, perché l'ho spinta io a rimanere qui. Roxana voleva andarsene dall' Iran. Sono stato io a trattenerla. All'inizio della nostra relazione, lei voleva tornare negli Stati Uniti. Avrebbe voluto che ci andassimo insieme, ma ho insistito perché rimanesse finché non avessi finito il mio nuovo film. Ora sono disperato, è a causa mia che sta subendo tutto questo. Negli ultimi anni ho sofferto di una grave depressione, perché il mio film era stato vietato, era uscito clandestinamente. Se sono riuscito a resistere fino a oggi è stato grazie alla presenza e all'aiuto di Roxana. L'ho convinta a rimanere, volevo che scrivesse il libro a cui stava pensando. Il lavoro la assorbiva al punto da permetterle di continuare a sopportare tutto e di rimanere finché non avessi finito il mio film: saremmo poi partiti insieme. Il libro di Roxana era un omaggio all'Iran. I manoscritti, che un giorno saranno sicuramente pubblicati, lo testimonieranno. Scrivo questa lettera perché sono preoccupato. Sono preoccupato per la sua salute. Ho sentito che è depressa e piange in continuazione. È così sensibile che rifiuta di toccare cibo. La mia lettera è un appello disperato ai politici e agli uomini di governo, e a tutti coloro che possono far qualcosa per aiutarci. Dall'altra parte dell'oceano gli americani hanno protestato per il suo arresto, perché Roxana è cittadina americana. No, dico io, Roxana è iraniana e ama l'Iran. Vi prego, lasciatela andare! Vi prego, non coinvolgetela nei vostri giochi politici! La mia ragazza iraniana con gli occhi giapponesi e il passaporto americano è in carcere. Mi vergogno! Vergognamoci!
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