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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.04.2009 Obama dica no al ricatto turco e spinga Erdogan a riconoscere il genocidio degli armeni
Le inutili esortazioni di Christopher Hitchens

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 aprile 2009
Pagina: 41
Autore: Christopher Hitchens
Titolo: «Obama dica no al ricatto turco»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/04/2009, a pag. 41, l'articolo di Christopher Hitchens dal titolo "Obama dica no al ricatto turco". Un'esortazione, perchè Obama con Erdogan si è ben guardato dal chiedergli conto del genocidia armeno. L'aveva promesso in campagna elettorale, tutto dimenticato. Ecco l'articolo:

Questa settimana, ancor prima della sua partenza per la visi­ta in Turchia, si sono levate le solite voci per ammonire il presidente Obama sull'oppor­tunità di annacquare la posizione di principio finora adottata sul genocidio armeno. In aprile la diaspora armena commemora l'inizio sanguinoso della campagna militare dell'Impero Ottoma­no, nel 1915, che mirava ad annientare la popolazione armena. La ricorrenza assume due forme: da una parte il Gior­no della Memoria armena (24 aprile), dall'altra il rinnovato tentativo di per­suadere il Congresso americano ad ab­bandonare i giri di parole e a chiamare ufficialmente quel lontano avvenimen­to con il nome che gli compete, quello appena menzionato. Nel 1915 il termine genocidio non era stato ancora coniato, ma l'ambasciato­re americano a Costantinopoli, Henry Morgenthau, fece ricorso a un'espres­sione assai più cruda. Nel suo rapporto urgente inviato al ministero degli Este­ri, con allegati i dispacci appena giunti dai suoi funzionari, specie quelli dislo­cati nelle province di Van e Harput, Morgenthau descriveva l'assassinio si­stematico degli armeni come «stermi­nio razziale». La sua denuncia è suffra­gata da un vasto archivio di documenti. Ogni anno, però, ecco che si rimettono al lavoro le lobby industrial-militari, che grazie a smentite ed eufemismi fan­no pendere l'ago della bilancia a favore del cliente turco. (Di recente, l'alleanza militare tra Turchia e Israele, palese­mente opportunistica, ha raccolto non pochi consensi vergognosi anche tra i deputati ebrei).
Il presidente Obama, però, affronta il problema in modo insolitamente chia­ro e inequivocabile. Nel 2006, per esem­pio, l'ambasciatore americano in Arme­nia, John Evans, venne richiamato per aver utilizzato la parola genocidio. L'al­lora senatore Obama reclamò per iscrit­to presso l'allora segretario di Stato Condoleezza Rice, tacciando di vigliac­cheria il ministero degli Esteri e affer­mando senza mezzi termini che il geno­cidio armeno del 1915 «non è un'insi­nuazione, un'opinione personale, né un punto di vista, bensì un avvenimen­to largamente documentato e compro­vato da testimonianze storiche inoppu­gnabili ». Nel corso della campagna elet­torale, l'anno scorso, Obama ha chiari­to la sua posizione affermando che «l' America si aspetta un presidente che sia capace di dire la verità sul genocidio armeno e sappia reagire con forza con­tro tutti i genocidi. E io sarò quel presi­dente ».
A chiunque possa nutrire ancora
qualche dubbio in proposito, racco­mando due recenti opere di ecceziona­le erudizione, in grado entrambe di ap­profondire e spiegare il dramma arme­no. La prima è Il calvario armeno: me­morie del genocidio armeno, di Grigoris Balakian, e la seconda Terra ribelle: viaggio tra i popoli dimenticati della Turchia, un diario contemporaneo di Christopher de Bellaigue. Inoltre, abbia­mo appena appreso l'esistenza di docu­menti inconfutabili provenienti dagli archivi di Stato turchi. Il politico otto­mano che ordinò la campagna di depor­tazione e sterminio degli armeni, Talat Pascià, ci ha lasciato una documentazio­ne dettagliatissima. La sua famiglia ha consegnato le carte a uno scrittore tur­co di nome Murat Bardakci, che ha pub­blicato un libro dal titolo alquanto scar­no di Le ultime carte di Talat Pascià.
Una di queste «ultime carte» è la fred­da stima che durante gli anni 1915 e 1916 soltanto, ben 972.000 armeni spari­rono dall'anagrafe della popolazione (vedi l'articolo di Sabrina Tavernise nel New York Times dell'8 marzo 2009).
C'è chi afferma che la tragedia arme­na fu la spiacevole conseguenza del tur­bine innescato dalla Prima guerra mon­diale e dalla rovina dell'Impero, e que­sto potrebbe essere anche vero dei nu­merosissimi armeni massacrati al ter­mine del conflitto e durante il collasso del governo ottomano. Ma stiamo par­lando di un archivio conservato dal go­verno dell'epoca e dal principale politi­co nemico degli armeni, e qui si affer­ma che agli inizi della Prima guerra mondiale la popolazione armena passò da 1.256.000 cittadini a 284.157. E' mol­to raro che un regime, nella sua corri­spondenza privata, confermi con tanta esattezza quanto denunciato dalle sue vittime.
Che cosa diranno adesso coloro che negano il genocidio? Il solito iter è quel­lo
di insinuare che se il Congresso vote­rà a favore della verità storica, allora la Turchia, per rappresaglia contro la Na­to, seminerà il caos lungo il confine ira­cheno, vieterà l'uso delle basi turche all' aviazione americana o prenderà altri provvedimenti. Al vertice della Nato, il weekend scorso, si è avuto sentore di questa stessa arroganza, quando il go­verno di Ankara ha cercato di ostacola­re la nomina di un bravo politico dane­se, Anders Rasmussen, a capo dell'Alle­anza, tirando in ballo la scusa che, in veste di primo ministro, Rasmussen si era rifiutato di censurare i giornali da­nesi per placare i musulmani! Oggi si sussurra che se il presidente Obama o il Congresso firmerà la risoluzione riguar­dante il genocidio, la Turchia negherà la sua collaborazione in molti settori strategici, tra cui la normalizzazione della frontiera tra la Turchia e l'Arme­nia e il passaggio dei gasdotti e oleodot­ti attraverso il Caucaso.
Quando la questione viene posta in modo tanto provocatorio, però, si fini­sce col suggerire subdolamente all'Ar­menia che è nel suo interesse chinare la testa e stendere un velo pietoso sulla sua storia. Ma come potrebbe uno Sta­to, o un popolo, acconsentire ad annul­lare in questo modo il suo orgoglio e la sua dignità? La vicenda non riguarda so­lo gli armeni, minacciati economica­mente dalla chiusura turca del confine comune. Tocca allora ai turchi, che van­tano uomini di cultura e scrittori corag­giosi pronti ad affrontare rischi ben rea­li per rompere il tabù sulla discussione della questione armena. E spetta anche agli americani i quali, avendo eletto un nuovo presidente coraggioso, oggi si sentono dire che sia lui che il Congres­so devono colludere in una gigantesca menzogna storica. Una menzogna, per di più, svelata sul nascere da coraggiosi diplomatici americani. La falsificazione della storia dura ormai da troppo tem­po, con il pretesto delle ragioni di Sta­to. Ma è precisamente «per ragioni di Stato», in altre parole per la dichiarazio­ne chiara e irrinunciabile che non sia­mo disposti a subire ricatti né intimida­zioni, che il 24 aprile 2009 sarà ricorda­to come la data in cui avremo saputo affermare la verità e accettato tutte le conseguenze.

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