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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - Corriere della Sera - Libero - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
21.04.2009 Ahmadinejad attacca Israele. L'Ue abbandona l'aula
Ad assistere al carnevale antisemita rimane il Vaticano

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera - Libero - La Stampa - La Repubblica
Autore: Fiamma Nirenstein - Fausto Biloslavo - Davide Frattini - Elena Loewenthal - Francesco Battini - Federico Fubini - Francesco Battistini - Andrea Tarquini - Pietro Del Re -Elena Loewenthal - Stefano Magni - Dimitri Buffa
Titolo: «Ahmadinejad, un uomo belva. L’ha capito anche la Ue - La passerella degli ipocriti: Cuba e Libia insegnano i diritti umani - Neutrale o ambigua? La Svizzera perde un posto nel mondo - L’orrore e la rabbia di Wiesel 'Auschwitz, lezione ignorata'»
Europa sbagli. Bisognava tenersi lontani - Non vogliamo fare il bis dell’antipasto dell’11 settembre - L'Italia mette in fuorigioco l'antisemitismo

Durban II : come previsto, la conferenza altro non è che un processo antisemita a Israele. Ci rallegriamo del fatto che, sia pure molto tardivamente, i membri dell'Ue presenti a Ginevra se ne siano resi conto e abbiano abbandonato l'aula in segno di protesta contro le parole di Ahmadinejad. E' rimasto, invece, il rappresentante del Vaticano. Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 21/04/2009, a pag. 1-4, l’ analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo “Ahmadinejad, un uomo belva. L’ha capito anche la Ue “ e quella di Fausto Biloslavo dal titolo “La passerella degli ipocriti: Cuba e Libia insegnano i diritti umani “. Dal CORRIERE della SERA, a pag. 2-3, gli articoli di Davide Frattini titolati “ Ahmadinejad attacca: ‘ Israele razzista. L’Ue lascia l’aula “ e “ L’orrore e la rabbia di Wiesel ‘Auschwitz, lezione ignorata’ “, l’articolo di Federico Fubini dal titolo : “ Neutrale o ambigua? La Svizzera perde un posto nel mondo “, l’intervista di Francesco Battistini a Aaron Appelfeld dal titolo “ Islamofobia e antisemitismo, no ai paragoni “. Da LIBERO, a pag. 6, il commento di Davide Giacalone dal titolo “Canaglia a convegno “. Dalla REPUBBLICA, a pag. 1-25, il commento di Lucio Caracciolo dal titolo “ La provocazione di Teheran”, a pag. 3, l’intervista di Pietro Del Re a Marek Halter dal titolo “Sarkozy non m´ha ascoltato non bisognava partecipare “ e quella di Andrea Tarquini a Elie Wiesel dal titolo “Una trappola contro noi ebrei Italia e Usa lo hanno capito “. Dalla STAMPA, a pag. 3, l’intervista di Elena Loewenthal a Amos Oz dal titolo “Europa sbagli. Bisognava tenersi lontani “. Dall'OPINIONE, l'intervista di Stefano Magni a Fiamma Nirenstein dal titolo " Non vogliamo fare il bis dell’antipasto dell’11 settembre " e l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " L'Italia mette in fuorigioco l'antisemitismo "Ecco gli articoli:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Ahmadinejad, un uomo belva. L’ha capito anche la Ue "


E adesso, per favore, non rientrate in quella sala, rappresentanti della Francia, della Norvegia, dell’Ungheria. Restate fuori dalla trappola antisemita di Durban 2, lasciate per sempre la marea nera delle parole di Ahmadinejad, che in apertura ha di nuovo predicato odio e distruzione. E perdonate, ma l’Italia non può che dirvi oggi: ve l’avevamo detto. E può anche aggiungere: non era facile superare il tabù dell’Onu, la vacca sacra che quando chiama a raccolta esige sempre una risposta conformista, uno scatto sull’attenti in nome della retorica universalista; e qui, l’Onu seguitava a suonare, per chiamare tutti a raccolta, il campanello della battaglia contro il razzismo, una battaglia così importante per tutti noi. Ma noi chi? Era chiaro che per le commissioni che preparavano il documento introduttivo, per i violatori seriali di diritti umani Iran e Libia, il razzismo era una pura scusa, come lo era stato ai tempi di Durban 1. Noi che ci crediamo, che viviamo nelle democrazie, che davvero pensiamo che il diritto e l’integrità morale debbano illuminare la strada, volevamo una conferenza contro il razzismo, condivisa anche dal resto del mondo, ma esso non ci crede. Quel mondo è infatti dominato da dittature e violenza e pratica il razzismo, sia etnico che religioso. L’Italia, però ha avuto coraggio. A Ginevra, che dal tempo del primo diritto internazionale umanitario del 1864 ha lavorato duro a tante convenzioni per aiutare a far luce nel mondo, si stava preparando una conferenza di confusione e di odio, contro Israele e anche contro gli Usa nonostante Obama, come si è visto ieri nel discorso di Ahmadinejad. La conferenza è in realtà, sia chiaro, una fanfara di guerra in favore del terrorismo, quello dell’era nuova di Ahmadinejad. L’Italia ha letto la storia e il presente, e ha compreso che andare a Ginevra era un grosso rischio morale e politico. A Durban 1 i cortei delle Ngo marciavano sotto l’effigie di Bin Laden. Quattro giorni dopo la sua conclusione ci fu l’attacco delle Twin Towers. Questa conferenza di Ginevra è di fatto cominciata domenica con una riunione di Ngo che programmavano un «movimento di resistenza europea» sulle tracce di Hezbollah e di Hamas. Poi, per la parte ufficiale è arrivato Ahmadinejad: a Ginevra come a Durban il programma è ambizioso. Ingenti forze vogliono aprire sotto l’egida dell’Onu una immensa campagna antisemita sullo sfondo della nuova ambizione atomica iraniana, così da fornire il crisma dell’Onu allo scopo di distruggere Israele. La fuoriuscita dell’Italia aveva portato al risultato di un documento di matrice soprattutto olandese che avrebbe potuto, con ancora un po’ di lavoro, essere accettato da tutti se solo l’Europa l’avesse sorretto all’unisono. Il documento non formulava criminali, univoche identificazioni fra Israele e il razzismo, non impediva la libertà di critica alla religione per difendere l’islamismo, non impediva la definizione di omofobia come di un pregiudizio razzista. Se solo l’Europa, che nelle sue assemblee, a Bruxelles, a Strasburgo, spacca il capello in quattro per i diritti umani di ogni minoranza, si fosse schierata compatta dietro il suo documento, forse la conferenza contro il razzismo avrebbe potuto avere luogo in quanto tale, e non sarebbe stato certo un male. Ma l’Europa ha avuto paura: così, da una parte, la recrudescenza delle posizioni della parte islamista o antioccidentale, l’Iran, la Libia, surreali parti diligenti, hanno reso il documento antirazzista impossibile anche per Obama; dall’altra la Francia e l’Inghilterra hanno tremato di fronte alla furia delle banlieue e delle corti islamiche londinesi, hanno pensato al grande giro d’affari con il mondo islamico. La Germania non a caso ce l’ha fatta, alla fine, ad approdare al rifiuto della conferenza: la presidenza Merkel porta buon consiglio, il rapporto con Israele la investe negli imi precordi e questo l’ha salvata. E qui si è compiuta la distruzione dell’illusione che il linguaggio dei diritti umani sia un linguaggio universale. Un importante elemento di speranza, si trova, ironia della sorte, nella coraggiosa decisione delle delegazioni giordana e marocchina, di uscire assieme ai Paesi europei. Una decisione anch’essa frutto di una paura, quella nei confronti di Teheran, questa sì profonda e motivata.

Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " La passerella degli ipocriti: Cuba e Libia insegnano i diritti umani "

L’ambasciatrice libica che toglie la parola alla vittima delle torture o il rappresentante cubano che a suo tempo si era rifiutato di condannare Saddam quando «gasava» i curdi. Per non parlare dei sudanesi che lavorano dietro le quinte contro i tribunali delle stesse Nazioni Unite e il presidente di un’organizzazione non governativa palestinese accusato di collegamento con i terroristi. Durban II è un festival di gaffe, ipocrisie e personaggi impresentabili. Una conferenza dominata da paesi che fanno a pugni con i principi di libertà e diritti umani. Najjat al Hajjaji è la belloccia ambasciatrice libica, con un filo di trucco e senza velo, che presiede il Comitato preparatorio del vertice sul razzismo. Venerdì scorso, mentre si rappezzava all’ultimo minuto la bozza del testo finale della conferenza, ha superato se stessa. Durante le testimonianze di violazioni dei diritti umani ha preso la parola il medico palestinese Ashraf Ahmed El-Hojouj. Il poveretto era stato torturato, condannato a morte e sbattuto in una galera libica per anni assieme a cinque infermiere libiche con l’infondata accusa di aver infettato dei bimbi con l’Aids. I malcapitati erano il capro espiatorio che copriva le mancanze della sanità locale. Dopo anni sono stati liberati in cambio dell’intervento, anche finanziario, europeo. Lo stesso figlio del colonnello Gheddafi aveva fatto capire che erano innocenti. L’ambasciatrice al Hajjaji, invece, ha subito provato a togliere la parola alla povera vittima. Il poveretto seviziato dagli sgherri libici ha cercato ogni volta di riprendere il discorso. Alla terza interruzione e con l’accusa di «uscire dal tema» (i diritti umani) l’ambasciatrice ha passato la parola nientemeno che al delegato libico censurando la denuncia. Presidente del Consiglio per i diritti umani, uno delle costole dell’Onu, che di più si è battuta per Durban II, è invece dallo scorso anno il cubano Miguel Alfonso Martinez. Un campione dei diritti umani: fin dal 1988 era riuscito a boicottare una mozione di condanna contro Saddam Hussein che aveva appena sterminato col gas 5mila curdi a Halabja. Non a caso soprattutto i rappresentanti cubani si sono battuti per limare il più possibile i riferimenti nel testo finale all’inalienabile «libertà di espressione e opinione». La Siria ha invece spalleggiato l’Iran che voleva togliere del tutto la condanna dello sterminio degli ebrei. Il delegato di Damasco ha fatto presente che «non è chiaro quale sia l’esatto numero di ebrei uccisi nell'Olocausto». Un ruolo discreto, ma altrettanto sporco, lo ha giocato il Sudan. Omar al Bashir, presidente del Paese, è rincorso da un mandato di cattura internazionale della Corte penale, istituita dall’Onu, per i crimini di guerra in Darfur. Nonostante l’imbarazzante situazione è un ministro sudanese, Abdalmahmood Abdalhaleem Mohamad, che presiede da gennaio il potente Gruppo 77. Si tratta di un cartello di paesi del sud del mondo, che influenza pesantemente l’assemblea dell’Onu. I sudanesi sono riusciti a far cancellare il nome della Corte penale sulla bozza della Conferenza di Ginevra. Alla fine è rimasto solo un riferimento generico ai tribunali internazionali. Non basta. Le iscrizioni alla Conferenza delle organizzazioni non governative ebraiche casi sono state in qualche caso respinte. La palestinese Al Haq, invece, non ha avuto problemi. Peccato che il suo capoccia, Shawan Jabarin, sia sulla lista nera degli israeliani come “veterano” del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, considerata da molti un’organizzazione terroristica.

La REPUBBLICA - Lucio Caracciolo : " La provocazione di Teheran ". Secondo Caracciolo Ahmadinejad ha voluto sfruttare l'"indignazione" per il "comportamento" delle truppe israeliane a Gaza. Sarebbe stato più esatto un riferimento alle menzogne della propaganda, che hanno descritto come criminale una guerra difensiva condotta con la massima attenzione a minimizzare le vittime civili.

Obama è nei guai. L´uomo cui aveva appena teso la mano per ricucire dopo trent´anni i rapporti Usa-Iran, sperando che lo aiutasse a sganciarsi onorevolmente dall´Iraq e dall´Afghanistan, ha festeggiato a suo modo il centoventesimo compleanno di Adolf Hitler. Mahmud Ahmadinejad ha rubato la scena alla conferenza Onu di Ginevra con una tirata contro il "governo razzista" (leggi: Israele) che i vincitori della seconda guerra mondiale avrebbero imposto alla "Palestina occupata". Una provocazione mirata, con cui il presidente della Repubblica Islamica intendeva cogliere almeno tre obiettivi. Primo, sfruttare l´"effetto Gaza", l´indignazione della piazza islamica (e non solo) per il comportamento delle truppe israeliane durante la recente campagna militare, che ha portato la popolarità dello Stato ebraico nel mondo ai minimi di sempre. Secondo, volgere il summit delle Nazioni Unite in spot gratuito ad uso domestico per la sua rielezione alla presidenza dell´Iran, nel voto di giugno. Terzo, chiarire agli americani e agli europei che nella partita del nucleare iraniano è lui a guidare le danze, giacché sono loro a trovarsi in stato di necessità. Per conseguenza, sarà lui a dettare il tono e a creare l´atmosfera del negoziato, se mai decollerà. Ahmadinejad ha ottenuto ciò che desiderava. Il consenso di buona parte dei delegati, che hanno applaudito la sua invettiva contro «gli Stati occidentali rimasti in silenzio di fronte ai crimini di Israele a Gaza». La divisione del campo occidentale, visto che inizialmente solo la classica famiglia anglosassone in versione ridotta (Stati Uniti, Australia, Canada, Nuova Zelanda) più quattro Stati europei (Olanda, Italia, Polonia e Germania) ha seguito Israele nel boicottaggio di "Durban 2", assemblea prevedibilmente indirizzata sulle orme antisemite di "Durban 1". Sicché diversi delegati occidentali erano in aula quando il presidente iraniano è salito sul palco, con il preciso intento di costringerli a un poco glorioso abbandono alla prima salva contro Israele. Ma alla maggioranza degli europei questo non pare ancora sufficiente per tornarsene a casa. Non che Ahmadinejad abbia detto alcunché nuovo. Come la pensi sull´Olocausto e sull´"entità sionista" è stranoto. Gli occidentali e tutti coloro che non condividono le sue tesi, a cominciare ovviamente dagli israeliani, avevano avuto tutto il tempo per concordare una risposta comune, all´altezza della sfida. Boicottando in massa la conferenza - con tanti saluti all´Onu, che consapevolmente si prestava a scatenare la grancassa anti-israeliana e anti-occidentale - o accettando tutti insieme il contraddittorio. Né l´uno né l´altro. Il leader iraniano li ha divisi e infilzati a fil di spada, uno per uno. E a margine, ha contribuito all´ennesimo round fra mondo ebraico e Vaticano, con la Santa Sede sotto accusa per non essersi sottratta alla "conferenza dell´odio", cui continua a partecipare: il nunzio non ha neanche abbandonato la sala quando il leader iraniano ha iniziato ad attaccare Israele. Con studiata perfidia - esibendo sangue freddo e notevole abilità politica - Ahmadinejad ha lasciato cadere a margine del suo comizio una maliziosa apertura a Obama. Assicurando di "accogliere positivamente" la svolta Usa verso l´Iran, di puntare solo al nucleare civile e di rifiutare quello militare. In attesa di "fatti concreti" da parte americana, ha rimandato la palla nel campo avversario. Ora Obama deve scegliere. O persiste a cercare il dialogo, malgrado tutto, per districare il suo paese dall´imbroglio mediorientale in cui l´ha ficcato Bush, ciò che è impossibile senza un´intesa con l´Iran. O smentisce se stesso, dimostrando di non avere una rotta, per evitare una gravissima crisi con Israele. Con la sua provocazione, Ahmadinejad ha messo Obama con le spalle al muro. E noi europei con lui, per quel poco che contiamo. Soprattutto, rischia di portare in superficie il profondo dissidio fra Usa e Israele su come trattare l´Iran, finora tenuto in sordina in nome della profonda, intima amicizia fra i due popoli e i due Stati. Per Netanyahu e Lieberman le avances della Casa Bianca al regime dei pasdaran sono anatema. I militari israeliani sono pronti a colpire obiettivi iraniani, se Teheran si avvicinerà irrevocabilmente alla soglia della bomba atomica. Molti fra loro pensano l´abbia già fatto. Pare che il Mossad consideri la politica mediorientale di Obama un pericolo per la sicurezza di Israele e lo abbia fatto sapere al governo. Gerusalemme, se necessario, farà da sola. Mirando al cuore del programma iraniano, sempre che di cuori non ve ne siano troppi per la sola aviazione israeliana. Ma in caso di attacco israeliano ai siti nucleari persiani, il dilemma di Obama non sarà più tra vellicare Ahmadinejad o rassicurare Netanyahu. Sarà tra assistere all´incendio del Medio Oriente o intervenire al fianco di Israele per difenderlo dalle rappresaglie iraniane e islamiste. Dichiarando guerra al paese cui ha appena offerto un clamoroso segno di pace.

CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Ahmadinejad attacca «Israele razzista»

L’Ue lascia l’aula " GINEVRA — I ventitré di­plomatici europei escono in fila. I ragazzi mascherati da pagliacci, parrucche multico­lore, entrano in scena. Il naso finto lanciato verso il podio non ferma Mahmoud Ahma­dinejad, un punto rosso sulla sua giacca grigia. Il presiden­te iraniano va avanti a parla­re, ripete le frasi che hanno provocato l’esodo e la prote­sta di un’organizzazione di studenti ebrei francesi. «Gli alleati, dopo la Seconda guer­ra mondiale, hanno mandato emigranti per istituire un go­verno totalmente razzista nel­la Palestina occupata. Con il pretesto delle sofferenze de­gli ebrei e per le conseguenze del razzismo in Europa, han­no installato al potere uno dei più crudeli e repressivi re­gimi razzisti». Avrebbe dovuto parlare set­te minuti, il discorso è durato mezz’ora. Ban Ki-moon, se­gretario generale delle Nazio­ni Unite, lo aveva incontrato poche ore prima e lo aveva pregato di non danneggiare una conferenza che aveva già perso pezzi e delegati prima ancora di cominciare. Alla fi­ne della prima giornata, può solo dire: «Un singolo Stato si è permesso di creare una si­tuazione inaccettabile». Ahmadinejad ha attaccato anche il Consiglio di sicurez­za dell’Onu: «Ha sostenuto negli ultimi 60 anni l’occupa­zione del regime sionista e gli ha dato piena libertà di com­mettere qualsiasi crimine. Dobbiamo sforzarci di mette­re fine a questi abusi». Fars, l’agenzia d’informazione fi­lo- governativa, ha esaltato l’intervento come un succes­so e ha messo in evidenza gli applausi che hanno accompa­gnato le parole del presidente iraniano. Il sostegno dei dele­gati avrebbe «sventato il com­plotto per insultarlo e distur­barlo ». Gli Stati Uniti, che hanno deciso di disertare il vertice a Ginevra, condannano la «ter­ribile retorica, vile e odiosa». Lasciano aperta la possibilità del dialogo: «Ma l’Iran deve compiere un certo numero di passi per rientrare nelle gra­zie della comunità internazio­nale », ha detto Robert Wood, portavoce del Dipartimento di Stato. La Repubblica Ceca, presidente di turno dell’Unio­ne Europea, ha deciso di la­sciare «definitivamente» i la­vori della Conferenza sul raz­zismo e Nicolas Sarkozy ha esortato l’Europa a dare pro­va di fermezza. L’Ue non ha ancora una li­nea compatta sul vertice, orga­nizzato a otto anni dal primo summit di Durban, in Sudafri­ca. I Paesi che hanno scelto di boicottarlo (Italia, Germania, Polonia, Olanda) hanno visto i proclami di Ahmadinejad co­me la conferma della decisio­ne. «Fin dall’inizio non abbia­mo voluto partecipare a un evento che avrebbe potuto tra­sformarsi in una cattiva op­portunità per incitare all’odio anti-israeliano», ha commen­tato Franco Frattini, ministro degli Esteri italiano. La delegazione della Santa Sede ha deciso di restare a Durban II. «Ahmadinejad usa frasi estremiste e inaccettabi­li. Ma partecipiamo ai lavori — ha spiegato padre Federi­co Lombardi, direttore della sala stampa vaticana — per continuare ad affermare con chiarezza il rispetto della di­gnità della persona umana contro ogni razzismo e intol­leranza ». E Monsignor Silva­no Tomasi, osservatore pres­so l’Onu, ribadisce: «Nel di­battito che si svolge nel conte­sto della comunità internazio­nale ci sono delle opinioni qualche volta radicali che non possono essere condivi­se, ma che è necessario ascol­tare perché è questo l’ambien­te e la natura delle Nazioni Unite. Con altri Paesi europei, tutti i Paesi dell’America Lati­na, con la totalità dei Paesi africani e asiatici, abbiamo voluto restare nella sala per affermare questo diritto alla libertà d’espressione». Benyamin Netanyahu, pri­mo ministro israeliano, ha de­finito la conferenza «il festi­val dell’odio». Lo Stato ebrai­co ha deciso di richiamare «per consultazioni» l’amba­sciatore in Svizzera, dopo l’in­contro tra Ahmadinejad e Hans Rudolf Merz, presiden­te della Confederazione elveti­ca.

CORRIERE della SERA - Federico Fubini : " Neutrale o ambigua? La Svizzera perde un posto nel mondo "

Ogni nazione ha i suoi segni di riconoscimento e quello della Svizzera era il servizio riservato ai suoi banchieri: all’estero, si sentivano gli emissari di una superpotenza. A Marcel Ospel, il capo di Ubs, l’Fbi offriva un autista con licenza di infrangere qualunque regola del traffico di Washington. E a Tokio i funzionari del ministero delle Finanze, prima di andare in pensione, lasciavano ai successori pagine di appun­ti su come andasse trattato un cer­to banchiere di Crédit Suisse in visi­ta: ama il sushi, va a letto presto, evita le cravatte rosse. Tutto succedeva in un’altra epo­ca, due anni fa. Oggi quel concen­trato di valori elvetici che le ban­che portavano in giro come una bandiera, l’integrità, la prudenza, l’affidabilità, sembra capovolto nel­la sua nemesi. La Svizzera ha smarrito la busso­la che le faceva trovare a colpo sicu­ro il suo posto nel mondo. E non pesa solo la sconfitta cocente delle sue banche, che si erano illuse di poter essere elvetiche ed america­ne ad un tempo. Perché, appunto, non è unicamente una questione di finanza ma di identità: la sequen­za delle ultime ore, nella sua goffag­gine, lo mette fin troppo crudel­mente in luce. Domenica sera il presidente di turno della Confederazione, Hans-Rudolf Merz, incontrava a tu per tu il suo «collega» di Teheran, Mahmoud Ahmadinejad. Si ignora cosa avessero da dirsi l’ex boy scout del cantone di Appenzell e l’ex volontario dei Basij, i corpi pa­ramilitari della rivoluzione khomei­nista. Certo non avranno parlato degli omicidi politici in Svizzera di oppositori iraniani fra l’87 e il ’90, per cui sono accusati i servizi segre­ti di Teheran. Comunque sia meno di ventiquattr’ore più tardi Berna era già sulla posizione opposta: il ministro degli Esteri Micheline Cal­my- Rey si è rifiutata di assistere al discorso di Ahmadinejad alla confe­renza di Durban-2 a Ginevra. «I due eventi non sono paragona­bili — si difende Paul Seger, capo del dipartimento Diritto internazio­nale al ministero degli Esteri —. Il primo era un bilaterale chiesto da­gli iraniani, il secondo era un multi­laterale ». Conta sì la neutralità della Confederazione, quella che risale al Congresso di Vienna del 1815 e per decenni ha fatto comodo a tutti. La Svizzera per esempio sbriga gli affa­ri di Washington in capitali indige­ste come Teheran o all’Havana. Se­ger, tagliente, ricorda che di un’am­basciatrice svizzera si è servita persi­no l’Ue mesi fa per intercedere fra Georgia e Russia in piena guerra. Ma proprio quell’eccezionalismo alpino ora rischia di rivoltarsi contro i suoi titolari in un mondo multipolare e in recessione. Diamanti nel dentifricio e altri piccoli segreti delle banche svizzere per permettere ai suoi clienti di evadere il fisco, sono stati diffusi in diretta in tutto il mondo. Berna è finita sulla «lista grigia» del G20 e dell’Ocse dei paradisi fiscali da riformare, quasi fosse uno Stato canaglia della finanza. E nessuno che sia disposto a spezzare una lancia per lei: «Siamo presi di mira con più violenza perché non facciamo parte di nessun quadro di alleanze», dice Seger. L’alternativa, per la Svizzera, sarebbe ora voltare pagina, dichiara­re superato il Congresso di Vienna e entrare nell’Ue. Ma secoli di orgo­glio non si dissolvono in pochi me­si: Konrad Hummler, presidente dei banchieri privati del Paese, ha replicato duro agli attacchi del G20: «Ci accusano per distogliere l’attenzione dai loro problemi».

CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " L’orrore e la rabbia di Wiesel «Auschwitz, lezione ignorata» "

GINEVRA — La fossa di Bo­gdanovka contiene oltre 40mi­la cadaveri. I corpi sono stati ri­trovati, i proiettili identificati e archiviati. Balistica dell’Olo­causto. Padre Patrick Desbois ha scoperto altre 850 voragini dell’orrore, tra la Bielorussia e l’Ucraina. Questo prete di cin­quantaquattro anni tiene i rap­porti con la comunità ebraica per i vescovi di Francia e con l’associazione Yahad-In Unum (Insieme) viaggia nell’Est per scovare le fosse che hanno ac­cumunato nella morte ebrei e zingari. «Perché lo faccio?», chiede dal palco. «Sono stati uccisi come degli animali e seppelliti come delle bestie. Voglio ridare loro la dignità e la possibilità di ricevere un kaddish». La preghiera per il lutto ri­suona anche qui, quando il tra­monto segna l’inizio di Yom HaShoah, il giorno dell’Olocau­sto. Le parole si intrecciano con la musica klezmer, i di­scorsi con la luce della fiamma della memoria. Senza applau­si. Come in Israele dove i cana­li televisivi si spengono per ventiquattr’ore e si accendono le candele. Mahmoud Ahmadinejad, presidente iraniano, ha parla­to nel palazzo di fronte. Le ban­diere sventolano sulla piazza delle Nazioni. Ognuna per un Paese, ognuna per quei «citta­dini del mondo», che vengono evocati da Irwin Cotler, ex mi­nistro della Giustizia canade­se. «È nostra responsabilità da­re voce a chi non ce l’ha, pote­re a chi non lo detiene: donne vittime delle violenze o un bambino brutalizzato, i più vulnerabili dei vulnerabili». Eppure — dice l’avvocato che ha difeso Nelson Mandela e Andrei Sakharov — in questi giorni «stiamo assistendo an­cora una volta all’incitamento, decretato da uno Stato, al­l’odio e al genocidio. L’epicen­tro è l’Iran di Ahmadinejad: ne­ga l’Olocausto e ne invoca uno in Medio Oriente. E’ anche un assalto alla carta dell’Onu». Elie Wiesel, premio Nobel per la pace, sopravvissuto al­l’Olocausto, definisce Ahmadi­nejad «primo negazionista al mondo». «È una vergogna per le Nazioni Unite, per la diplo­mazia, per l’umanità intera. L’Onu ha commesso un erro­re, gli ha permesso di dettare la linea a tutta la conferenza con il discorso di apertura». Dal podio, Wiesel ricorda per­ché continuare a ricordare: «Se avessimo imparato la lezio­ne, non ci sarebbero stati i campi della Cambogia, il Ruan­da o il Darfur. Neppure Au­schwitz è riuscito a guarire il mondo dal male antico dell’an­tisemitismo ». La fatica di ricor­dare. «Avrei tutte le ragioni di dire: ho pagato quello che ho pagato. Adesso voglio mangia­re il pane, bere il vino, amare le belle donne. Lasciatemi tran­quillo. Ma bisogna rimanere attaccati a questa memoria». La cerimonia si chiude con le parole di Bernard-Henri Lévy. L’intellettuale francese invita a non cadere nella trap­pola di un concetto «vuoto di sofferenza»: «Dove si possono infilare un incidente, l’Olocau­sto, il genocidio dei Tutsi, un omicidio dall’altra parte della strada. Ogni violazione dei di­ritti umani dev’essere analizza­ta e sviscerata da sola».

LIBERO - Davide Giacalone : " Canaglia a convegno "

Da troppo tempo, alle Nazioni Unite, non solo si parla, ma si lascia che a guidare le politiche contro il razzismo siano regimi che opprimono popoli interi. Che a dettare legge sui diritti umani siano soggetti che li negano ai propri cittadini. Il fallimento della conferenza ginevrina, da questo punto di vista, potrebbe essere un ottimo punto di partenza: basta, finiamola di credere che i dittatori siano politicamente, istituzionalmente e moralmente equiparabili alle democrazie. E smettiamola anche con l’odioso ed appiccicoso relativismo: le democrazie sono sistemi istituzionali migliori. Imperfetti quanto volete, ma superiori ad ogni altra organizzazione statuale.Il governo italiano ha fatto benissimo a disertare le sale di Ginevra, come deciso anche da israeliani, statunitensi, canadesi ed australiani. Come, sia pure in ritardo, hanno voluto fare anche olandesi e tedeschi. Francesi ed inglesi, invece, hanno sbagliato, con il risultato di dovere abbandonare la sala quando il solito Ahmadinejad ha pronunciato parole prevedibili, scontate, mortalmente monotone. Anzi, ieri è stato anche moderato, perché solitamente promette la cancellazione d’Israele dalla carta geografica, aggiungendo che gli iraniani hanno il diritto di dotarsi della tecnologia atomica. Con gente di tal fatta, con regimi spietati ed aggressivi, non ci si siede a parlare di razzismo e di diritti umani. Li si combatte. Con le buone o con le cattive, e la seconda opzione non deve far paura, perché di spaventoso c’è solo che vadano avanti.Diranno, i soliti luogocomunisti: e che fine fanno il dialogo, la convivenza, il rispetto della diversità? Si buttano. Perché quella è roba positiva, anzi vitale, fra popoli e governi che riconoscono ed applicano la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Mentre non sento affatto il bisogno di farmi spiegare i valori della famiglia da chi fucila due adulti che si suppone siano adulteri. Non mi faccio spiegare le politiche contro il razzismo da chi impicca gli omosessuali. Non ammetto che a dire qualche cosa di sensato sui diritti delle minoranze siano cubani che mettono in lager tropicali gli scrittori ed i poeti. Oltre agli omosessuali, perché le dittature hanno questo in comune: il fallo nel cervello.E vado oltre: il mio dovere di uomo libero non è quello di dialogare con questi dittatori, bensì quello di essere al fianco di chi vuole liberarsene. E non basta: il mio dovere è anche quello di battermi per un mondo in cui non vi sia discriminazione, né per razza (l’unica che esiste è quella degli imbecilli, equidistribuiti per colore), né per idee politiche, né per religione. C’è un solo mondo in cui questo è possibile: le democrazie e lo Stato laico. Pertanto, se qualcuno se la prende con un immigrato, perché islamico, io sono al fianco di questo ospite, cui intendo garantire ogni diritto, posto che gli chiederò di rispettare le nostre leggi. Ma se, come capita più spesso, i regimi islamici puniscono, anche con la morte, chi si converte ad altre religioni, o rendono impossibile costruire luoghi di culto diversi, allora mi scaglierò contro quelli. E quando mi accuseranno d’islamofobia, com’è capitato, ne trarrò una ragione in più per insistere, giacché è nella mia parte del mondo che molti cominciano a non sapere più cos’è la libertà e quanto vale. Si credono “aperti”, invece sono ciechi.Quando i neri del Sud Africa chiedevano la fine della segregazione, eravamo al loro fianco. Quando il governo di quel Paese, in mano ai neri, impedisce l’ingresso a stranieri che disturbano i cinesi, con i quali sono in affari, noi siamo contro di loro. Che siano neri o gialli non me ne importa nulla, perché, appunto, non siamo razzisti. Ma se pensano d’intortarci con il vittimismo dell’islamico o del nero perseguitato, occorre saper rispondere. Molto spesso, all’Onu, non ne sono stati capaci. Così abbiamo accettato che criminali e torturatori ci dicessero la loro, con il ditino alzato. Era ora di finirla. Ginevra è un buon inizio.

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Islamofobia e antisemitismo, no ai paragoni "

GERUSALEMME — Niente gli ser­ve alla memoria più del tinello, nel quartiere di Rehavia: «Non vado mai al­le cerimonie sulla Shoah». Nulla gli va d’aggiungere più di quel che ha raccon­tato: «La mia storia è nei romanzi, non nei telegiornali». E non c’è Ahmadi­nejad che cambi quel che vide, visse, già sa: «È molto triste che abbiano scel­to questa data, per Durban II. Ma l’han­no fatto apposta? Qui in Israele, cele­briamo la Giornata della memoria. E in Svizzera si riuniscono persone che negano la nostra memoria. È il contra­rio del contrario. Il bianco che diventa nero. La bugia, verità. L’Olocausto che diventa dubbio. Gli ebrei che diventa­no gli assassini. Le vittime delle leggi razziali, i razzisti». Aharon Appelfeld conosce l’inganno della storia — «se i vagoni sono così sporchi, significa che non si andrà lontano», dice a fine ro­manzo il dottor Pappenheim, uno dei suoi ebrei borghesi, mentre parte igna­ro per l’abisso — e a 77 anni ha il parla­re pacato di chi perse la mamma e, bambino, scappò dal lager, campò da solo nei boschi, crebbe in un gruppo di banditi, visse fra prostitute a cui, cir­conciso, seppe nascondere l’ebraicità. Non s’impressiona granché, insomma: «Tutto questo non mi fa male come ebreo, ma come uomo che vede nega­re la verità. O come europeo, perché io nasco romeno, che nel cuore d’Europa vede Ahmadinejad libero di parlare in quel modo. In me vive la cultura euro­pea ed è questa cultura che oggi mi fa vergognare». Dopo Ginevra, è un errore cercare il dialogo con l’Iran negazionista? «Non ho mai pensato che l’Iran cer­casse il dialogo, neanche minimo. Ve­do una continua volontà di sollevare l’Islam. La loro potenza nucleare è sem­pre lì. Pensano tutto il giorno a come odiarci, distruggerci, ricacciarci in Eu­ropa ». Ban Ki-moon, segretario Onu, ha detto che c’è l’antisemitismo, ma an­che l’islamofobia. Il parallelo la con­vince? «L’islamofobia esiste. E ci sono casi di razzismo verso i musulmani. Ma le due cose non sono paragonabili. Fra il ’39 e il ’45, fu un razzismo totale. Moriva chiunque fosse ebreo. Non ave­vi altra salvezza che trovare qualche Giusto. I musulmani hanno terre, pa­trie, governi». E chi paragona la durezza della sharia islamica alla violenza delle leg­gi razziali? «La base della violenza d’uno Stato è l’incapacità d’accettare una cosa di­versa. Ma non si possono paragonare due cose malvagie. Il male va visto nel suo contesto specifico». Ma anche la dichiarazione di fedel­tà alle «radici ebraiche», che l’attua­le governo vorrebbe chiedere agli ara­bi israeliani, non è una sottile forma d’intolleranza? «Il paragone non funziona. Ognu­no deve vivere come vuole, certo. E gli arabi vivano come arabi: noi ebrei siamo figli della libertà, il nostro po­polo nasce con la liberazione da una schiavitù, per noi la libertà è il valore superiore. In Israele c’è gente con una visione molto estremista, che io non condivido. Ma siamo pur sempre nel­la dialettica politica. L’intolleranza è un’altra cosa». A Durban II, il Vaticano c’era. E il Papa, che fra tre settimane verrà qui, ha pure benedetto la conferenza... «Non so quale sia la ragione di que­sta scelta. Le personalità pubbliche do­vrebbero saper distinguere il bene dal male. Però non ho mai pensato che Be­nedetto XVI parli in chiave antisemiti­ca. Vedo che la Chiesa e le maggiori istituzioni ebraiche cercano sempre il dialogo». Da sopravvissuto: la Shoah, oltre che nelle cerimonie, non andrebbe ri­cordata con l’aiuto quotidiano? Spes­so, chi è scampato al lager, non scam­pa alla miseria... È molto triste come Israele tratta i suoi superstiti: pensioni da fame, a vol­te neanche quelle. La colpa è dei gover­ni che hanno ricevuto molti soldi dal­l’Europa, ma non li hanno distribuiti equamente. Sono d’accordo: il negazio­nismo si combatte anche con la giusti­zia sociale».

La REPUBBLICA - Pietro Del Re : " Sarkozy non m´ha ascoltato non bisognava partecipare "

«Al presidente Sarkozy avevo sconsigliato di andare a Ginevra, ma lui m´ha ascoltato solo a metà», dice lo scrittore francese Marek Halter, che da un mese fa campagna per boicottare Durban 2, come fece nel 1978 contro il Mundial nell´Argentina della giunta militare e, due anni dopo, contro i Giochi Olimpici nella Mosca sovietica. Figlio di una poetessa yiddish e di un tipografo, questo intellettuale engagé si oppone da decenni alle derive del razzismo e dell´antisemitismo. Marek Halter, che cosa ha detto a Nicolas Sarkozy? «Che non si deve partecipare a una conferenza organizzata da paesi anti-democratici, che è presieduta dalla Libia e alla quale è stato invitato anche quel presidente sudanese perseguito dal Tribunale internazionale. Gli ho anche detto che non dobbiamo subire la legge di coloro che vogliono riportarci all´epoca della schiavitù. Il presidente m´ha risposto: "Non possiamo mancare perché gli altri andranno". Alla fine, però, ha mandato solo il suo ambasciatore all´Onu». L´opzione francese non la soddisfa, dunque? «No, perché è una sorta di compromesso. E i compromessi si possono raggiungere su questioni economiche. Ma non è lecito farlo su fatti essenziali, quali i diritti dell´uomo, la giustizia o la riconoscenza del diverso da sé». Secondo lei, era prevedibile la sparata di Ahmadinejad? «Il problema con Ahmadinejad è che non mi sembra disponibile al dialogo. Se accettasse di discutere con me, gli direi che cosa penso della condizione delle donne in Iran e delle quotidiane impiccagioni nelle piazze del suo paese». Non le sembra che l´abbandono della sala da parte degli esponenti dell´Ue sia stato un segnale forte? «Sì, è necessario che i cittadini iraniani, cinesi, russi e di tutti i paesi in cui i diritti umani sono calpestati vedano che la sala si svuota quando i loro leader salgono in cattedra. Oggi, grazie a internet chiunque può assistere a quanto accade a migliaia di chilometri da casa, che si trovi in Siberia o in Arabia Saudita». Come giudica la posizione del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, il quale ha prima deplorato l´assenza di alcuni paesi, e poi le dichiarazioni del leader iraniano? «La sua è una posizione particolare, poiché esiste il presupposto che tutti i paesi del mondo debbano far parte dell´Onu: i buoni e i cattivi. È necessario che questa platea esista. Nell´antica agorà ateniese non c´erano solo persone per bene: c´erano anche tanti mascalzoni».

La STAMPA - Elena Loewenthal : " Europa sbagli. Bisognava tenersi lontani "

Mentre a Ginevra si apre la discutibile e contestata conferenza Onu sul razzismo, in Israele cade lo Yom ha-Shoah. Il giorno della memoria qui è tutt’altra cosa che quell’esuberanza mediatica con cui siamo ormai abituati a ricordare, in Europa. È piuttosto, un giorno dal silenzio invadente, tremendo - interrotto soltanto dall’interminabile minuto di sirena che ferma tutto il paese. Anche Amos Oz quest’oggi sembra preda di un’afasia avara in cui le parole portano un peso tutto diverso da quello che hanno di solito. Stenta quasi a parlare, e la distanza geografica che separa l’Europa da Arad, la cittadina nel deserto dove lo scrittore vive, pare quasi insormontabile. Quest’oggi, insomma, Amos Oz invoca a chiare lettere il silenzio, con ogni sua parola. Lo chiama come unica alternativa politica, ma prima ancora in quanto scelta morale, di fronte a ciò che sta avvenendo a Ginevra. E modera attentamente le proprie parole... «Non ho sentito direttamente le frasi con cui il Papa ha salutato il (sedicente) vertice sul razzismo, quasi a titolo di benedizione. Non mi pare opportuno esprimermi in proposito, sulla base soltanto di un sentito dire». Come interpreta l’onore della precedenza che è stata riservata ad Ahmadinejad sul palco di Ginevra, quasi ad aprire i lavori del summit? «La penso così: Ahmadinejad nega la Shoah, l’ha negata in passato e lo fa ancora oggi, per la semplice ragione che ne vuole un’altra. La auspica e va in quella direzione». La frase è lapidaria, e ha un valore aggiunto di pregnanza, quest’oggi in cui cade in Israele il giorno della memoria. Nelle parole di Amos Oz si avverte il senso profondo, quasi inesprimibile della parola ebraica per dire lo sterminio nazista. Shoah significa infatti «catastrofe», un cataclisma umano capace di sovvertire tutto. E che cosa ne dice dell’Europa, in questo frangente? Quell’Europa unita che non è stata in grado di formulare una posizione comune? Come vede, da Israele, questa posizione così instabile, con alcuni paesi che hanno deciso di non andare a Ginevra e altri di partecipare? «Penso che nessuno avrebbe dovuto partecipare a questa conferenza, con questi presupposti. Non bisognerebbe essere lì, adesso. È profondamente sbagliato. Chi ha deciso di partecipare è spinto da un’intenzione non buona. È sbagliato esserci, ripeto. È stato giusto, per chi l’ha fatto, tenersi lontani da quei propositi e quei toni». Non si tratta dunque, per Amos Oz, di «boicottare» la conferenza. Il suo rifiuto è più profondo e sofferto di qualsivoglia strategia politica: invoca un silenzio che non è comoda assenza, bensì una ferma presa di posizione, di fronte al peso delle parole che a Ginevra sono state ancora una volta ripetute.

La REPUBBLICA - Andrea Tarquini : " Una trappola contro noi ebrei Italia e Usa lo hanno capito "

BERLINO - «Bravi italiani, bravi tedeschi, bravi olandesi e americani. Hanno fatto bene a non andare a Ginevra, è stata la scelta giusta. Chi ci è andato, dalla Francia al Regno Unito alla Santa Sede, dovrebbe riflettere sul grave errore che ha commesso, anche se poi i loro delegati si sono alzati e se ne sono andati via quando Ahmadinejad ha parlato». Così parla Elie Wiesel, premio Nobel per la pace, sopravvissuto ad Auschwitz e grande voce della coscienza morale della cultura ebraica e dell´Occidente. Professor Wiesel, l´Europa si è divisa: Italia, Germania, Olanda, Polonia assenti da "Durban 2" come gli Usa, Francia e Regno Unito presenti. Chi ha fatto la scelta giusta? «Voi italiani, i tedeschi, gli americani, tutti quelli che hanno scelto di non andare. Questa conferenza è troppo simile a Durban 1, quella che si tenne nel 2001. Avrebbe dovuto essere una conferenza contro l´odio, è diventata una conferenza per l´odio. C´è troppo odio, tutto solo contro Israele, come fu a Durban. E poi sentire Ahmadinejad. Discorso inaugurale! E´ stato assurdo e indecente, si è confermato come il negazionista numero uno del mondo». Parigi e Londra forse hanno pensato che partecipando possono far sentire la loro voce? «Illusioni. E non basta alzarsi e uscire dalla sala quando Ahmadinejad pronuncia i suoi insulti al mondo civile, alla diplomazia, al senso dello Stato e a ogni principio decente. Partecipare significa partecipare. E che diranno del comunicato finale? Comunque per i media e la propaganda del regime iraniano la partecipazione britannica, francese, di altri, è un gran bel regalo». Ha partecipato anche la Santa Sede. Che ne dice? «Penso che abbia fatto un errore, lo dico in nome della coscienza e della morale, spero che riflettano. Il discorso di Ahmadinejad è stato troppo immorale, e tutti sapevano che non ci si poteva aspettare altro». L´Europa si è mostrata divisa: italiani, tedeschi, olandesi per il no, Parigi e Londra, potenze atomiche, presenti. Che ne dice? «I tedeschi e gli italiani hanno mostrato di saper fare i conti col passato. Hanno dato la priorità alla morale». Le Nazioni Unite che figura ci fanno? «Questa conferenza nasce solo da una commissione dell´Onu, non dall´Onu. Ma Ahmadinejad col suo discorso ha gettato vergogna sull´Onu e su tutto il mondo civile».

L'OPINIONE - Stefano Magni : " Non vogliamo fare il bis dell’antipasto dell’11 settembre "

L’Italia ha anticipato l’inevitabile. Decidendo di non partecipare alla conferenza internazionale contro il razzismo a Ginevra (detta Durban2), il ministro degli Esteri Franco Frattini ha evitato di alzarsi dalla propria sedia e abbandonare i lavori, come hanno fatto ieri i rappresentanti di 23 i Paesi dell’Unione Europea, o di attendere fino all’ultimo prima di annunciare la propria intenzione di non partecipare, come hanno fatto Olanda, Germania e Polonia. Il colpo di grazia, anche per i rappresentanti europei più “pazienti”, è arrivato con il discorso di Mahmoud Ahmadinejad. Lo avevano avvertito che, in caso di discorsi contro Israele, la platea europea si sarebbe ribellata. Non ha mai nominato lo Stato ebraico, ma come certi presentatori Rai degli anni ‘50 e ‘60, ha usato giri di parole per pronunciare l’impronunciabile: “Dopo la fine della Seconda guerra mondiale - ha detto dal palco di Ginevra - gli Alleati sono ricorsi all'aggressione militare per privare della terra un'intera nazione, sotto il pretesto della sofferenza degli ebrei. Hanno inviato immigrati dall'Europa, dagli Stati Uniti, con la scusa dell'Olocausto, per stabilire un governo razzista nella Palestina occupata”. E in questo modo ha colto tre piccioni con una fava: ha negato l’Olocausto, ha delegittimato l’esistenza dello Stato di Israele e ha puntato il dito contro una cospirazione delle democrazie occidentali. Assolutamente soddisfatta della coerenza della politica italiana tenuta in questo scontro diplomatico è l’onorevole Fiamma Nirenstein, giornalista e deputata del Popolo della Libertà. “Sono fiera della linea di fermezza del governo italiano” - dichiara a L’Opinione - “La Francia, che era stata in prima fila fra le nazioni europee che volevano partecipare, è stata la prima ad andarsene al momento del discorso di Ahmadinejad. Mercoledì, come unica rappresentante dall’Italia e insieme, tra gli altri, a Nathan Sharansky, Irwin Cotler, Alan Dershowitz e David Harris, sarò presente alla grande manifestazione organizzata per questo mercoledì a Ginevra da tutte le organizzazioni che si oppongono all’obbrobrio di Durban 2. Sarà una manifestazione contro il razzismo, per i diritti umani e sul ruolo che Israele ha avuto nel difenderli”. Onorevole Nirenstein, la bozza della Dichiarazione di Durban2 è stata più volte rivista per poterla presentare come un documento imparziale e accettabile da tutti. Quali sono i passaggi della nuova bozza che generano ancora dubbi che non si tratti di una normale conferenza contro il razzismo? Dopo una prima bozza, che è stata respinta, se ne sono viste di tutti i colori. Se tutta l’Europa, con una sola voce, avesse adottato il testo preparato dall’Olanda (che in un certo momento sembrava essere stato accettato da tutti), la conferenza di Ginevra avrebbe funzionato in modo completamente diverso. Invece la Libia, l’Iran e tutte le commissioni terzomondiste si sono messe di traverso. E nell’ultimo documento viene, prima di tutto, ribadita la validità della dichiarazione di Durban del 2001 che, nei fatti, equipara il sionismo all’apartheid e al razzismo. L’ultima bozza di Dichiarazione per Ginevra è stata approvata solo mercoledì e presentata ai delegati quando erano già sulla porta pronti ad andarsene: hanno dunque cercato di usare la fretta come strumento di pressione per farla approvare. Nel testo i concetti di occupazione, razzismo e apartheid sono strettamente collegati, con una chiara allusione ad Israele. Di nuovo salta fuori la proibizione di criticare liberamente le religioni. Di nuovo vengono poste le basi per condannare quella che viene chiamata “islamofobia”. Che nella maggior parte dei casi, invece, è semplicemente un atteggiamento critico nei confronti di un mondo che impone la legge religiosa, discrimina le donne, perseguita gli omosessuali e le minoranze religiose. Oggi avremmo una bellissima conferenza contro il razzismo, non fosse per i Paesi “non allineati” e per i membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica. Non capisco come la comunità internazionale sia rimasta per decenni immobile, lasciando che l’Onu diventasse, di fatto, la cassa di risonanza per gli antisemiti di tutto il mondo. Qual è l’eredità del 2001? Il terma cardine di quella conferenza era Israele=apartheid. Visto che se ne parlava proprio a Durban, che era stata terra di apartheid fino a pochi anni prima, l’impatto sull’opinione pubblica è stato micidiale. Allora ero inviata per La Stampa a Durban e le scene a cui ho assistito erano incredibile per il loro orrore. Non mi sarei mai aspettata di vedere uno stadio pieno di membri Ong che insultavano e inseguivano gli ebrei che portavano la kippà. Non mi sarei mai immaginata di vedere manifestanti marciare sotto le effigi di Bin Laden. E non a caso pochi giorni dopo vi fu l’attacco alle Twin Towers. Io non mi stupii affatto di quell’attacco: Durban fu un’esplosione di odio irrazionale contro l’Occidente e fu letteralmente l’antefatto ideologico degli attacchi a New York e Washington. Yassir Arafat, nel suo discorso, era arrivato a dire che l’Onu era nato come lunga mano dell’imperialismo per schiacciare i palestinesi e il mondo islamico. E dicendo questo era stato applaudito dai delegati di tutto il mondo, da un’assemblea dominata dai Mugabe, dai Fidel Castro, dai peggiori dittatori e distruttori dei diritti umani. Durban servì a cambiare le relazioni internazionali e la politica degli Stati? All’atto pratico no, fu solo un grande atto di legittimazione della violenza contro Israele e contro l’Occidente. Siccome allo Stato ebraico sono state attribuite le più gravi colpe del mondo occidentale (razzismo, apartheid, crimini di guerra, genocidio, uccisione deliberata di bambini palestinesi...) si è riproposta l’equazione sionismo=razzismo, già portata all’Onu da Arafat nel 1975. Certo, grazie a tutti i boicottaggi, a Ginevra la conferenza parte zoppa... Diciamo che l’Italia è stata la prima nazione europea a constatare che il re è nudo, che si sta adorando un falso idolo dell’antirazzismo. Ecco, qui dovrei aprire una parentesi triste sul Vaticano, che aderisce a un’iniziativa che non ha più nulla a che vedere con la vera difesa dei diritti umani. Il Vaticano vuole mantenere una politica di buone relazioni con tutti per difendere i cristiani nel mondo. Ma io credo che sbaglino, perché in questo modo finiscono per incoraggiare i persecutori peggiori dei cristiani. Oggi, dopo tanto appeasement, Gaza è quasi completamente svuotata da cristiani, così come Betlemme i cristiani sono scappati in massa. Soprattutto da quando il governo è nelle mani dell’Autorità Palestinese.

L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " L'Italia mette in fuorigioco l'antisemitismo "

Per una volta essere italiano da motivo di non poco orgoglio se solo si pensa che nel 2001, in agosto, tre settimane prima degli attentati alle Torri Gemelle, a Durban in Sudafrica nessun paese al mondo, tranne gli Usa e Israele, avevano levato la propria voce contro le vergognose asserzioni della prima conferenza sul razzismo, quella in cui le ong amiche di Bin Laden e del terrorismo islamico avevano deciso, per tutti gli altri, di porre Israele e solo lui sul banco degli imputati. Oggi invece è l¹Italia, con le posizioni ribadite anche ieri dal nostro ministro degli esteri Franco Frattini, a guidare la clamorosa defezione di paesi come l¹Olanda, la Germania, la Polonia, il Canada e l'Australia da questa ignobile conferenza di rivisitazione dei già inaccettabili principi di Durban che da ieri si è aperta a Ginevra . Per la verità tra le persone che si sono dichiarate contrarie a presenziare va registrata anche la consigliera federale svizzera Micheline Calmy- Rey, in piena polemica con il presidente federale Rudolf Mertz che nella serata di domenica si era fatto fotografare sorridente e festoso mentre stringeva tra le braccia Mahmoud Ahmadinejad, provocando la reazione dello stato ebraico che ha richiamato l'ambasciatore svizzero a Gerusalemme per consultazioni. Adesso preoccupa non poco la posizione del Vaticano che secondo i bene informati parteciperebbe alla conferenza non solo per tenere alta la polemica con Israele quanto per strumentalizzare la posizione islamica sulle vignette danesi su Maometto e per giungere a una formula di compromesso in cui l'Onu dovrebbe dichiarare non criticabili tutte le religoni, cattolicesimo compreso. Si punta insomma, da parte della Santa Sede, ovviamente non all¹impossibile introduzione di un reato come "la blasfemia", per giunta da equiparare al gemocidio, come vorrebbero Teheran o Ryad, ma a uno statement di principio per cui la critica alle religioni e l'offesa alle fedi dovrebbe comunque essere astrattamente condannata magari proprio come una forma di razzismo. Tra le grandi nazioni europee, solo Francia e Inghilterra, entrambe sotto scacco in casa propria a causa di bellicose comunità islamiche di immigrati ormai di seconda o terza generazione, quindi cittadini francesi e britannici a tutti gli effetti, hanno accettato di vedere le carte di questa conferenza di Ginevra. Frattini ancora ieri rimarcava il fatto che "chi va come gli inglesi ha accettato un compromesso". E questo malgrado il fatto che nei testi predisposti per l'apppuntamento di Ginevra "si mantenga una impostazione di base che equipara Israele a un Paese razzista anzichè a una democrazia". In Italia ieri poi è scoppiata al calor bianco la polemica tra il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e la Santa Sede dopo le parole assai dure pronunziate dal rav della più grande comunità ebraica di Roma contro la scelta di Benedetto XVI non solo di partecipare alla conferenza di Ginevra ma addirittura di benedirla. Purtroppo anche la Ue, come ha rimarcato Christiane Hohmann, portavoce del commissario europeo alle Relazioni Esterne Benita Ferrero-Waldner , si identifica con i "23 paesi su 27 che hanno accettato di presenziare a Durban". Minimizzando la defezione di Italia, Olanda, Germania e Polonia. Ancora peggio l¹Onu: ieri Ban Ki Moon ha ricevuto Ahmadinejad dicendo alle agenzie che il vero pericolo è l¹islamofobia. Non l'anti semitismo. E domenica anche Navi Pillay, la nuova "alta rappresentante" al Palazzo di Vetro per i diritti umani si era dichiarata "scioccata" dalla defezione Usa a questa conferenza. Mica della partecipazione come ospite d¹onore di un presidente, quello iraniano, che nel proprio paese manda a morte le adultere e gli omosessuali così come gli oppositori politici. E che predica la distruzione degli ebrei e di Israele. La conferenza del mondo alla rovescia dell'Onu è appena cominciata. Vedremo come andrà a finire.

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