Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 06/04/2009, a pag.32, l'articolo di Gabriella Gallozzi dal titolo " Tocca ai 'figli' costruire la pace " su "Vietato sognare".
L'autrice è Barbara Cupisti, regista non nuova a questo genere. Infatti ha già diretto anche "Madri", documentario filopalestinese che dipinge Israele e il suo esercito come una forza assassina brutale, con l'unico scopo la distruzione dei palestinesi. Il pezzo mette sullo stesso piano soldati dell'esercito israeliani e terroristi di Hamas visti tutti dal punto di vista delle loro madri. La visione è distorta e sbilanciata a favore dei palestinesi, i quali vengono presentati come vittime dell'occupazione israeliana.
Gallozzi riporta anche le dichiarazioni di due giovani (uno palestinese, l'altro israeliano) pacifisti. Il palestinese, terrorista della I intifada, viene definito " ex combattente ".
Ecco l'articolo:
Non è neanche l’alba quando i tre fratellini di Hebron - il più piccolo ha tre anni - si svegliano per affrontare il lungo viaggio che li porterà nel carcere israeliano dove è detenuto il fratello magggiore. È la regola, racconta la sorella più grande, forse 12 anni. I colloqui settimanali sono accessibili solo ai minori di 16 anni. E così l’alzataccia e la lunga via crucis tra checkpoint e controlli è riservata ai più piccoli della famiglia. Si cresce in fretta in Palestina. In un quotidiano di violenza e senza unfuturo, nonostante i bambini continuino a fantasticare su un domani da insegnanteo ingegnere.Araccontarcelo è Vietato Sognare il documentario di Barbara Cupisti distribuito nelle sale dell’Arci Ucca (www.ucca.it), circuito «alternativo» per il cinema di qualità escluso dal «mercato». Cosìcomeè stato «escluso» questo lavoro che, nonostante la produzione RaiCinema, non ha visto neanche unpassaggio sulle reti pubbliche. Così come è avvenuto per il suo precedente Madri, vincitore di un David di Donatello e venduto dalla Rai a Sky. Bizzarro «passaggio di mani» per il quale c’è al momento un’interrogazione parlamentare promossa dal deputato Pd Matteo Mecacci. Madri ha avuto il merito di aprire uno squarcio di verità sul conflitto israelo-palestinese spostando l’attenzione su un aspetto tanto «naturale » quanto «sconvolgente»: il dolore per la perdita del proprio figlio. Chesia unsoldato del potente esercito israeliano o un kamikaze di Hamas. Sono le madri palestinesi ed israeliane a prendere la parola e a raccontare tutta l’assurdità e la follia di questa tragedia infinita, in cui l’aggressione nei confronti del popolo palestinese resta però il punto di partenza. Vietato Sognare è il «seguito», anche semenopotente del precedente. Dopo le madri, insomma, sono i «figli» a raccontarsi. I bambini palestinesi vittime davanti alle loro scuole, nelle case, per le strade. E i ragazzi. La nuova generazione nelle cui mani è il destino di questa terra massacrata. E, anche, in questo caso il «confronto» tra le due realtà nemiche, è affidato alle testimonianze di due «figli», attivisti di organizzazioni impegnate nella risoluzione non violenta del conflitto. Li incontriamo a New York, entrambi. Capelli scuri e il volto segnato dalle torture subite è Ali Abu Awwad, ex combattente palestinese della prima Intifadae oggi leader del movimento pacifista Al Tariq. L’altro è Elik Elhanan, un ex soldato israeliano, portavoce dell’associazione Combatants for Peace. «Per un giovane israeliano - racconta - entrare nell’esercito èuna cosa naturale. Neanche ci pensi. E se devo rimproverare qualcosa a mia madre, forse, è proprio questo: non aver fatto abbastanza per farmi venire dei dubbi». Sua madre, Nurid Peled, è una delle fondatrici di Parents Circle, premiata nel2001col «Sacharov per i Diritti umani e la libertà di parola». Gruppo pacifista impegnato nel dialogo tra i due popoli del quale fa parte anche la madre dell’ex combattente palestinese: Fatme Abdul Hamid con un passato da militante di Al Fatah. Di lei suo figlio Ali Abu ricorda le torture subite da parte dei militari israeliani: «65 giorni di violenze - racconta -. Ti mettevanoper terra e seduti sopra al tuo torace con una sedia, ti stavano lì per ore. Anch’io le ho subite queste cose ». Eppure, oggi, per Ali come per Elik è finito il tempo della vendetta. Tutti e due hanno perso un fratello nel conflitto e sanno che l’unica strada possibile è quella del dialogo. Tanto più di fronte all’integralismo montante confermato dalle recenti denunce dei soldati israeliani sui delitti compiuti a Gaza dall’esercito durante l’ultima drammatica crisi. «Ecco, in quell’occasione mi chiedoperché la Rai nonabbia trasmesso Vietato sognare. Sarebbe stato un corretto contributo all’informazione sulla vicenda», s’interroga Barbara Cupisti: «il lavoro era pronto da dieci mesi». Da RaiCinema, però, la risposta è secca: «Quando c’è lo sfruttamento in sala bisogna aspettare 24 mesi per la messa in onda».Madel resto la regista è abituata agli «embarghi». L’ultimo è stato per il documentario, sempre Rai, che stava girando sulle nuove povertà dell’Occidente. «Sono stata negli Usa per mesi, ho raccolto materiali, interviste. Ed è venuto fuoricomela povertà di questi tempi sia il frutto di un capitalismo selvaggio che ha scelto di riconoscersi nell’avere più che nell’essere». Risultato, la Rai ha bloccato il lavoro, spiega: «Mi è stato detto che non era coerente con la linea editoriale di Raicinema».
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