Iniziano oggi i lavori di Durban II, la Conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo, che si annuncia in realtà come la Fiera dell'antisemitismo. Ci rallegriamo del fatto che, oltre a Israele, anche Italia, Stati Uniti, Olanda, Canada, Australia e Germania abbiano deciso di non partecipare. Invitiamo i lettori a leggere la "Cartolina da Eurabia " di Ugo Volli di oggi, sullo stesso argomento.
Riportiamo dalla prima pagina del CORRIERE della SERA di oggi, 20/04/2009, l'editoriale di Angelo Panebianco dal titolo " Chi è presente stavolta ha torto ", da pag. 2 la cronaca di Davide Frattini dal titolo " Durban II: gli Usa non vanno, Europa divisa ", da pag. 3 l'articolo dal titolo " Alan Dershowitz allontanato: 'Volevo sfidare Ahmadinejad' " e l'intervista di Ennio Caretto allo storico Paul Kennedy dal titolo " Anche Stalin firmò per i diritti dell’uomo " preceduta dal nostro commento. Dal GIORNALE, a pag. 9, l'intervista di Alessandro Caprettini al ministro degli Esteri italiano Franco Frattini dal titolo " L’Ue non sa parlare con una sola voce ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 7, l'intervista di Marco Ansaldo a Natan Sharansky dal titolo " È il summit dell´odio contro il popolo ebraico ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Angelo Panebianco : "Chi è presente stavolta ha torto"
Si apre oggi a Ginevra, sotto i peggiori auspici, la Conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo. Gli occidentali sono arrivati a questo appuntamento divisi. Gli Stati Uniti, Israele, il Canada, l’Australia e l'Italia hanno confermato che non parteciperanno non essendoci garanzie che la Conferenza, i cui lavori preparatori sono stati dominati dai Paesi islamici, non si risolva anche questa volta (come accadde nella precedente conferenza di Durban nel 2001) in un atto di accusa contro Israele e contro l'Occidente. Olanda e Germania hanno dato all'ultimo momento forfait. La Gran Bretagna e la Francia, invece, hanno scelto di essere presenti. Così come il Vaticano. Il presidente iraniano Ahmadinejad, già arrivato a Ginevra, è stato ricevuto con tutti gli onori dalle massime autorità elvetiche (il che ha suscitato una dura protesta di Israele) e sarà fra i primi a prendere la parola nella tribuna messagli a disposizione dall'Onu. Molte cose non vanno, evidentemente, se a una Conferenza sul razzismo, che dovrebbe essere espressione dell' impegno delle Nazioni Unite in difesa dei diritti umani, può impunemente prendere la parola un signore che ritiene la Shoah una «invenzione» e presiede un regime che ha al proprio attivo l'assassinio di centinaia di oppositori politici.
Comunque vada a finire la Conferenza, tre lezioni si possono già trarre da questa vicenda. La prima è che se l'Occidente si divide, coloro che puntano a usare le istituzioni internazionali in chiave antioccidentale hanno facile gioco. Se ci fosse stato un blocco compatto dei Paesi occidentali a difesa di principi per essi irrinunciabili, quei Paesi islamici che giocano sulle divisioni dell'Occidente avrebbero dovuto tenerne conto, e la stessa Conferenza di Ginevra avrebbe forse avuto un diverso avvio. I Paesi europei che, insieme al Vaticano, hanno scelto comunque di andare alla Conferenza forse riusciranno a impedire che essa si risolva in una Durban bis ma corrono anche un rischio: il rischio che la loro presenza contribuisca a dare legittimazione internazionale a regimi politici che fanno quotidianamente strage di diritti umani a casa loro e che non hanno le carte in regola neppure in materia di razzismo essendo noti campioni di propaganda antisemita.
La seconda lezione è che i diritti umani non possono essere facilmente separati dal contesto culturale occidentale che li ha generati. La dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948 e le tante altre dichiarazioni, convenzioni e istituzioni promotrici dei diritti umani che l'hanno seguita, erano espressioni della tradizione occidentale. Rispecchiavano il predominio politico-militare, economico e culturale, del mondo occidentale. Nel momento in cui l'Occidente perde peso politico, altri, con alle spalle altre e diverse tradizioni culturali, si impadroniscono di quelle istituzioni, e del connesso linguaggio dei diritti umani, cambiandone radicalmente l'ispirazione e il significato.
È proprio in nome dei «diritti umani» (nel senso che essi danno a queste parole) che i Paesi islamici cercano oggi di imporre a tutto l'Occidente una drastica limitazione della libertà di parola e della libertà di stampa, erigendo barriere giuridiche che rendano la religione islamica non criticabile. Hanno tentato di farlo con la risoluzione 62/154 dell'Assemblea delle Nazioni Unite. E sono tornati alla carica (salvo recedere a fronte delle proteste occidentali) nei lavori preparatori del documento che dovrà essere approvato dalla Conferenza di Ginevra. Chi pensa che i diritti umani siano «transculturali», anziché connotati culturalmente, che siano cioè un minimo comun denominatore potenzialmente in grado di essere condiviso da tutti, dovrebbe riflettere, ad esempio, su quale compatibilità possa mai esserci fra i diritti umani nel modo in cui li intendono gli occidentali e la sharia, la tradizionale legge islamica. La terza lezione che si può trarre dal pasticcio della Conferenza di Ginevra riguarda l'impossibilità di separare diritti umani e politica. A Ginevra «si fa» e «si farà» politica, ossia la questione del razzismo e dei diritti umani verrà usata come arma propagandistica ai fini della competizione di potenza e delle connesse negoziazioni politiche. Come è inevitabile che sia.
La presenza di Ahmadinejad a Ginevra, in particolare, merita attenzione. Dal suo discorso, ovviamente, nessuna persona sana di mente si attende un contributo per la «lotta contro il razzismo». Si cercherà piuttosto di capire, leggendo tra le righe, se ci sarà o no qualche segnale di disponibilità alla trattativa sul nucleare iraniano e sugli altri dossier mediorientali da parte dei settori del regime che Ahmadinejad rappresenta o se la risposta alle aperture del presidente americano Obama sia già contenuta per intero nella condanna a otto anni per spionaggio appena inflitta alla giornalista americana- iraniana Roxana Saberi. Sapendo, naturalmente, che Ahmadinejad è comunque un presidente in scadenza e che dovrà, nel giugno prossimo, affrontare il giudizio degli elettori. Un risultato (paradossale) la Conferenza sul razzismo lo ha comunque già ottenuto: ha offerto al presidente di un regime assai poco rispettoso dei diritti umani (comunque li si definisca) una tribuna internazionale da cui iniziare la sua personale campagna elettorale.
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Durban II: gli Usa non vanno, Europa divisa "
GINEVRA — Diciassette pagine. Parole da eliminare o limare. I diplomatici discutono da mesi per arrivare a un accordo sul documento finale. All’ospite più scomodo, bastano poche frasi — ancora prima di salire sul podio — per allontanare da Ginevra qualche altro Paese. «L’ideologia e il regime sionista sono i portabandiera del razzismo». Se il termine Israele è uscito dalla bozza, ci pensa Mahmoud Ahmadinejad a farlo rientrare e a metterlo al centro della conferenza, che in cinque giorni dovrebbe fare il punto a otto anni dal primo vertice sul razzismo. È chiamata Durban II e chi ha deciso di boicottarla (per ora Stati Uniti, Israele, Italia, Australia, Canada, Olanda, Germania e Nuova Zelanda) teme che in Svizzera vada in scena una replica del summit nella città sudafricana.
«I sionisti saccheggiano le ricchezze mondiali controllando i centri di potere nel mondo. Hanno creato le condizioni perché non si possa dire nulla di questo fenomeno diabolico », ha continuato il leader iraniano. Che ieri sera ha visto a cena Hans-Rudolf Merz, presidente della Confederazione elvetica, e oggi parla al palazzo dell’Onu.
Israele - «Non lo incontri, non gli stringa la mano», ha invocato Aharon Lechnoyaar, ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite a Ginevra. Da Gerusalemme, Avigdor Lieberman, neo-ministro degli Esteri, ha ricordato che dal tramonto viene commemorato Yom HaShoa: «Ahmadinejad nega l’Olocausto ed è stato invitato a tenere un discorso nel giorno in cui ricordiamo sei milioni di ebrei ammazzati dai nazisti e dai loro complici ».
L’Ue - L’Unione europea non ha trovato una linea comune. Il Belgio ieri sera era ancora convinto che fosse possibile, i francesi avevano detto che era «fondamentale », ma poi sono arrivati il no tedesco e, subito dopo, l’annuncio dell’Eliseo che la Francia invece ci sarà. Il Vaticano ha deciso (parteciperà) e Benedetto XVI giudica la conferenza «un’iniziativa importante, perché ancora oggi, nonostante gli insegnamenti della Storia, si registrano tali deplorevoli fenomeni. Formulo i miei sinceri voti affinché i delegati lavorino insieme, con spirito di dialogo e di accoglienza reciproca, per mettere fine a ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleranza, ».
Anche la Gran Bretagna ha scelto di essere a Ginevra «per fare la guardia contro un inaccettabile tentativo di negare l’Olocausto» (l’Iran ha provato a cancellare qualunque accenno dal testo in discussione).
Gli Usa - Il no americano è arrivato dopo che le modifiche alla bozza non sono state considerate «soddisfacenti»: tolti i riferimenti allo Stato ebraico e alla diffamazione delle religioni (voluti dalle nazioni musulmane), vengono riaffermate le conclusioni di Durban I, contestate da molti Paesi occidentali. «Sarei pronto a essere coinvolto in una conferenza che affronta in modo utile la discriminazione. Credo nell’Onu, ma non posso accettare un linguaggio controproducente e affermazioni ipocrite contro Israele», ha spiegato il presidente Barack Obama.
L’Onu - «Sono scioccata e profondamente dispiaciuta dalla decisione degli Stati Uniti di non intervenire», ha commentato Navi Pillay, alto commissario per i Diritti umani, che organizza il vertice. «Qui vogliamo affrontare e combattere il razzismo, la xenofobia e altre forme di intolleranza in tutto il mondo. Non riesco a capire: il Medio Oriente non è nominato nel testo, eppure la questione continua a intromettersi nel dibattito».
CORRIERE della SERA - " Alan Dershowitz allontanato: 'Volevo sfidare Ahmadinejad' "
GINEVRA — Il piano del principe del foro Usa e professore di Legge di Harvard Alan Dershowitz era di affrontare il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ieri a Ginevra e dirgli chiaramente cosa pensa delle sue opinioni sull’Olocausto e su Israele.
Ahmadinejad, arrivato a Ginevra per la Conferenza internazionale contro il razzismo, si è incontrato con il presidente svizzero Hans-Rudolf Merz. Ad attenderlo c’era Dershowitz, che è stato però allontanato dalla sicurezza.
Appena eletto, nel 2005, Ahmadinejad disse che Israele dovrebbe essere cancellato dalle carte geografiche, e ha espresso tante volte il sospetto che l’Olocausto non sia mai avvenuto, definendolo «un mito». Nel 2008, Dershowitz chiese a Condoleezza Rice, allora segretario di Stato Usa di boicottare Durban II, definendo la conferenza «antisemita» in una petizione firmata da 25 persone tra le quali anche il premio Nobel Elie Wiesel. Quando Ahmadinejad fu invitato a parlare alla Columbia University, Dershowitz si dichiarò favorevole. «Ahmadinejad è il leader politico di un Paese molto potente e voler ascoltare le sue idee per confutarle nel mercato libero delle idee è plausibile — disse al Corriere —. Come lo sarebbe stato negli anni ’30 con Hitler».
Dershowitz è anche campione di battaglie controverse. Nel 2002 fece scandalo proponendo la legalizzazione della tortura dei terroristi «quando questo può salvare vite umane».
CORRIERE della SERA - Ennio Caretto : " Anche Stalin firmò per i diritti dell’uomo "
Paul Kennedy dichiara : " E in previsione di una denuncia di Israele — che ha fornito l’occasione all’Islam con la sua sproporzionata reazione a Gaza... ". Che senso ha discutere di proporzioni quando si tratta di autodifesa? Quella a Gaza è stata una guerra contro Hamas, organizzazione che vuole distruggere lo Stato ebraico, e che da mesi terrorizzava la popolazione del sud del paese, non una risposta "sproporzionata".
In ogni caso l'Islam fondamentalista non ha certo avuto bisogno della guerra a Gaza per diventare antisraeliano. Il suo odio è per ciò che Israele è (una democrazia occidentale, e lo Stato degli ebrei), non per ciò che fa ?
Ecco l'intervista:
WASHINGTON — Per lo storico Paul Kennedy, autore di Ascesa e declino delle grandi potenze e de Il Parlamento dell'uomo (l’Onu), la Conferenza sul razzismo non segnerà una svolta storica: «Dopo accuse e contraccuse, propaganda e scontri, sfocerà in una di quelle dichiarazioni solenni che rappresentano in realtà dei modesti compromessi». Il docente dell’Università di Yale, che sta scrivendo un libro sulla Seconda guerra mondiale, è scettico sull’efficacia di simili iniziative: «Il rispetto dei diritti umani si impone solo con risoluzioni vincolanti. C’è da chiedersi chi e quanti le vorrebbero veramente perché la sede adatta non è certo questa conferenza. Inoltre c’è il pericolo che essa assuma un tono antisemita».
Lei è pro o contro il boicottaggio di Durban II, a Ginevra?
«È una questione di grigio, non di bianco e di nero. Io penso che i nostri governi si siano posti un interrogativo etico e uno politico. È giusto o ingiusto il boicottaggio, visto che una gran parte dei Paesi firmerà la dichiarazione senza alcuna intenzione di rispettarla? E in previsione di una denuncia di Israele — che ha fornito l’occasione all’Islam con la sua sproporzionata reazione a Gaza — è politicamente vantaggioso o svantaggioso parteciparvi?».
Di qui le opposte decisioni degli alleati?
«Esattamente. L’America e l’Italia si sono dette che il boicottaggio è giusto e partecipare alla Conferenza sarebbe dannoso. La Gran Bretagna e la Francia hanno invece concluso che, nonostante i dubbi e i rischi, conviene dimostrare di essere alla ricerca di un dialogo onesto. Su Obama, secondo me, ha pesato altresì il timore che una presenza americana a Ginevra gli alienasse l’opinione pubblica interna oltre che Israele, che diffida di lui».
Una divisione inattesa tra Londra e Washington?
«Diciamo una divisione in contrasto con la Storia. Circa 25 anni fa, il presidente Usa Ronald Reagan e la premier britannica Margaret Thatcher lasciarono all’unisono l’Unesco perché aveva equiparato il sionismo al razzismo».
Perché è scettico su Durban II?
«Lo sono stato anche su Durban I, nel 2001, manipolata e strumentalizzata da troppi Paesi. Io sono scettico sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, che proponeva anche il pieno impiego, l’assistenza sanitaria di Stato. Il presidente americano Truman la firmò perché sapeva che, a differenza delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, non aveva valore legale. La firmò persino Stalin, un violatore dei diritti umani».
Dovrebbe farsene carico il Consiglio di sicurezza?
«Il Consiglio è bloccato da cinque potenze conservatrici che hanno macchie razziste, presenti o passate, da nascondere, l’America i neri, la Russia la Cecenia, la Cina il Tibet, la Francia gli arabi, l’Inghilterra il Kenya. E si trincera dietro il principio che deve decidere delle questioni di guerra e pace non delle libertà civili. Insomma, rifiuta di interessarsene se non in casi circoscritti ».
Non c’è il Consiglio dei diritti umani dell’Onu?
«Il Consiglio, come la precedente Commissione, a volte è ostaggio di Paesi che promuovono delle decisioni inique o che vanificano quelle eque. Invece di penalizzare sempre, come dovrebbe, quanti fanno del razzismo o peggio fanno del genocidio, in certi momenti li ignora o li nasconde ».
Qual è il rimedio?
«Bisogna martellare il messaggio antirazzista. Quando l’Onu fece la Dichiarazione universale sui diritti umani, l’impatto fu forte, creò grandi aspettative. Idem quando fu varato il protocollo di Kyoto contro l’emissione di gas serra. Le grandi potenze devono alimentare le aspettative e premere molto più fortemente sulle nazioni interessate alle buone relazioni con loro, ma che ancora violano i diritti umani. Se lo faranno, in futuro anche conferenze come quella di Ginevra produrranno frutti».
Il GIORNALE - Alessandro Caprettini : " L’Ue non sa parlare con una sola voce"
Roma«Una delle più grandi delusioni delle mie esperienze internazionali...». Non usa troppi giri di parole Franco Frattini nel commentare il fallimento della ricerca di una posizione comune della Ue sulla conferenza dell’Onu sul razzismo. «Un errore gravissimo - continua il ministro degli Esteri - perché denota l’incapacità, nonostante le tante parole spese a riguardo, di trovare almeno un minimo comun denominatore su un problema di base: quello della lotta alle discriminazioni di cui ci facciamo spesso portavoci a Bruxelles. E il bello è che, in sede di consiglio, tra tutti e 27, eravamo riusciti a trovare una posizione comune su un testo elaborato dagli olandesi. Si era detto: o i documenti preparatori cambiano, o la Ue presenterà il suo testo...».
E invece...
«E invece alla fine in qualcuno è prevalsa la linea del compromesso, del lasciar lavorare il mediatore russo, dell’indifferenza su un tema che dovrebbe pur sempre restare un pilastro della Ue, quello cioè dei diritti della persona».
Lezione amara, quella che si ricava dal dietrofront di altri Paesi europei, rispetto alla coerenza italiana e olandese, no?
«Di fatto si dimostra una volta di più che l’Europa, nonostante le intenzioni dichiarate, non è capace di parlare a una sola voce. Il che lascia liberi i Paesi membri di decidere singolarmente in base a quelli che ritiene i propri principi fondamentali».
Ministro Frattini, ma perché secondo lei alcuni Paesi come la Gran Bretagna hanno deciso che a Ginevra ci saranno, nonostante avessero detto, con l’Italia e il resto della compagnia, che equiparare Israele a un Paese razzista non era assolutamente condivisibile? Affari o che altro?
«Non lo so. Immagino si sia preferito un compromesso a tutti i costi. E ciò nonostante il fatto che nei testi predisposti per l’appuntamento di Ginevra, a parte qualche piccolo miglioramento, si mantenga un’impostazione di base che equipara Israele a un Paese razzista anziché a una democrazia. Ci sono tuttora frasi inaccettabili che un pizzico di coerenza con quanto affermato nella riunione dei ministri degli Esteri Ue, avrebbe dovuto indurre a rinunciare a prender parte alla conferenza. Come abbiamo deciso noi e come hanno scelto di fare anche Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Olanda. Senza contare che sono curioso di vedere poi in quanti saranno a Ginevra...».
Che vuole dire?
«Le rivelo una cosa: a tutt’oggi (domenica, ndr) sono solo 50 i Paesi ad aver confermato la loro partecipazione su 160 invitati. Certo, alla fine risulteranno più dell’esiguo numero delle attuali conferme, ma le pare che quanto emergerà da Ginevra a firma Onu, possa avere quella credibilità che avremmo voluto per un discorso nobile quale la necessaria lotta al razzismo se verranno a mancare tanti e importanti Paesi?».
Beh, diciamo la verità: che se nella Ue si stenta ancora troppo per trovare un’intesa financo sui principi, a livello mondiale non è che le Nazioni Unite siano viste più come una entità credibile, no?
«Io credo che l’Onu possa ancora avere una grande importanza se riesce a coagulare consensi su problemi veri e concreti. Quando invece si deve constatare che un Consiglio di sicurezza resta impantanato nei veti reciproci o che interventi in aree di crisi importanti - e penso all’Africa - non si possono mettere in piedi per i contrasti esistenti o che, ancora, in conferenze come quella sul razzismo passano non regole valide e condivisibili, ma testi di parte, è chiaro che non ci siamo. Non è del resto un caso che proprio l’Italia, da tempo, va reclamando una profonda riforma dell’organizzazione delle Nazioni Unite».
Predichiamo però in una terra di sordi, non è vero?
«Siamo testardi e continuiamo a tendere a una riforma che privilegi principi e valori di fondo: più rappresentatività, più partecipazione. E poi non siamo soli: a febbraio scorso, su invito della Farnesina per un discorso di riforma dell’Onu, sono stati 70 i Paesi che hanno inviato i loro rappresentanti a Roma».
Ma anche in questo caso un pezzo d’Europa non fa quadrato con l’altro pezzo...
«Questo è un punto vero e dolente. Torno a ripetere: non è possibile che la Ue, che ha preso impegni precisi col trattato di Lisbona, parli tanto di unità ma poi si ostini a non voler creare una politica comune. E mica penso solo a Durban 2! Pensate al problema dell’immigrazione: proprio stamane (ieri per chi legge, ndr) ho parlato con Maroni cui ho assicurato che al prossimo consiglio a 27 solleverò il problema, riaperto dal caso del mercantile Pinar. Perché non si può pretendere che tutti seguano le stesse regole e poi su un problema di questo tipo si scarichi ogni responsabilità solo su chi se lo trova in casa. Non abbiamo sempre parlato di diritti civili come vero e proprio pilastro della Ue? O, quando conviene agli altri, divengono ammennicoli o optional?».
E intanto a Ginevra l’Italia non ci sarà.
«In linea con quanto sempre detto da noi e dalla Ue. E perché andar là e fare i testimoni silenziosi alla fine non paga: si rischia solo la complicità».
La REPUBBLICA - Marco Ansaldo : " È il summit dell´odio contro il popolo ebraico "
GERUSALEMME - «Ahmadinejad come Hitler». Questa si era già sentita. «Svizzera paese ospitante di una conferenza dell´odio razziale». E qui siamo già più sull´inedito. «Il Papa?». Silenzio incredulo. «Davvero il Papa ha parlato?». Silenzio imbarazzato. «Ha benedetto i lavori del vertice?». Esclamazione finale. «Se davvero il pontefice sa di quel che si tratta a Durban-2, beh, allora possiamo essere seriamente preoccupati. Possiamo ben capire il potere della Chiesa e i tanti comportamenti avuti nel passato».
E´ una furia, Natan Sharansky. Appena ieri mattina il difensore storico dei diritti umani in Israele è stato candidato dal premier Benjamin Netanyahu a guidare l´Agenzia ebraica, il braccio esecutivo dell´Organizzazione sionista. E dall´alto di tante battaglie vissute - prima come condannato ai lavori forzati nei gulag sovietici, poi a fianco del fisico dissidente Andrej Sakharov, infine come scrittore, parlamentare e ministro di alcuni dicasteri chiave a Gerusalemme - esprime ora tutto il suo sdegno nei confronti della controversa conferenza Onu sul razzismo che si apre questa mattina a Ginevra.
Una rabbia, dice Sharansky a Repubblica, che è di tutta Israele, «di tutto il governo unito, di tutte le parti politiche, senza eccezioni». Una battaglia che lo vede in prima linea. Nei prossimi giorni addirittura pronto a scendere in piazza, a parlare «di questa vergogna». Come sempre, da consumato e abile stratega. Come dimostrò quella volta che riuscì a battere in una partita a scacchi nientemeno che il campione mondiale Garry Kasparov.
Natan Sharansky, Durban-2 sembra stia spaccando il mondo in chi andrà e chi no al vertice. Voi che impressione avete?
«Noi crediamo che tutto questo sia diventato davvero spiacevole. Quello organizzato in Svizzera è un vertice, anzi un festival, dell´odio. E, aggiungerei purtroppo, dell´odio razziale».
Molti Paesi però sentono la necessità di parteciparvi comunque.
«Lo stiamo vedendo. Come vediamo pure che altri governi, come quello americano, quello tedesco, quello italiano, ad esempio, hanno invece deciso di boicottare il summit. In questo senso, non andare a Ginevra diventa un fatto importante, discriminante fra chi vi prende parte e chi no».
Siete adirati con la Svizzera perché ha invitato il presidente iraniano Ahmadinejad, che predica la cancellazione d´Israele dalle mappe geografiche, definisce Israele come "portabandiera del razzismo", e bolla l´Olocausto come "un mito"?
«Naturalmente. Ma non solo. I Paesi arabi hanno definito il sionismo come razzismo. Noi non andremo anche per questo. Mi sembra, piuttosto, che il comportamento del governo svizzero sia tipico di alcuni leader europei del passato, che non capirono, fino all´ultimo, la pericolosità di Adolf Hitler. Per alcuni aspetti Ahmadinejad è paragonabile al dittatore tedesco. Eppure ancora oggi c´è chi non vuole ascoltare. A Ginevra il capo dello Stato svizzero e i leader europei non dovrebbero nemmeno stringergli la mano».
A Ginevra pure l´Europa andrà divisa: Francia e Gran Bretagna, ad esempio, parteciperanno.
«Meglio divisa, in questo caso, che unita e compatta. Io ricordo bene la prima conferenza, a Durban, nel 2001. Fu tremenda. E in quell´occasione Stati Uniti e Israele ebbero il coraggio di esprimere le posizioni legittime del mondo libero. Ma oggi mi stupisco della scelta fatta da Francia e Gran Bretagna, solitamente, storicamente nazioni paladine di diritti umani e democrazia».
E sulla presa di posizione del Papa?
«Il Papa?»
Sì, oggi il Papa ha benedetto i lavori della conferenza, perché la ritiene utile per combattere contro le discriminazioni. E ha inviato una delegazione vaticana.
«Sul serio?»
Sul serio.
«Dunque, le ipotesi sono due. O il pontefice semplicemente non capisce il contenuto della conferenza, ed è un conto. O invece è a conoscenza di che cosa si parlerà a Ginevra e con chi. E se fosse vera l´ultima ipotesi, allora questo potrebbe essere motivo per noi di grande preoccupazione. Anche in vista del suo prossimo viaggio qui in Israele. Possiamo meglio comprendere il potere della Chiesa e i tanti comportamenti espressi in passato dal Vaticano».
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