La politica del dialogo iniziata da Obama non funziona. La notizia che l'Iran ha inaugurato ieri un nuovo impianto nucleare ne è la prova. Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 10/04/2009, a pag. 20, la cronaca di Gian Micalessin dal titolo " E Teheran rilancia la sfida alla Casa Bianca ", dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'analisi di Guido Olimpio dal titolo " Dalla Cina a Miami Un magistrato indaga sulla rete della Bomba " e l'articolo di Roger Cohen dal titolo " Negoziare è necessario Israele esagera il pericolo ", dalla STAMPA, a pag. 14, l'analisi di Maurizio Molinari dal titolo " Missione segreta per finanziare i gruppi rivoluzionari ", dalla REPUBBLICA,a pag. 14, l'intervista di Vanna Vannuccini al fisico iraniano Ahmad Shirzad dal titolo " Ma è solo propaganda interna l´uranio arricchito è una chimera " e dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'intervista di Francesco Battistini a Amir Menashe dal titolo " E’ il solito inganno. Resta un regime fanatico ". Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Gian Micalessin : " E Teheran rilancia la sfida alla Casa Bianca "
Disponibile a parole, inflessibile nei fatti. A meno di 24 ore dalle aperture dell’America di Barack Obama, pronta a colloqui diretti con l’Iran all’interno di quel «5+1» formato dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e dalla Germania, il presidente Mahmoud Ahmadinejad cala l’asso di picche iraniano. Ed è un asso pesante e concreto, molto più significativo delle parole di circostanza con cui il presidente iraniano esprimeva, poche ore prima, una disponibilità di principio nei confronti dei nuovi negoziati.
Per posare quell’asso di picche Ahmadinejad sceglie tempi e luoghi significativi. Il momento è quello del terzo anniversario del primo, riuscito esperimento d’arricchimento dell’uranio. Il luogo è il nuovissimo stabilimento di Isfahan, futura fucina di tutto il combustibile nucleare destinato al reattore della centrale atomica di Busher e a quello ad acqua pesante in costruzione ad Arak. L’asso di picche iraniano prende forma in quel luogo simbolico, si concretizza parola dopo parola nei discorsi con cui il presidente e i suoi collaboratori annunciano la prossima entrata in funzione di nuove e più potenti centrifughe destinate ad affiancarsi alle settemila di tipo più vecchio che già sfornano uranio arricchito a tutto ritmo.
Poi, come se non bastasse, c’è il taglio del nastro dello stabilimento. Il luogo è per ora puramente simbolico visto che gran parte dell’attività è concentrata nei laboratori sotterranei di Natanz, ma è destinato, se l’Iran riuscirà a far digerire alla comunità internazionale i suoi piani atomici e a non farsi bombardare, a diventare il cuore della produzione di combustibile nucleare. Da quello stabilimento usciranno nei piani di Teheran 10 tonnellate all’anno di combustibile per il reattore ad acqua pesante di Arak e 30 tonnellate di uranio arricchito per la centrale atomica di Busher.
«La nazione iraniana ha fin dall’inizio seguito la logica dei negoziati, ma basati sulla giustizia e sul completo rispetto dei diritti e delle regole», aveva detto il presidente iraniano qualche ora prima di tagliare il nastro dello stabilimento di Isfahan. In quelle parole gli osservatori più ottimisti si sforzavano d’intravedere il bicchiere mezzo pieno. Dopo la cerimonia di Isfahan è chiaro che la parte più esplicita del discorso era invece quella in cui il presidente ricordava che «i negoziati di parte tenuti in un’atmosfera di minaccia e di condizionamento non sono qualcosa di accettabile per una persona libera». Ahmadinejad ha insomma disegnato un altro doppio «no» all’America di Barack Obama. Un no ricamato con tratto velato e ambiguo nelle dichiarazioni ufficiali rivolte all’America, ma iscritto a chiare lettere in quei fatti destinati a comprovare l’irreversibilità del progetto nucleare iraniano. A sancirlo anche a parole ci pensa il capo della commissione parlamentare sulla sicurezza nazionale Alaedin Boroujerdi. «Oggi l’Iran prova con i fatti che il suo ciclo di produzione di combustibile nucleare è stato completato e di conseguenza la sospensione dell’arricchimento dell’uranio non è più oggetto di discussione».
A rendere più pesante l’asso di picche del presidente contribuisce il suo vice Gholam Reza Aghazadeh, responsabile tra l’altro della commissione nucleare iraniana, spiegando che le nuove centrifughe, di produzione interamente nazionale, «aprono una nuova fase negli sviluppi della tecnologia per l’arricchimento dell’uranio». Parole che allarmano ancor di più la comunità internazionale, perché grazie a quelle nuove centrifughe non solo sarà più facile e veloce produrre combustibile nucleare per usi pacifici, ma sarà anche più semplice portarlo ai livelli di arricchimento superiori all’85 per cento necessari per un’arma atomica.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Dalla Cina a Miami Un magistrato indaga sulla rete della Bomba "
WASHINGTON — Robert Morgenthau è un mastino e quando agguanta la preda difficilmente se la lascia scappare. Morgenthau è il magistrato di Manhattan responsabile di una delicata inchiesta sui traffici nucleari — e finanziari — in favore di Teheran. Un flusso di tecnologia, metalli, know how che ha permesso agli iraniani di compiere passi considerevoli nel lungo cammino verso la Bomba. Se, ieri, il presidente Ahmadinejad ha celebrato i nuovi successi è anche merito di un network sofisticato, toccato solo in parte dalle indagini del procuratore statunitense. Che pure è riuscito a colpire duro al punto da meritarsi l’elogio del quotidiano Wall Street Journal:
«Se solo la Cia fosse efficace contro l’Iran come lo è Morgenthau ». Parole di rimpianto che tradiscono le difficoltà nel fronteggiare il safari tecnologico degli ayatollah. Un programma sul quale non tramonta mai il sole in quanto Teheran compra in Cina, conduce le transazioni attraverso banche americane ed europee, mantiene società ombra a Dubai e nel Vecchio Continente, dispone di trafficanti — non iraniani — a Mosca e Miami.
Le prove del mercato nero nucleare sono emerse in modo chiaro dalle 118 pagine scritte da Morgenthau per spiegare l’attività del cinese Li Fang Wei e della sua ditta, la Limmt. Con il classico sistema delle compagnie di copertura, l’indagato ha ceduto al «Dio», il dipartimento per la difesa iraniano, materiale sensibile che può essere utilizzato nella messa a punto di missili a lungo raggio così come nel programma atomico. Un accordo, in violazione delle risoluzioni Onu, svilupp atosi nel periodo 2006-2008 e che ha riguardato tonnellate di metalli preziosi suscettibili di impiego militare. E poiché la Limmt è dal 2004 nella lista nera del Tesoro americano, Li Fang Wei ha creato le ditte schermo, che hanno condotto le trattative con l’Iran diventando «tra le maggiori fornitrici di armi di distruzione di massa ».
Se Morgenthau da New York dava la caccia ai cinesi, in Florida e in California altri magistrati seguivano una seconda filiera incaricata da Teheran di procurare pezzi di ricambio per aerei ed elicotteri. Ripetendo uno schema adottato negli Anni ’80, gli iraniani hanno affidato la missione alle «formiche». Titolari di piccole imprese, si occupano di import-export legali, non danno troppo dell’occhio e per questo, al momento opportuno, possono comprare i prodotti proibiti richiesti dagli ayatollah. Alcuni di loro hanno messo le tende nel nostro Paese dove con grande discrezione si sono occupati della «spesa» militare.
CORRIERE della SERA - Roger Cohen : " Negoziare è necessario Israele esagera il pericolo "

La foto, ormai famosa, dell'inchino di Obama al satrapo saudita pubblicata due giorni fa da IC e uscita oggi sul CORRIERE della SERA.
Mettere in guardia Obama e l'Occidente dal pericolo che comporta l'Iran in grado di costruire una bomba atomica non è "gridare al lupo", ma esporre con realismo i fatti. Roger Cohen ritiene, erroneamente, che Israele cerchi di neutralizzare l'Iran per motivi economici. Ahmadinejad, invece, ha dichiarato più volte di voler eliminare Israele dalle cartine geografiche e, con una bomba atomica, sarà semplice portare a compimento il suo piano. A meno che....
Ecco l'articolo:
WASHINGTON — «L’Iran è il covo del terrorismo, del fondamentalismo e della destabilizzazione, e a mio avviso è più pericoloso del nazismo, perché Hitler non aveva l’atomica, mentre gli iraniani cercano di mettere a punto l’arma nucleare». Parole di Benjamin Netanyahu nel 2009? Sbagliato.
La frase è stata detta da un altro premier israeliano (oggi presidente), Shimon Peres, nel ’96: 4 anni prima aveva previsto che l’Iran si sarebbe dotato della bomba entro il ’99. Non si può accusare gli israeliani di non aver gridato al lupo. Ehud Barak, oggi ministro della Difesa, disse nel ’96 che l’Iran sarebbe stato in grado di produrre armi nucleari per il 2004. Ora Netanyahu, intervistato dal fedele stenografo Jeffrey Goldberg di The Atlantic, propone l’ultimo tentativo di Israele per dipingere l’Iran come la reincarnazione nazista del male: «Non vogliamo che una fede apocalittica e messianica abbia il controllo di bombe atomiche. Quando il fanatico fondamentalista stringe le redini del potere e le armi di sterminio di massa, il mondo intero dovrebbe preoccuparsi »... Il problema oggi è chiaramente l’Iran o, meglio, quello che il presidente Barack Obama pensa della convinzione di Netanyahu che (economia a parte) la grande missione di Obama sia «di impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari », un’eventualità segnata sui calendari israeliani per i prossimi mesi. La tanto vituperata «fede apocalittica e messianica » di Teheran è, ovviamente, la stessa con cui Israele faceva affari d’oro negli anni ’80, per indebolire l’Iraq di Saddam Hussein...
Israele, come fa da quasi due decenni, tenta di assicurarsi il sostegno Usa ed evitare ogni scossone svantaggioso nell’equilibrio di potere in Medio Oriente, che oggi pende pesantemente a suo favore, dipingendo l’Iran come uno Stato canaglia pronto alla guerra nucleare... Il timore è che Obama consideri con giusto scetticismo gli allarmi di Netanyahu, lo rimetta in riga e prosegua con le aperture verso Teheran... La mossa strategica fondamentale di Obama è stata di allontanarsi dalla retorica del «con noi o contro di noi» della guerra al terrore per favorire un riavvicinamento col mondo musulmano al fine di isolare i terroristi. Non sarà possibile se l’America o Israele dovessero ritrovarsi in guerra con i musulmani iraniani, oltre che arabi, e se Netanyahu riuscisse a convincere l’America a restare ancorata alla mentalità della guerra al terrore. L’unico modo per impedire all’Iran la corsa al nucleare e incoraggiare le riforme in un regime oppressivo è sedersi al tavolo dei negoziati. C’è tempo. I «mesi » tanto paventati sono un paio d’anni a venire. L’Iran ha accumulato uranio a basso livello di arricchimento. Per la bomba occorre uranio altamente arricchito... L’egemonia israeliana si è rivelata una sorta di schiavitù. Per arrivare nella Terra Promessa va ripensato il Medio Oriente, a partire dall’Iran.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Missione segreta per finanziare i gruppi rivoluzionari "
L’Iran e il Venezuela preparano un piano per finanziarie cellule rivoluzionarie in America Latina al fine di destabilizzare i governi dei Paesi considerati più vicini agli Stati Uniti. A svelare il progetto sono documenti dei servizi di intelligence occidentali, ai quali «La Stampa» ha avuto accesso, relativi al recente incontro in Iran fra il presidente Mahmud Ahmadinejad e il collega venezuelano Hugo Chavez. I due leader hanno esaminato assieme il resoconto della missione svolta in Sud America a inizio marzo da un alto funzionario delle Guardie rivoluzionarie iraniane - i pasdaran - che, grazie ai buoni uffici di rappresentanti del Venezuela, ha avuto colloqui con i responsabili di gruppi considerati «rivoluzionari» in Colombia, Brasile e Argentina, puntando a creare una rete di cellule locali capaci di essere molto attive per innescare un «domino rivoluzionario» regionale simile a quello che il Che Guevara immaginava di poter innescare negli Anni 50 e 60 a seguito della caduta del regime cubano di Fulgencio Batista.
Colloqui con le Farc
Il 1° marzo scorso l’inviato dei pasdaran è partito da Teheran con l’incarico di identificare i gruppi sudamericani a cui far affluire finanziamenti per «diffondere la rivoluzione» e la sua prima tappa è stata a Bogotà, capitale della Colombia del presidente Alvaro Uribe, uno dei più stretti alleati di Washington, dove ha potuto incontrare alcuni rappresentanti della guerriglia delle Farc, grazie ai buoni uffici di Caracas. Gli uomini delle Farc hanno presentato un dettagliato documento sulle loro attuali attività e i relativi costi. L’inviato dei pasdaran ha replicato dicendo di rappresentare la leadership del suo Paese e di essere molto impressionato dal materiale consultato, precisando però che l’impegno di Teheran a foraggiarle in maniera sostanziosa è legato all’aumento delle iniziative «rivoluzionarie contro il regime locale» e della propaganda «contro gli Stati Uniti e l’Occidente». In particolare l’inviato di Teheran ha proposto alla delegazione delle Farc di «aumentare le attività studentesche negli atenei» perché «i giovani sono più sensibili al fervore rivoluzionario» e far cadere il già vacillante Uribe.
Tanto Teheran che Caracas, secondo i documenti consultati, vedrebbero con favore l’aumento delle proteste di estrema sinistra dentro i maggiori centri urbani, nella convinzione che potrebbero riuscire a indebolire, se non addirittura a far cadere, Uribe. Durante il colloquio pasdaran-Farc vi sono stati attimi di tensione quando uno dei membri della guerriglia ha spontaneamente chiesto all’iraniano di spiegargli la natura delle proteste studentesche avvenute a Teheran - dichiaratamente ostili al governo Ahmadinejad - ma l’incomprensione politica è stata rapidamente superata e pochi giorni dopo la missione dell’iraniano è continuata in altri due Paesi, che sono le maggiori potenze economiche regionali. Nell’Argentina di Cristina Kirchner l’uomo dei pasdaran ha incontrato un gruppo di militanti del movimento «Piqueteros», che ha già inviato dei suoi aderenti in Iran, del gruppo di estrema sinistra Convergencia de Izquierda, noto per le sue manifestazioni anticapitaliste, e della Asociacion Cultural Siria
Quinta colonna libanese
Nel Brasile del presidente Lula, invece, i colloqui sono stati con i rappresentanti del Movimiento estudantil popular revolucionario, una delle sigle più attive nello schieramento dell’estrema sinistra.
In entrambi i Paesi l’inviato di Teheran ha coinvolto nei colloqui con i differenti gruppi alcuni cittadini libanesi sciiti che vivono nell’area di confine fra Brasile, Argentina e Paraguay, presentandoli come «elementi di raccordo» grazie ai quali poter intensificare i rapporti e garantire l’afflusso di finanziamenti. Ciò lascia intendere la volontà di creare in quest’area di confine una regia operativa dei gruppi rivoluzionari. Tanto più che i libanesi in questione sono personaggi già conosciuti ai servizi sicurezza argentini e brasiliani che indagano sul coinvolgimento degli hezbollah nel traffico di narcotici attraverso l’area.
Ahmadinejad e Chavez hanno esaminato valutando con favore i risultati della missione svolta perché consentono ad entrambi i Paesi di progettare di avere nel breve periodo gruppi di riferimento da finanziarie e sostenere in nazioni legate all’amministrazione americana. Si tratta di un ulteriore tassello della strategia iraniana di penetrazione in Sud America che si sposa con il desiderio di Chavez di moltiplicare il numero di nazioni «anti-imperialiste» come Cuba, Nicaragua, Ecuador e Bolivia, puntando a diventare il leader di una nuova stagione rivoluzionaria destinata a far impallidire i successi ottenuti dal morente Fidel Castro.
La REPUBBLICA - Vanna Vannuccini : " Ma è solo propaganda interna l´uranio arricchito è una chimera "
Il fisico iraniano Ahmad Shirzad non è scettico sui pericoli per Israele, quanto sulla reale possibilità delle tecnologie iraniane di arricchire l'uranio necessario per costruire un ordigno atomico.
Insomma, si tratterebbe di propaganda elettorale. Il fisico dichiara che nessuno venderebbe all'Iran l'uranio, ma, non molto tempo fa, l'Aiea ha scoperto di essere stata imbrogliata sulla quantità di uranio in possesso degli iraniani. Se l'Iran è riuscito a procurarsi l'uranio nonostante i controlli dell'Aiea già in passato, è sicuro che lo faccia ancora.
Ecco l'articolo:
Ahmad Shirzad è fisico nucleare, docente all´Università di Isfahan e da sempre critico verso il programma nucleare iraniano che seguiva come esperto durante il governo Khatami.
Prof. Shirzad, siamo dunque arrivati alla tanto ambita "fase finale del ciclo produttivo dell´uranio", come ha detto Gholamreza Aghazadegh? La prima fabbrica di produzione di uranio è pronta?
«Ma quale fabbrica. Intanto cominciamo col dire che, anche ammesso che sia così, nella fabbrica inaugurata dal presidente per festeggiare il Giorno dell´Energia Nucleare si dovrebbe produrre ossido di uranio, UO2: cioè barre di uranio che non sono destinate alla centrale di Bushehr, ma a quella di Arak, che è una centrale ad acqua pesante, dove il reattore non hanno ancora cominciato a costruirlo. Un po´ probabilmente perché l´Aiea lo vieta (dai reattori ad acqua pesante si ottiene plutonio che può essere usato per la fabbricazione di armi atomiche) e un po´ perché è molto difficile. Guardi che l´Iran è lontana almeno dieci anni dall´avere un´industria nucleare a pieno ciclo. Arricchire l´uranio ad alti livelli è estremamente pericoloso, non si può fare in una fabbrica qualsiasi o con personale qualsiasi. La verità, molto più elementare, è che sono riusciti a portare delle correzioni alle centrifughe, che ora effettivamente funzionano meglio».
Quindi le barre di ossido di uranio prodotte a Isfahan non ci devono impensierire?
"Al contrario. Dal punto di vista occidentale questa è una buona notizia. Se fosse vero che sono state prodotte le barre destinate a Arak, significa che è stato consumato una parte del materiale di uranio di cui la Repubblica islamica è in possesso – quindi ce ne sarebbe meno da arricchire per altri scopi».
L´Iran potrebbe procurarsene dell´altro.
"Come? Ho sempre sostenuto che l´argomento principale contro il programma nucleare iraniano è che mancano le risorse naturali, il minerale di uranio. E ovviamente nessuno ce lo vende».
Ma il governo sostiene che ce ne sia tanto intorno a Yazd di minerale.
«Non ce n´è abbastanza secondo me per alimentare una centrale nucleare per dieci anni. E intanto di quell´uranio fino ad oggi non ne è stato estratto un solo chilogrammo. Anche perché, a 350 metri sotto il suolo, estrarlo costerebbe una follia».
Pura propaganda, allora, per partire più forti per il negoziato con l´Occidente?
«Secondo me si tratta di propaganda rivolta all´interno, in periodo elettorale».
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " E’ il solito inganno Resta un regime fanatico "
GERUSALEMME — E’ il primo passo dell’Iran verso l’atomica? «No. Il primo passo è già stato fatto. Questo è un altro, importante passo ».
Amir Menashe, esperto d’Iran, capo del servizio in farsi della Radio israeliana, teme Ahmadinejad anche (o specie) se parla di giustizia e rispetto: «Ci sta solo dicendo: se tu Occidente hai il diritto d’arricchire l’uranio e d’avere la bomba, noi possiamo avere lo stesso diritto. Non c’è nessuna novità, è il solito inganno ».
Quale inganno?
«Negoziare, e intanto fabbricare la bomba. L’Iran dice: siamo pronti a parlare con voi, ma non faremo concessioni sull’arricchimento dell’uranio. Questa è solo diplomazia dell’inganno, non sincerità. Mercoledì, Ahmadinejad ha detto che sosterrà il piano internazionale per lo smantellamento delle armi nucleari: lo sostiene, a condizione che ognuno abbia il diritto d’usare uranio a scopi pacifici. Che significa? Che noi Iran abbiamo il diritto di continuare il programma, che naturalmente non è a scopo militare, mentre voialtri Paesi che avete già la bomba, dovete metterla al bando. Mi spiace che i governi occidentali non lo capiscano».
C’è chi consiglia a Obama di non cadere nella «trappola israeliana », di non demonizzare l’Iran...
«Chi dice questo, non conosce l’Iran. Che ha un credo religioso. Che attende il suo Mahdi. E in quest’attesa, considera dovere d’ogni sciita combattere per portarne il verbo nel mondo. L’Iran è l’unico Stato sciita e lo scopo è convertire l’intero mondo all’Islam. La bomba fa parte di questo progetto, contro tutta la civiltà occidentale e la cristianità. Due anni fa, quando disse che sognava di cancellare Israele dalla mappa, Ahmadinejad aggiunse che quello era 'il primo passo' nella sfida alla cristianità. Perché distruggere l’ebraismo, significa colpire le basi del cristianesimo. Quando l’Iran costruisce missili per 4-6mila km di raggio, e prova a costruirsi l’atomica, non punta a distruggere solo noi israeliani: vuole un’arma che tenga alla larga voi europei».
Dopo Bush, solo voi dipingete ancora Ahmadinejad come Hitler...
«Non voglio paragonarlo a Hitler, il peggio dell’umanità. Ma è un fanatico, con una fede apocalittica. Per lui, la vita umana non ha importanza ».
Se l’Occidente non si muove, Israele farà da sé?
«Netanyahu non dice di non negoziare con l’Iran. Dice: ok, fate, ma con un limite di tempo. Possiamo aspettare settimane, mesi. Non di più. Conosciamo bene l’inganno iraniano ».
Per inviare la propria opinione a Giornale, Corriere della Sera, Stampa e Repubblica, cliccare sulle e-mail sottostanti