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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.04.2009 Arabia Saudita, problemi di successione
Li racconta Cecilia Zecchinelli

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 aprile 2009
Pagina: 16
Autore: Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Un principe nero divide la corte saudita»

Arabia Saudita, problemi si successione. Li racconta Cecilia Zecchinelli sul CORRIERE della SERA di oggi,04/04/2009, a pag.16, con il titolo  " Un principe nero divide la corte saudita":

Più opaca del Cremlino ai tempi dell’Urss, più complicata della trama di mille puntate di Dynasty: la successione al tro­no in Arabia Saudita è da sem­pre (o almeno dal 1932, anno di fondazione del Regno) la que­stione in assoluto più privata e delicata, discussa nei palazzi e nei salotti, mai toccata dai me­dia del Paese forse più chiuso del mondo, certo più ricco in petrolio. Ma adesso, all’improv­viso, è diventata «la» questio­ne saudita. Dal 27 marzo, per l’esattezza, quando re Abdullah in partenza per il G20 di Londra ha nomina­to a sorpresa il principe Nayif «secondo vice pre­mier ». Fratellastro del so­vrano- primo ministro e solo un po’ meno anzia­no di lui (75 anni contro gli 86 di Abdullah), Nayif è da 34 capo degli Interni.

Noto «falco» su vari fronti (donne, riformatori, sciiti) ma efficace contro i terrori­sti di Al Qaeda (che odiano i Saud più ancora degli america­ni), è potentissimo e poco ama­to (a differenza del re).

La nuova carica di Nayif non sembra gran che. Ma tradizione vuole che con quella nomina il ministro degli Interni diventi anche «vice-delfino» del Regno dopo il principe ereditario Sul­tan, un altro dei 36 figli maschi del fondatore Abdul Aziz. Ottan­tacinque anni, da 47 a capo del­la Difesa, Sultan dal 2004 è ma­lato di cancro e da mesi ricove­rato a New York (dov’è stato ap­pena operato). E Nayif, quindi, diventa così l’erede designato: se Abdullah dovesse mancare, il trono toccherebbe a lui. Con un piccolo dubbio: nel 2006 l’at­tuale sovrano ha istituito un Consiglio di famiglia di 36 membri (figli o nipoti di Abdul Aziz) per assicurare la succes­sione con il consenso più am­pio possibile tra i rami rivali della grande famiglia. Ma ora il Consiglio è stato del tutto igno­rato, o così sembra. E molti si chiedono perché.

«È la rivincita dei Sudairi», dice al Corriere un noto edito­rialista di Riad che preferisce l’anonimato. Ovvero dei Sei Fra­telli figli di Abdul Aziz e della moglie favorita Hassa Al Sudai­ri, che costituiscono il ramo dei Saud più coeso e influente. Nayif e Sultan ne fanno parte (il settimo fratello era lo scompar­so re Fahd). L’attuale sovrano Abdullah no, per loro è solo un fratellastro, e il Consiglio sareb­be stato creato proprio per argi­nare i Sei. Non tutti concorda­no su questa tesi. Ma molti, moltissimi criticano in privato la promozione di Nayif, nono­stante le poesie in suo onore e le felicitazioni su tutti i media. E c’è chi, per la prima volta, dis­sente in pubblico. «Il Consiglio non va bypassa­to. Chiedo alla Corte Reale di chiarire il significato di quella nomina e dichiarare ufficial­mente che non comporta la de­signazione di Nayif a principe ereditario», ha infatti chiesto con un comunicato alla Reuters (novità assoluta) il principe Ta­lal. Anche lui figlio del fondato­re, nato nel 1931, Talal è perso­naggio notissimo nel Regno. Le sue simpatie socialiste e nasse­riane (lo chiamavano il «princi­pe rosso») gli costarono l’esilio in Egitto negli Anni Sessanta, cacciato da re Saud per le richie­ste di democrazia (aveva perfi­no stilato una Costituzione, di cui l’Arabia resta priva). Riam­messo a Corte, da allora è la vo­ce più esplicita nella famiglia a favore delle riforme: anni fa ha perfino annunciato che avreb­be creato un partito, in un Pae­se dove sono proibiti. E forte del rango, dell’età, della man­canza di cariche politiche, del potere economico suo e del fi­glio Al Walid (20˚ uomo più ric­co del mondo, già socio di Ber­lusconi e azionista di colossi globali), Talal può ora permet­tersi di dire ciò che vuole.

Sarà ascoltato? Pare improba­bile. Re Abdullah non intende certo spiegare o smentirsi, al­meno ufficialmente. E intanto i giochi interni alla famiglia an­dranno avanti, mentre i «saudi­tologi » (in testa a tutti quelli di Washington, di cui Riad è allea­ta cruciale) cercheranno di co­gliere ogni minimo segnale. E di interpretarlo.

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