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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Giornale - La Repubblica Rassegna Stampa
20.04.2009 Durban II: chi è presente ha torto
L'editoriale di Angelo Panebianco, la cronaca di Davide Frattini, interviste a Paul Kennedy, Franco Frattini, Natan Sharansky

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale - La Repubblica
Autore: Angelo Panebianco - Davide Frattini - Ennio Caretto - La redazione del Corriere della Sera - Alessandro Caprettini - Marco Ansaldo
Titolo: «Chi è presente stavolta ha torto - Durban II: gli Usa non vanno, Europa divisa - Alan Dershowitz allontanato: 'Volevo sfidare Ahmadinejad' - Anche Stalin firmò per i diritti dell’uomo - L’Ue non sa parlare con una sola voce - È il summit dell´odio contro»

Iniziano oggi i lavori di Durban II, la Conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo, che si annuncia in realtà come la Fiera dell'antisemitismo. Ci rallegriamo del fatto che, oltre a Israele, anche Italia, Stati Uniti, Olanda, Canada, Australia e Germania abbiano deciso di non partecipare. Invitiamo i lettori a leggere la "Cartolina da Eurabia " di Ugo Volli di oggi, sullo stesso argomento.
Riportiamo dalla prima pagina del CORRIERE della SERA di oggi, 20/04/2009, l'editoriale di Angelo Panebianco dal titolo " Chi è presente stavolta ha torto ", da pag. 2 la cronaca di Davide Frattini dal titolo " Durban II: gli Usa non vanno, Europa divisa ", da pag. 3 l'articolo dal titolo " Alan Dershowitz allontanato: 'Volevo sfidare Ahmadinejad' " e l'intervista di Ennio Caretto allo storico Paul Kennedy dal titolo " Anche Stalin firmò per i diritti dell’uomo " preceduta dal nostro commento. Dal GIORNALE, a pag. 9, l'intervista di Alessandro Caprettini al ministro degli Esteri italiano Franco Frattini dal titolo " L’Ue non sa parlare con una sola voce ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 7, l'intervista di Marco Ansaldo a Natan Sharansky dal titolo " È il summit dell´odio contro il popolo ebraico ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Angelo Panebianco : "Chi è presente stavolta ha torto"

Si apre oggi a Gine­vra, sotto i peggiori auspici, la Confe­renza delle Nazioni Unite sul razzismo. Gli oc­cidentali sono arrivati a questo appuntamento di­visi. Gli Stati Uniti, Israele, il Canada, l’Australia e l'Ita­lia hanno confermato che non parteciperanno non essendoci garanzie che la Conferenza, i cui lavori preparatori sono stati do­minati dai Paesi islamici, non si risolva anche que­sta volta (come accadde nella precedente conferen­za di Durban nel 2001) in un atto di accusa contro Israele e contro l'Occiden­te. Olanda e Germania hanno dato all'ultimo mo­mento forfait. La Gran Bre­tagna e la Francia, invece, hanno scelto di essere pre­senti. Così come il Vatica­no. Il presidente iraniano Ahmadinejad, già arrivato a Ginevra, è stato ricevuto con tutti gli onori dalle massime autorità elveti­che (il che ha suscitato una dura protesta di Israe­le) e sarà fra i primi a pren­dere la parola nella tribu­na messagli a disposizio­ne dall'Onu. Molte cose non vanno, evidentemen­te, se a una Conferenza sul razzismo, che dovreb­be essere espressione dell' impegno delle Nazioni Unite in difesa dei diritti umani, può impunemen­te prendere la parola un si­gnore che ritiene la Shoah una «invenzione» e presie­de un regime che ha al proprio attivo l'assassinio di centinaia di oppositori politici.
Comunque vada a fini­re la Conferenza, tre lezio­ni si possono già trarre da questa vicenda. La prima è che se l'Occidente si divi­de, coloro che puntano a usare le istituzioni interna­zionali in chiave antiocci­dentale hanno facile gio­co. Se ci fosse stato un blocco compatto dei Paesi occidentali a difesa di principi per essi irrinun­ciabili, quei Paesi islamici che giocano sulle divisio­ni dell'Occidente avrebbe­ro dovuto tenerne conto, e la stessa Conferenza di Ginevra avrebbe forse avu­to un diverso avvio. I Paesi europei che, insieme al Va­ticano, hanno scelto co­munque di andare alla Conferenza forse riusci­ranno a impedire che essa si risolva in una Durban bis ma corrono anche un rischio: il rischio che la lo­ro presenza contribuisca a dare legittimazione inter­nazionale a regimi politici che fanno quotidianamen­te strage di diritti umani a casa loro e che non hanno le carte in regola neppure in materia di razzismo es­sendo noti campioni di propaganda antisemita.
La seconda lezione è che i diritti umani non possono essere facilmen­te separati dal contesto culturale occidentale che li ha generati. La dichiara­zione dei diritti dell'uomo del 1948 e le tante altre di­chiarazioni, convenzioni e istituzioni promotrici dei diritti umani che l'hanno seguita, erano espressioni della tradizione occidenta­le. Rispecchiavano il pre­dominio politico-militare, economico e culturale, del mondo occidentale. Nel momento in cui l'Occi­dente perde peso politico, altri, con alle spalle altre e diverse tradizioni cultura­li, si impadroniscono di quelle istituzioni, e del connesso linguaggio dei diritti umani, cambiando­ne radicalmente l'ispira­zione e il significato.

È proprio in nome dei «diritti umani» (nel senso che essi danno a queste parole) che i Paesi islamici cercano oggi di imporre a tutto l'Occidente una drastica limitazione della libertà di parola e della li­bertà di stampa, erigendo barriere giuridiche che rendano la religio­ne islamica non criticabile. Hanno tentato di farlo con la risoluzione 62/154 dell'Assemblea delle Nazioni Unite. E sono tornati alla carica (salvo recedere a fronte delle proteste occidentali) nei lavori prepara­tori del documento che dovrà essere approvato dalla Conferenza di Ginevra. Chi pensa che i diritti umani siano «transculturali», anzi­ché connotati culturalmente, che siano cioè un minimo comun de­nominatore potenzialmente in grado di essere condiviso da tutti, do­vrebbe riflettere, ad esempio, su quale compatibilità possa mai esser­ci fra i diritti umani nel modo in cui li intendono gli occidentali e la sharia, la tradizionale legge islamica. La terza lezione che si può trar­re dal pasticcio della Conferenza di Ginevra riguarda l'impossibilità di separare diritti umani e politica. A Ginevra «si fa» e «si farà» poli­tica, ossia la questione del razzismo e dei diritti umani verrà usata come arma propagandistica ai fini della competizione di potenza e delle connesse negoziazioni politiche. Come è inevitabile che sia.
La presenza di Ahmadinejad a Ginevra, in particolare, merita at­tenzione. Dal suo discorso, ovviamente, nessuna persona sana di mente si attende un contributo per la «lotta contro il razzismo». Si cercherà piuttosto di capire, leggendo tra le righe, se ci sarà o no qualche segnale di disponibilità alla trattativa sul nucleare iraniano e sugli altri dossier mediorientali da parte dei settori del regime che Ahmadinejad rappresenta o se la risposta alle aperture del presiden­te americano Obama sia già contenuta per intero nella condanna a otto anni per spionaggio appena inflitta alla giornalista america­na- iraniana Roxana Saberi. Sapendo, naturalmente, che Ahmadi­nejad è comunque un presidente in scadenza e che dovrà, nel giu­gno prossimo, affrontare il giudizio degli elettori. Un risultato (para­dossale) la Conferenza sul razzismo lo ha comunque già ottenuto: ha offerto al presidente di un regime assai poco rispettoso dei diritti umani (comunque li si definisca) una tribuna internazionale da cui iniziare la sua personale campagna elettorale.

CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Durban II: gli Usa non vanno, Europa divisa "

GINEVRA — Diciassette pa­gine. Parole da eliminare o li­mare. I diplomatici discutono da mesi per arrivare a un ac­cordo sul documento finale. All’ospite più scomodo, basta­no poche frasi — ancora pri­ma di salire sul podio — per allontanare da Ginevra qual­che altro Paese. «L’ideologia e il regime sionista sono i porta­bandiera del razzismo». Se il termine Israele è uscito dalla bozza, ci pensa Mahmoud Ah­madinejad a farlo rientrare e a metterlo al centro della con­ferenza, che in cinque giorni dovrebbe fare il punto a otto anni dal primo vertice sul raz­zismo. È chiamata Durban II e chi ha deciso di boicottarla (per ora Stati Uniti, Israele, Ita­lia, Australia, Canada, Olanda, Germania e Nuova Zelanda) teme che in Svizzera vada in scena una replica del summit nella città sudafricana.
«I sionisti saccheggiano le ricchezze mondiali controllan­do i centri di potere nel mon­do. Hanno creato le condizio­ni perché non si possa dire nulla di questo fenomeno dia­bolico », ha continuato il lea­der iraniano. Che ieri sera ha visto a cena Hans-Rudolf Merz, presidente della Confe­derazione elvetica, e oggi par­la al palazzo dell’Onu.

Israele -
«Non lo incontri, non gli stringa la mano», ha invocato Aharon Lechnoyaar, ambasciatore israeliano pres­so le Nazioni Unite a Ginevra. Da Gerusalemme, Avigdor Lie­berman, neo-ministro degli Esteri, ha ricordato che dal tra­monto viene commemorato Yom HaShoa: «Ahmadinejad nega l’Olocausto ed è stato in­vitato a tenere un discorso nel giorno in cui ricordiamo sei milioni di ebrei ammazza­ti dai nazisti e dai loro compli­ci ».
L’Ue -
L’Unione europea non ha trovato una linea co­mune. Il Belgio ieri sera era ancora convinto che fosse possibile, i francesi avevano detto che era «fondamenta­le », ma poi sono arrivati il no tedesco e, subito dopo, l’an­nuncio dell’Eliseo che la Fran­cia invece ci sarà. Il Vaticano ha deciso (parteciperà) e Be­nedetto XVI giudica la confe­renza «un’iniziativa importan­te, perché ancora oggi, nono­stante gli insegnamenti della Storia, si registrano tali deplo­revoli fenomeni. Formulo i miei sinceri voti affinché i de­legati lavorino insieme, con spirito di dialogo e di acco­glienza reciproca, per mettere fine a ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleran­za, ».
Anche la Gran Bretagna ha scelto di essere a Ginevra «per fare la guardia contro un inaccettabile tentativo di ne­gare l’Olocausto» (l’Iran ha
provato a cancellare qualun­que accenno dal testo in di­scussione).
Gli Usa -
Il no americano è arrivato dopo che le modifi­che alla bozza non sono state considerate «soddisfacenti»: tolti i riferimenti allo Stato ebraico e alla diffamazione delle religioni (voluti dalle na­zioni musulmane), vengono riaffermate le conclusioni di Durban I, contestate da molti Paesi occidentali. «Sarei pron­to a essere coinvolto in una conferenza che affronta in mo­do utile la discriminazione. Credo nell’Onu, ma non pos­so accettare un linguaggio controproducente e afferma­zioni ipocrite contro Israele», ha spiegato il presidente Ba­rack Obama.
L’Onu -
«Sono scioccata e profondamente dispiaciuta dalla decisione degli Stati Uni­ti di non intervenire», ha com­mentato Navi Pillay, alto com­missario per i Diritti umani, che organizza il vertice. «Qui vogliamo affrontare e combat­tere il razzismo, la xenofobia e altre forme di intolleranza in tutto il mondo. Non riesco a capire: il Medio Oriente non è nominato nel testo, eppure la questione continua a intro­mettersi nel dibattito».

CORRIERE della SERA - " Alan Dershowitz allontanato: 'Volevo sfidare Ahmadinejad' "

GINEVRA — Il piano del principe del foro Usa e professore di Legge di Harvard Alan Dershowitz era di affrontare il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ieri a Ginevra e dirgli chiaramente cosa pensa delle sue opinioni sull’Olocausto e su Israele.
Ahmadinejad, arrivato a Ginevra per la Conferenza internazionale contro il razzismo, si è incontrato con il presidente svizzero Hans-Rudolf Merz. Ad attenderlo c’era Dershowitz, che è stato però allontanato dalla sicurezza.
Appena eletto, nel 2005, Ahmadinejad disse che Israele dovrebbe essere cancellato dalle carte geografiche, e ha espresso tante volte il sospetto che l’Olocausto non sia mai avvenuto, definendolo «un mito». Nel 2008, Dershowitz chiese a Condoleezza Rice, allora segretario di Stato Usa di boicottare Durban II, definendo la conferenza «antisemita» in una petizione firmata da 25 persone tra le quali anche il premio Nobel Elie Wiesel. Quando Ahmadinejad fu invitato a parlare alla Columbia University, Dershowitz si dichiarò favorevole. «Ahmadinejad è il leader politico di un Paese molto potente e voler ascoltare le sue idee per confutarle nel mercato libero delle idee è plausibile — disse al Corriere —. Come lo sarebbe stato negli anni ’30 con Hitler».
Dershowitz è anche campione di battaglie controverse. Nel 2002 fece scandalo proponendo la legalizzazione della tortura dei terroristi «quando questo può salvare vite umane».

CORRIERE della SERA - Ennio Caretto : " Anche Stalin firmò per i diritti dell’uomo "

Paul Kennedy dichiara : " E in previ­sione di una denuncia di Israele — che ha fornito l’occasione al­l’Islam con la sua sproporzio­nata reazione a Gaza... ". Che senso ha discutere di proporzioni quando si tratta di autodifesa? Quella a Gaza è stata una guerra contro Hamas, organizzazione che vuole distruggere lo Stato ebraico, e che da mesi terrorizzava la popolazione del sud del paese, non una risposta "sproporzionata".
In ogni caso l'Islam fondamentalista non ha certo avuto bisogno della guerra a Gaza per diventare antisraeliano. Il suo odio è per ciò che Israele è (una democrazia occidentale, e lo Stato degli ebrei), non per ciò che fa ?
Ecco l'intervista:

WASHINGTON — Per lo storico Paul Kennedy, autore di Ascesa e de­clino delle grandi potenze e de Il Par­lamento dell'uomo (l’Onu), la Confe­renza sul razzismo non segnerà una svolta storica: «Dopo accuse e con­traccuse, propaganda e scontri, sfo­cerà in una di quelle dichiarazioni solenni che rappresentano in realtà dei modesti compromessi». Il do­cente dell’Università di Yale, che sta scrivendo un libro sulla Seconda guerra mondiale, è scettico sull’effi­cacia di simili iniziative: «Il rispetto dei diritti umani si impone solo con risoluzioni vincolanti. C’è da chie­dersi chi e quanti le vorrebbero vera­mente perché la sede adatta non è certo questa conferenza. Inoltre c’è il pericolo che essa assuma un tono antisemita».
Lei è pro o contro il boicottag­gio di Durban II, a Ginevra?
«È una questione di grigio, non di bianco e di nero. Io penso che i nostri governi si siano posti un in­terrogativo etico e uno politico. È giusto o ingiusto il boicottaggio, vi­sto che una gran parte dei Paesi fir­merà la dichiarazione senza alcuna intenzione di rispettarla? E in previ­sione di una denuncia di Israele — che ha fornito l’occasione al­l’Islam con la sua sproporzio­nata reazione a Gaza — è poli­ticamente vantaggioso o svantaggioso parteciparvi?».
Di qui le opposte decisio­ni degli alleati?
«Esattamente. L’America e l’Italia si sono dette che il boi­cottaggio è giusto e partecipa­re alla Conferenza sarebbe dannoso. La Gran Breta­gna e la Francia hanno invece concluso che, nonostante i dubbi e i rischi, conviene dimo­strare di essere alla ri­cerca di un dialogo onesto. Su Obama, secondo me, ha pe­sato altresì il timore che una presen­za americana a Ginevra gli alienasse l’opinione pubblica interna oltre che Israele, che diffida di lui».
Una divisione inattesa tra Lon­dra e Washington?

«Diciamo una divisione in contra­sto con la Storia. Circa 25 anni fa, il presidente Usa Ronald Reagan e la premier britannica Margaret Tha­tcher lasciarono all’unisono l’Une­sco
perché aveva equiparato il sioni­smo al razzismo».
Perché è scettico su Durban II?
«Lo sono stato anche su Durban I, nel 2001, manipolata e strumentaliz­zata da troppi Paesi. Io sono scettico sulla Dichiarazione universale dei di­ritti dell’uomo del 1948, che propo­neva anche il pieno impiego, l’assi­stenza sanitaria di Stato. Il presiden­te americano Truman la firmò per­ché sapeva che, a differenza delle ri­soluzioni del Consiglio di sicurezza, non aveva valore legale. La firmò persino Stalin, un violatore dei dirit­ti umani».
Dovrebbe farse­ne carico il Consi­glio di sicurezza?
«Il Consiglio è bloccato da cinque potenze conserva­trici che hanno macchie razziste, presenti o passate, da nascondere, l’America i neri, la Russia la Cecenia, la Cina il Tibet, la Francia gli arabi, l’Inghilterra il Kenya. E si trincera dietro il principio che deve decidere delle questioni di guerra e pace non delle libertà civili. Insomma, rifiuta di interessarsene se non in casi cir­coscritti ».
Non c’è il Consiglio dei diritti umani dell’Onu?

«Il Consiglio, come la precedente Commissione, a volte è ostaggio di Paesi che promuovono delle decisio­ni inique o che vanificano quelle eque. Invece di penalizzare sempre, come dovrebbe, quanti fanno del raz­zismo o peggio fanno del genocidio, in certi momenti li ignora o li na­sconde
».
Qual è il rimedio?

«Bisogna martellare il messaggio antirazzista. Quando l’Onu fece la Di­chiarazione universale sui diritti umani, l’impatto fu forte, creò gran­di aspettative. Idem quando fu vara­to il protocollo di Kyoto contro l’emissione di gas serra. Le grandi po­tenze devono alimentare le aspettati­ve e premere molto più fortemente sulle nazioni interessate alle buone relazioni con loro, ma che ancora vio­lano i diritti umani. Se lo faranno, in futuro anche conferenze come quella di Ginevra produrranno frutti».

Il GIORNALE - Alessandro Caprettini : " L’Ue non sa parlare con una sola voce"

Roma«Una delle più grandi delusioni delle mie esperienze internazionali...». Non usa troppi giri di parole Franco Frattini nel commentare il fallimento della ricerca di una posizione comune della Ue sulla conferenza dell’Onu sul razzismo. «Un errore gravissimo - continua il ministro degli Esteri - perché denota l’incapacità, nonostante le tante parole spese a riguardo, di trovare almeno un minimo comun denominatore su un problema di base: quello della lotta alle discriminazioni di cui ci facciamo spesso portavoci a Bruxelles. E il bello è che, in sede di consiglio, tra tutti e 27, eravamo riusciti a trovare una posizione comune su un testo elaborato dagli olandesi. Si era detto: o i documenti preparatori cambiano, o la Ue presenterà il suo testo...».
E invece...
«E invece alla fine in qualcuno è prevalsa la linea del compromesso, del lasciar lavorare il mediatore russo, dell’indifferenza su un tema che dovrebbe pur sempre restare un pilastro della Ue, quello cioè dei diritti della persona».
Lezione amara, quella che si ricava dal dietrofront di altri Paesi europei, rispetto alla coerenza italiana e olandese, no?
«Di fatto si dimostra una volta di più che l’Europa, nonostante le intenzioni dichiarate, non è capace di parlare a una sola voce. Il che lascia liberi i Paesi membri di decidere singolarmente in base a quelli che ritiene i propri principi fondamentali».
Ministro Frattini, ma perché secondo lei alcuni Paesi come la Gran Bretagna hanno deciso che a Ginevra ci saranno, nonostante avessero detto, con l’Italia e il resto della compagnia, che equiparare Israele a un Paese razzista non era assolutamente condivisibile? Affari o che altro?
«Non lo so. Immagino si sia preferito un compromesso a tutti i costi. E ciò nonostante il fatto che nei testi predisposti per l’appuntamento di Ginevra, a parte qualche piccolo miglioramento, si mantenga un’impostazione di base che equipara Israele a un Paese razzista anziché a una democrazia. Ci sono tuttora frasi inaccettabili che un pizzico di coerenza con quanto affermato nella riunione dei ministri degli Esteri Ue, avrebbe dovuto indurre a rinunciare a prender parte alla conferenza. Come abbiamo deciso noi e come hanno scelto di fare anche Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Olanda. Senza contare che sono curioso di vedere poi in quanti saranno a Ginevra...».
Che vuole dire?
«Le rivelo una cosa: a tutt’oggi (domenica, ndr) sono solo 50 i Paesi ad aver confermato la loro partecipazione su 160 invitati. Certo, alla fine risulteranno più dell’esiguo numero delle attuali conferme, ma le pare che quanto emergerà da Ginevra a firma Onu, possa avere quella credibilità che avremmo voluto per un discorso nobile quale la necessaria lotta al razzismo se verranno a mancare tanti e importanti Paesi?».
Beh, diciamo la verità: che se nella Ue si stenta ancora troppo per trovare un’intesa financo sui principi, a livello mondiale non è che le Nazioni Unite siano viste più come una entità credibile, no?
«Io credo che l’Onu possa ancora avere una grande importanza se riesce a coagulare consensi su problemi veri e concreti. Quando invece si deve constatare che un Consiglio di sicurezza resta impantanato nei veti reciproci o che interventi in aree di crisi importanti - e penso all’Africa - non si possono mettere in piedi per i contrasti esistenti o che, ancora, in conferenze come quella sul razzismo passano non regole valide e condivisibili, ma testi di parte, è chiaro che non ci siamo. Non è del resto un caso che proprio l’Italia, da tempo, va reclamando una profonda riforma dell’organizzazione delle Nazioni Unite».
Predichiamo però in una terra di sordi, non è vero?
«Siamo testardi e continuiamo a tendere a una riforma che privilegi principi e valori di fondo: più rappresentatività, più partecipazione. E poi non siamo soli: a febbraio scorso, su invito della Farnesina per un discorso di riforma dell’Onu, sono stati 70 i Paesi che hanno inviato i loro rappresentanti a Roma».
Ma anche in questo caso un pezzo d’Europa non fa quadrato con l’altro pezzo...
«Questo è un punto vero e dolente. Torno a ripetere: non è possibile che la Ue, che ha preso impegni precisi col trattato di Lisbona, parli tanto di unità ma poi si ostini a non voler creare una politica comune. E mica penso solo a Durban 2! Pensate al problema dell’immigrazione: proprio stamane (ieri per chi legge, ndr) ho parlato con Maroni cui ho assicurato che al prossimo consiglio a 27 solleverò il problema, riaperto dal caso del mercantile Pinar. Perché non si può pretendere che tutti seguano le stesse regole e poi su un problema di questo tipo si scarichi ogni responsabilità solo su chi se lo trova in casa. Non abbiamo sempre parlato di diritti civili come vero e proprio pilastro della Ue? O, quando conviene agli altri, divengono ammennicoli o optional?».
E intanto a Ginevra l’Italia non ci sarà.
«In linea con quanto sempre detto da noi e dalla Ue. E perché andar là e fare i testimoni silenziosi alla fine non paga: si rischia solo la complicità».

La REPUBBLICA - Marco Ansaldo : " È il summit dell´odio contro il popolo ebraico "

GERUSALEMME - «Ahmadinejad come Hitler». Questa si era già sentita. «Svizzera paese ospitante di una conferenza dell´odio razziale». E qui siamo già più sull´inedito. «Il Papa?». Silenzio incredulo. «Davvero il Papa ha parlato?». Silenzio imbarazzato. «Ha benedetto i lavori del vertice?». Esclamazione finale. «Se davvero il pontefice sa di quel che si tratta a Durban-2, beh, allora possiamo essere seriamente preoccupati. Possiamo ben capire il potere della Chiesa e i tanti comportamenti avuti nel passato».
E´ una furia, Natan Sharansky. Appena ieri mattina il difensore storico dei diritti umani in Israele è stato candidato dal premier Benjamin Netanyahu a guidare l´Agenzia ebraica, il braccio esecutivo dell´Organizzazione sionista. E dall´alto di tante battaglie vissute - prima come condannato ai lavori forzati nei gulag sovietici, poi a fianco del fisico dissidente Andrej Sakharov, infine come scrittore, parlamentare e ministro di alcuni dicasteri chiave a Gerusalemme - esprime ora tutto il suo sdegno nei confronti della controversa conferenza Onu sul razzismo che si apre questa mattina a Ginevra.
Una rabbia, dice Sharansky a Repubblica, che è di tutta Israele, «di tutto il governo unito, di tutte le parti politiche, senza eccezioni». Una battaglia che lo vede in prima linea. Nei prossimi giorni addirittura pronto a scendere in piazza, a parlare «di questa vergogna». Come sempre, da consumato e abile stratega. Come dimostrò quella volta che riuscì a battere in una partita a scacchi nientemeno che il campione mondiale Garry Kasparov.
Natan Sharansky, Durban-2 sembra stia spaccando il mondo in chi andrà e chi no al vertice. Voi che impressione avete?
«Noi crediamo che tutto questo sia diventato davvero spiacevole. Quello organizzato in Svizzera è un vertice, anzi un festival, dell´odio. E, aggiungerei purtroppo, dell´odio razziale».
Molti Paesi però sentono la necessità di parteciparvi comunque.
«Lo stiamo vedendo. Come vediamo pure che altri governi, come quello americano, quello tedesco, quello italiano, ad esempio, hanno invece deciso di boicottare il summit. In questo senso, non andare a Ginevra diventa un fatto importante, discriminante fra chi vi prende parte e chi no».
Siete adirati con la Svizzera perché ha invitato il presidente iraniano Ahmadinejad, che predica la cancellazione d´Israele dalle mappe geografiche, definisce Israele come "portabandiera del razzismo", e bolla l´Olocausto come "un mito"?
«Naturalmente. Ma non solo. I Paesi arabi hanno definito il sionismo come razzismo. Noi non andremo anche per questo. Mi sembra, piuttosto, che il comportamento del governo svizzero sia tipico di alcuni leader europei del passato, che non capirono, fino all´ultimo, la pericolosità di Adolf Hitler. Per alcuni aspetti Ahmadinejad è paragonabile al dittatore tedesco. Eppure ancora oggi c´è chi non vuole ascoltare. A Ginevra il capo dello Stato svizzero e i leader europei non dovrebbero nemmeno stringergli la mano».
A Ginevra pure l´Europa andrà divisa: Francia e Gran Bretagna, ad esempio, parteciperanno.
«Meglio divisa, in questo caso, che unita e compatta. Io ricordo bene la prima conferenza, a Durban, nel 2001. Fu tremenda. E in quell´occasione Stati Uniti e Israele ebbero il coraggio di esprimere le posizioni legittime del mondo libero. Ma oggi mi stupisco della scelta fatta da Francia e Gran Bretagna, solitamente, storicamente nazioni paladine di diritti umani e democrazia».
E sulla presa di posizione del Papa?
«Il Papa?»
Sì, oggi il Papa ha benedetto i lavori della conferenza, perché la ritiene utile per combattere contro le discriminazioni. E ha inviato una delegazione vaticana.
«Sul serio?»
Sul serio.
«Dunque, le ipotesi sono due. O il pontefice semplicemente non capisce il contenuto della conferenza, ed è un conto. O invece è a conoscenza di che cosa si parlerà a Ginevra e con chi. E se fosse vera l´ultima ipotesi, allora questo potrebbe essere motivo per noi di grande preoccupazione. Anche in vista del suo prossimo viaggio qui in Israele. Possiamo meglio comprendere il potere della Chiesa e i tanti comportamenti espressi in passato dal Vaticano».

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