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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
22.04.2009 Obama invita alla Casa Bianca Netanyahu, Abu Mazen e Mubarak
Cronaca di Maurizio Molinari e un nostro commento a Vittorio Zucconi

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Medioriente. Obama: ' Via ai colloqui di pace '»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/04/2009, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Medioriente. Obama: ' Via ai colloqui di pace ' "  e dalla REPUBBLICA, a pag. 1-32, l'articolo di Vittorio Zucconi dal titolo " La tela americana " preceduto dal nostro commento, sulla decisione di Barack Obama di invitare alla Casa Bianca Benyamin Netanyahu, Abu Mazen e Hosni Mubarak per risolvere la situazione in Medio Oriente. Gli incontri si svolgeranno alla fine di maggio. Ecco gli articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Medioriente. Obama: Via ai colloqui di pace"

«Il Medio Oriente deve allontanarsi dall’abisso». Barack Obama è seduto nello Studio Ovale a fianco del re giordano Abdallah quando fa sapere di aver preso l’iniziativa di occuparsi in prima persona del conflitto mediorientale dando inizio a un giro di consultazioni con tutti i leader interessati.«Né gli Stati Uniti né la Giordania possono arrivare alla soluzione - dice il Presidente - ma possiamo creare le condizioni, l’atmosfera utile per garantire aiuto ed assistenza al fine di facilitare un accordo». Da qui la decisione di ricevere alla Casa Bianca, in rapida successione, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente dell’Autorità palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) e il leader egiziano Hosni Mubarak. «Gli incontri avverranno in maggio, si tratterà di singoli bilaterali, non ci saranno incontri di gruppo simili a quelli che abbiamo fatto in Europa» precisa il portavoce Robert Gibbs, moderando toni e termini al fine di abbassare il più possibile le attese per possibili risultati.
Prendendo l’iniziativa dei colloqui entro i primi cento giorni di mandato, Barack Obama già si distingue dal predecessore George W. Bush. Al momento questo è l’unico obiettivo della Casa Bianca: mettere in campo il Presidente.
Riguardo ai contenuti, Obama parte dalla «soluzione dei due Stati» dicendo di esserne un «forte sostenitore». «L’ho detto pubblicamente e lo motiverò nei colloqui privati» aggiunge, sottolineando come «purtroppo» in Medio Oriente c’è ancora chi vi si oppone «non solo dentro Israele ma nei Territori palestinesi, fra gli Stati arabi e nel mondo dove si respira un forte cinismo sulla possibilità che dei progressi di qualsiasi sorta vengano compiuti».
Ogni volta che Obama parla di «cinismo» disegna un ostacolo da superare e in questo caso si riferisce a coloro che si oppongono all’idea di far nascere uno Stato palestinese in pace e sicurezza a fianco di Israele, nei territori di Cisgiordania e Gaza. «Per quanto difficile questo obiettivo possa apparire la prospettiva di pace ancora esiste - sottolinea Obama, guardando spesso re Abdallah - ma richiederà scelte difficili, determinazione da parte di tutte le parti coinvolte e l’adozione di passi concreti verso una soluzione».
La decisione di non usare alcun termine che evochi processi già iniziati - né la Road Map israelopalestinese che venne inaugurata otto anni fa né la Conferenza di Annapolis dello scorso anno - è una prudenza suggerita dal negoziatore George Mitchell. «Ognuno deve fare dei passi in avanti ma non possiamo essere noi a dire quali e Mitchell è il migliore possibile per questo incarico» dice Obama per sottolineare che sarà lui a fargli da spalla nei bilaterali alla Casa Bianca che segneranno l’inizio di «un forte impegno degli Stati Uniti nel processo» per far ripartire la pace in Medio Oriente.
L’annuncio della Casa Bianca ha come risultato collaterale quello di sciogliere il giallo sul primo incontro fra Obama e Netanyahu. Nei giorni scorsi Gerusalemme lo aveva auspicato in coincidenza con un imminente viaggio del premier negli Usa, ma da Washington non era arrivata alcuna conferma, facendo trapelare il dubbio di attriti a seguito proprio dell’incontro avuto in Israele fra Mitchell e Avigdor Lieberman, il ministro degli Esteri critico nei confronti della soluzione dei «due Stati» auspicata dalla conferenza di Annapolis. Proprio Lieberman nella prima settimana di maggio farà tappa a Roma nel suo viaggio del debutto all’estero.

La REPUBBLICA - Vittorio Zucconi : " La tela americana "

Zucconi scrive : " Il filo di speranza che tre Presidenti avevano tentato di tessere, Nixon, Carter e Clinton, e che Bush aveva lasciato cadere per inseguire la chimera della «esportazione della democrazia» fino al massacro di Gaza, sarà raccolto da Barack Obama prima che lasci israeliani e palestinesi «soli di fronte all´abisso» (...) Obama si affretta a ricordare, agli israeliani per primi, che neppure le farneticazioni di Ahmadinejad possono far ignorare la catastrofe del popolo palestinese.".Le sofferenze di Gaza non sono state causate nè dall'amministrazione Bush, nè da Israele. Il veri responsabili sono Hamas e la sua politica terroristica. E' assurdo aspettarsi che un Paese (Israele) sia vittima di attacchi quotidiani da parte dei terroristi di Hamas e che non passi mai al contrattacco. In ogni caso, a Gaza non vi è stato alcun massacro, ma operazioni dirette contro i terroristi. Israele ha compiuto ogni sforzo per minimizzare le perdite civili tra i palestinesi, mentre Hamas ha deliberatamente cercato di accrescerle per ottenere un effetto propagandistico.La "catastrofe del popolo palestinese", poi, è dovuta non solo ad Hamas, ma anche ai Paesi arabi e islamici che si sono opposti alla nascita di uno  Stato palestinese a fianco di Israele e a quello che oggi appoggiano Hamas e minano ogni prospettiva di pace (Iran, Siria, Sudan) . Ecco l'articolo:

Il filo di speranza che tre Presidenti avevano tentato di tessere, Nixon, Carter e Clinton, e che Bush aveva lasciato cadere per inseguire la chimera della «esportazione della democrazia» fino al massacro di Gaza, sarà raccolto da Barack Obama prima che lasci israeliani e palestinesi «soli di fronte all´abisso», come ha detto il suo portavoce Gibbs.
La fatica di tessitori della ragione ricomincia, senza illusioni, ma senza cinismi ideologici. Il nuovo primo ministro israeliano Netanyahu, il presidente egiziano Mubarak e il presidente di mezzo territorio palestinese, Abbas, saranno invitati a Washington in maggio, per sondarli, senza la coreografia forzosa del vertice a oltranza che Clinton tentò invano con Yasser Arafat e l´allora premier israeliano Ehud Barak nel 2000.
Ancora una volta, Obama rimane fedele alle promesse elettorali, all´impegno di tentare ogni dialogo ragionevole, prima di arrendersi. È classico «obamismo», questo annuncio fatto quando ancora è forte l´eco del discorso provocatorio di Ahmadinejad alla conferenza dell´Onu a Ginevra, alla quale il presidente non ha voluto partecipare per non avallare l´antisemitismo di Teheran.
Mentre rende omaggio allo sdegno israeliano per quell´operazione di propaganda, Obama si affretta a ricordare, agli israeliani per primi, che neppure le farneticazioni di Ahmadinejad possono far ignorare la catastrofe del popolo palestinese.
Se la conferenza di Ginevra ha fornito la motivazione immediata, la decisione di convocare a Washington, per ora uno alla volta, Egitto, Israele e Autorità Palestinese ha due spiegazioni più profonde. La prima è la sensazione che la pur striminzita vittoria della destra israeliana e l´assunzione al governo dell´estremista antipalestinese Lieberman distruggano, insieme con il controllo di Hamas su Gaza, ogni ipotesi di pace equa e giusta. La seconda è la riaffermazione che nessuna strada è praticabile, nessuna pace ipotizzabile, senza l´intervento politico diretto e forte degli Stati Uniti, nel ruolo classico dell´«honest broker», dell´onesto mediatore. Era quel ruolo che prima Kissinger con la Siria, poi Carter, autore della pace fra Sadat e Begin nel 1978 e infine Clinton, nell´affannosa e controproducente maratona di Camp David nel 2000 avevano interpretato e che la mostruosità dell´11 settembre e poi la illusione bushista di poter aggirare il nodo rimuovendo Saddam Hussein e dichiarando «guerra al terrore», avevano troncato.
Contrariamente a Bush, Obama mantiene ancora intatto il proprio prestigio e quella sensazione di aria nuova che ora cerca di giocare anche sul tavolo diplomatico più difficile, puntando sul credito che anche i governi ostili gli hanno aperto. Il filo è sottilissimo, ma la risposta stizzita e sprezzante del vero ideologo di al Qaeda, Zawahiri, che ha licenziato Obama come «niente di nuovo» segnala qualche inquietudine per le azioni del presidente «Barack Hussein». E tutto quello che innervosisce al Qaeda è una buona notizia per il resto del mondo, arabi, palestinesi e musulmani per primi.

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