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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica - Ansa - Adnkronos Rassegna Stampa
03.04.2009 Terrorista palestinese uccide a colpi d'ascia un tredicenne e ferisce un bambino
Cosa c'entra Lieberman ?

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - Ansa - Adnkronos
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Israele, Lieberman sette ore dalla polizia»

Ieri a Bat Ein un terrorista palestinese armato di ascia ha ucciso un tredicenne e ferito un bambino di sette anni. Tutti i media italiani trattano la notizia tranne ANSA e ADNKRONOS. Evidentemente l'assassinio a sangue freddo di un ragazzino ebreo non fa abbastanza scalpore per le due agenzie stampa.

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/04/2009, a pag. 18, la cronaca di Francesco Battistini dal titolo " Israele, Lieberman sette ore dalla polizia " preceduto da un nostro commento.

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Israele, Lieberman sette ore dalla polizia "

L'impostazione dell'articolo è sbagliata. Nel titolo si fa riferimento all'interrogatorio della polizia a Lieberman per le accuse a suo carico di frode. L'articolo è sull'attentato terrorista palestinese, ma nel titolo non viene scritto. Sembra quasi che Lieberman sia stato interrogato sette ore dalla polizia per aver ucciso il ragazzo.
Battistini dà la responsabilità dell'attentato a Lieberman e alle sue dichiarazioni di ieri. Questo non è corretto. I terroristi palestinesi hanno più volte dichiarato che, per loro, un governo vale l'altro e un attentato non si organizza in 24 ore.
Battistini, comunque, non è l'unico a intravedere un nesso (inesistente) fra le dichiarazioni di Lieberman su Annapolis e l'attentato: lo fanno anche gli altri quotidiani italiani tranne UNITA'  e REPUBBLICA.
La cronaca di Alberto Stabile su REPUBBLICA, però, chiama il palestinese "assalitore".

GERUSALEMME — È entrato negli uffici di Bat Ein, vestito da ebreo ortodosso. «Correva». Ave­va un’ascia in mano. «Abbiamo cercato di bloccarlo». È riuscito a scavalcare le scrivanie, oltre gli adulti. «Quando ha visto i bambi­ni, ha colpito». L’ascia ha ucciso sul colpo un ragazzino di 13 an­ni e ne ha ferito un altro, di set­te. I coloni hanno preso le armi, sparato. Il palestinese era ferito, ma è riuscito a scappare. Le sue vittime, Shlomo Nativ e Yair Gamliel, non hanno cognomi qualunque: il primo era il figlio del fondatore di Bat Ein, insedia­mento che sta a metà strada fra Gerusalemme e Hebron; il padre del secondo è in carcere, 15 anni di condanna, per un attentato a una scuola palestinese.
Difficile farlo passare per uno psicopatico: la sua azione è stata rivendicata da Jihad islamica. Difficile dire che non c’entrano le parole incendiarie di Avigdor «Yvette» Lieberman, il neomini­stro degli Esteri: si vis pacem pa­ra bellum, aveva detto solo po­che ore prima, e invece la guerra è già bell’e pronta. L’aria si scal­da. E al secondo giorno di gover­no, «Yvette» ci mette ancora del suo: dopo Annapolis, getta nella pattumiera le trattative con la Si­ria sul Golan («non lo restituire­mo, Israele può offrire solo pace in cambio di pace»); incassa l’av­vertimento del siriano Bashar As­sad («il Golan tornerà a noi con la pace o con la guerra»); precisa che sulla Road Map «non ci sarà un Israbluff, perché abbiamo as­sunto obblighi e li rispetteremo, ma ci vuole reciprocità»; dice di voler «dialogare con l’Autorità palestinese di Abu Mazen, ma vo­glio anche accertarmi che l’asse­gno sia coperto: lotti contro il terrorismo, controlli Gaza, smili­tarizzi Hamas, altrimenti sarà dif­ficile andare avanti sulla Road Map».
La strada si fa difficile anche per lui. Passate le elezioni, forma­to il governo, Lieberman ieri è stato convocato dalla polizia. Set­te ore sotto torchio. È la vecchia inchiesta per corruzione, rici­claggio e abuso d’ufficio che ri­guarda lui, suo figlio e il suo lega­le: in ballo ci sono grandi som­me di denaro, perché con una se­rie di finte società si sarebbero fatti pagare dall’estero, illegal­mente, la campagna elettorale. Era un interrogatorio già fissato, dicono gl’investigatori, e altri ne seguiranno. Una bomba a orolo­geria, anche se la giustizia israe­liana ha spesso tempi biblici e lo stesso Lieberman, qualche gior­no fa, ha messo le mani avanti: se ci sarà processo, lui non ha nessuna intenzione di lasciare la poltrona.
Deve prepararsi alla sua guer­ra personale, «Yvette», se vuole governare in pace. Gli attacchi interni ed esterni si moltiplica­no.
Il presidente Peres, che nel 2001 lo voleva far processare al­l’Aja per razzismo, non apprezza le sue uscite. Tzipi Livni dice che «questo governo non è un part­ner per la pace coi palestinesi». Hillary Clinton chiede un incon­tro urgente (Obama vedrà Netan­yahu a maggio). E gli egiziani, che ancora aspettano le scuse per la volta che Lieberman pro­pose di bombardarli con l’atomi­ca, ieri l’hanno detto chiaro: «Non è un interlocutore. Non lo è nemmeno Netanyahu. D’ora in poi, per parlare col governo isra­eliano, il nostro uomo sarà Ehud Barak. Il laburista. L’unico ragio­nevole ».

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