Riportiamo dalla REPUBBLICA di ieri a pag. 1 - 28 l'articolo di Bernardo Valli dal titolo " Se Le Monde critica l'Italia " . Valli scrive che Philippe Ridet, corrispondente di LE MONDE, dopo aver scritto un articolo poco lusinghiero su Silvio Berlusconi, sia stato costretto a presentarsi alla Farnesina per fornire spiegazioni e scuse. Come scrive Valli, questo comportamento è tipico delle dittature e non di un Paese democratico. Infatti, come scritto nell'articolo di Marcello Foa sul GIORNALE di oggi, 15/04/2009, dal titolo "Bugie sull’Italia: le Monde contro Repubblica "Philippe Ridet ha smentito l'articolo di Valli dichiarando che, in realtà, era alla Farnesina per tenere un corso e non per prendersi le bacchettate di Berlusconi.
Se questo è il genere d'informazione propinata dal quotidiano diretto da Ezio Mauro, e di proprietà dell'Ing.Carlo de Benedetti, non ci stupiamo dell'atteggiamento pregiudizialmente ostile a Israele. Ecco gli articoli di Bernardo Valli e Marcello Foa:
La REPUBBLICA - Bernardo Valli : " Se Le Monde critica l'Italia "
Avrei scritto anch´io, non volentieri ma con slancio, l´articolo di Philippe Ridet pubblicato ieri da Le Monde. Questa mia immediata e candida affermazione deriva dal fatto che quanto dice il corrispondente del quotidiano parigino lo sentono molti italiani come me residenti all´estero.
In particolare se svolgono lo stesso mestiere di Ridet e quindi vedono quotidianamente come l´immagine dell´Italia si riflette fuori dai patri confini. L´Italia soffre, scrive Ridet, ma non vuole essere criticata dagli stranieri. E il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che controlla in quanto diretto proprietario o in quanto capo del governo l´ottanta per cento dei media, è l´araldo di questa «resistenza». Resistenza che si esprime con una raffica di proteste dei nostri ambasciatori invitati dal loro ministro a reagire quando i quotidiani stranieri parlano male dell´Italia.
È capitato al Times quando ha ironizzato sulle parole di Silvio Berlusconi che invitava i rifugiati dell´Aquila a «passare il weekend di Pasqua al mare». È capitato al Guardian quando ha scritto che la fusione tra Alleanza Nazionale e Forza Italia segnava la nascita di una formazione «postfascista». È capitato al Pais quando ha definito Berlusconi uno dei leader «più sinistri». E allo Spiegel quando, al momento delle immondizie napoletane, ha chiamato l´Italia «uno stivale puzzolente».
Questi interventi diplomatici presso organi di stampa di paesi democratici sono di solito praticati da governi autoritari o dittatoriali, particolarmente sensibili alle critiche, considerate insulti, anche perché spesso ignorano le libertà di informazione e di opinione, non essendo quest´ultime parte della loro tradizione.
Philippe Ridet racconta come lui e il suo collega del Wall Street Journal siano stati convocati alla Farnesina (sede del nostro ministero degli Esteri) e invitati a spiegare come vedevano l´Italia e con quali criteri la raccontavano nelle loro corrispondenze. I due giornalisti si sono trovati d´accordo per dire, con un linguaggio diplomatico simile a quello usato dai loro interlocutori, che almeno quattro ostacoli impedivano di fare l´elogio quotidiano della Penisola: «La mafia (e le sue declinazioni locali), l´inefficienza dell´amministrazione e dello Stato in generale, la politica xenofoba raccomandata - e a volte applicata - dalla Lega del Nord e gli spropositi verbali (mauvaises blagues) di Silvio Berlusconi». Aggiungo io, ancora, sebbene sia superfluo sottolinearlo, che queste convocazioni di giornalisti stranieri da parte delle autorità, sia pure fatte con garbo, vale a dire con diplomazia, sono di solito pratica corrente nei paesi emergenti, dove le critiche, indispensabile sale di ogni libero giornalismo, sono considerate violazioni di lesa maestà.
Scrive Ridet: «Suscettibile, Silvio Berlusconi? Sì, ma non più degli italiani che rifiutano di riconoscersi nello specchio che tende loro la stampa straniera. Eppure non sono avari nel criticare se stessi. Hanno persino inventato un´espressione per questo, l´autolesionismo, al fine di evocare la loro tendenza a vedersi come gli ultimi della classe, impopolari in Europa. Ma quando qualcuno lo fa al loro posto, subito gli stessi che si descrivono "abitanti di un paese in cui nulla funziona" inforcano il cavallo dell´orgoglio nazionale. Ne è un´illustrazione l´atteggiamento pieno di dignità offesa di Silvio Berlusconi che rifiuta l´aiuto internazionale dopo il dramma dell´Aquila».
Il corrispondente di Le Monde ricorda l´intolleranza di Silvio Berlusconi nei confronti dei giornali italiani che descrivono la corruzione, i pubblici abusi e i delitti mafiosi. Precisa Ridet, nella sua Lettre d´Italie, che il presidente del Consiglio si è detto persino tentato di ricorrere «a misure dure». L´irritazione di Berlusconi è dovuta anche al fatto che i giornalisti stranieri traggono dalla stampa nazionale le notizie per le loro corrispondenze. Da un lato prospetta quindi «misure dure», e dall´altro tenta di tenere a bada la stampa straniera mobilitando gli ambasciatori. Come fanno, appunto, i regimi autoritari. L´operazione diplomatica è destinata ad alimentare la cattiva immagine della nostra democrazia, incapace di sopportare le critiche. E accentua la caricatura del presidente del Consiglio.
Philippe Ridet è comunque garbato nella sua Lettre d´Italie, poiché aggiudica tutto all´orgoglio nazionale, ben radicato anche nel suo paese. Molti italiani che vivono fuori dai patri confini sono colpiti invece dal fatto che quell´orgoglio non spinga a ripudiare democraticamente all´interno, l´immagine reale dell´Italia oggi in Europa.
Il GIORNALE - Marcello Foa : " Bugie sull’Italia: le Monde contro Repubblica "
Pensava di aver scritto un pezzo leggero, diverso dal solito, per spiegare ai francesi come gli italiani vedono loro stessi. E invece, Philippe Ridet, corrispondente da Roma di Le Monde, ieri mattina leggendo la Repubblica ha scoperto di aver scritto un altro articolo, dai toni drammatici, in cui descrive l’Italia come un Paese che, con Berlusconi, intimidisce i giornalisti stranieri e adotta «interventi di solito praticati da governi autoritari dittatoriali». O almeno così lo ha interpretato Bernardo Valli, firma storica del quotidiano diretto da Ezio Mauro, secondo cui Ridet sarebbe stato addirittura «convocato alla Farnesina». Davvero?
«Assolutamente no», risponde Ridet al Giornale.
E allora che cosa è successo?
«Ciò che ho scritto. Lo scorso febbraio io e il corrispondente del Wall Street Journal siamo stati invitati dal ministero degli Esteri italiano a spiegare a un gruppo di giovani diplomatici, riuniti in seminario, come la stampa straniera vede il vostro Paese».
Avete ricevuto pressioni?
«Per nulla, il clima era cordiale e siamo stati trattati con molta simpatia. D’altronde queste sono iniziative ricorrenti in ogni Paese. Anche in Francia e in Gran Bretagna i governi invitano i giornalisti stranieri per spiegare a futuri addetti stampa o consoli o ambasciatori, le logiche e le aspettative dei media».
Ma perché «Repubblica» scrive che lei è stato convocato?
«Dovete chiederlo a loro, io non sono mai stato convocato alla Farnesina e non ho affatto accusato Berlusconi di essere un dittatore. I miei rapporti con Palazzo Chigi sono ottimi».
Eppure leggendo Valli si ha l’impressione che lei abbia lanciato un durissimo «j’accuse»...
«Il mio non era un editoriale, ma una “lettera dall’Italia” ovvero un pezzo di impressioni, scritto in punta di penna che intendeva essere sottile, come d’altronde è il vostro Paese, contrariamente a quanto pensano molti miei connazionali. E il titolo ben rispecchiava lo spirito del mio articolo».
Già, il titolo è «Specchio, mio bello specchio...».
«Ed è dedicato all’autolesionismo degli italiani, che spesso parlano male del proprio Paese, ma che in certi frangenti, come in occasione del terremoto, riscoprono l’orgoglio nazionale. Tra l’altro citavo proprio un articolo del Giornale, che lamentava come l’Italia sia vittima, sulla stampa internazionale, dei pregiudizi: la terra della pizza, del mandolino e, da poco, del razzismo».
Berlusconi biasima spesso i giornali stranieri e lei cita alcuni esempi. Ma le rimostranze del premier sono fuori dalla norma rispetto ai governi di altri Paesi?
«No. Per tre anni, dal ’95 al ’98 ho seguito Nicolas Sarkozy in Francia e la situazione era analoga. I giornalisti criticano, attaccano; i politici si difendono e parano i colpi, talvolta esercitando pressioni o lamentando i trattamenti ingiusti dei media. Ma tutto questo fa parte delle regole del gioco e rientra nella normale dialettica tra la stampa e il potere».
Ma lei parla solo male del governo italiano?
«Io cerco di essere oggettivo, di calarmi nella vostra realtà per spiegare ai lettori di Le Monde com’è davvero il vostro Paese, quali sono le dinamiche, i valori, i pregi e i difetti della vostra società. Da parte mia non c’è nessun pregiudizio nei confronti dell’Italia e come potrei? Mia moglie è italiana, i miei figli bilingue. E non è mia intenzione polemizzare con Palazzo Chigi. Se ritengo che il governo italiano debba essere criticato lo scrivo e ho anche spiegato, ai vostri diplomatici, le quattro ragioni per cui l’Italia non gode di buona stampa nel mondo. Ma mi comporto allo stesso modo quando ritengo che il vostro governo debba essere elogiato». Ad esempio?
«Sto scrivendo un articolo su Bertolaso, che secondo me ha lavorato benissimo in occasione del terremoto. E secondo me Santoro sbaglia: è lecito biasimare la Protezione civile, ma al momento e nel contesto giusto. Mi sembra che il comportamento in Abruzzo non giustificasse un attacco così forte».
Ma come spiega l’interpretazione di «Repubblica»?
«È un giornale di sinistra e ha cercato un pretesto per attaccare Berlusconi. Ma i commenti più duri erano di Valli, non miei».
Per inviare la propria opinione a Repubblica e Giornale, cliccare sulle e-mail sottostanti