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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Giornale Rassegna Stampa
02.04.2009 L'occidente tace di fronte alla legittimazione dello stupro delle donne in Afghanistan
La denuncia di Pierluigi Battista e le dichiarazioni di Souad Sbai, che da sempre si batte per i diritti delle donne

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale
Autore: PIerluigi Battista - La redazione del Giornale
Titolo: «Lo sfregio dei diritti - La fatwa non potrà fermarmi»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/04/2009, l'editoriale di Pierluigi Battista dal titolo " Lo sfregio dei diritti " sulla legge afghana che legittima lo stupro in famiglia e sul silenzio dei Paesi presenti alla conferenza sull'Afghanistan di due giorni fa e, dal GIORNALE, a pag. 10, l'articolo dal titolo " La fatwa non potrà fermarmi " con le dichiarazioni di Souad Sbai, la quale non si è lasciata intimidire dalle minacce di morte dei fondamentalisti islamici e continuerà a battersi per i diritti delle donne. Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista : " Lo sfregio dei diritti "

Se il presidente af­ghano approva la reintroduzione le­gale del diritto di stupro domestico presso le comunità sciite, è un rinfocolamento di uno sconsiderato «scontro di civiltà» chiedere ai gover­ni democratici di non re­starsene silenziosi e ac­quiescenti? Se, con la scu­sa delle prescrizioni cora­niche, le donne dell’Af­ghanistan sono maltratta­te dalla legge locale come esseri inferiori, gli amici occidentali del presiden­te Karzai (Italia compre­sa) avrebbero o no il dove­re di subordinare il loro aiuto alla certezza che a Kabul e dintorni non si re­stauri una cupa tirannia di tipo talebano? E le don­ne liberate dell’Occidente si acconciano davvero co­sì facilmente al ripristino di una norma che obbliga le mogli oppresse dell’Af­ghanistan a «non rifiutar­si di avere rapporti sessua­li » imposti contro la vo­lontà della donna dalla prepotenza del marito-de­spota?
Interrogativi retorici, anzi pateticamente retori­ci, perché la risposta ap­pare ovvia e scontata: nes­suno chiederà conto al presidente Karzai del pre­cipizio oscurantista in cui sta nuovamente sprofon­dando l’Afghanistan «li­berato » nel 2001 e tenuto in piedi solo grazie al (pe­raltro doveroso) sostegno militare occidentale. Nes­suno ha chiesto conto del­le condanne a morte com­minate per «apostasia». O per il codice di famiglia tutto particolare in vigore presso la comunità sciita che prevede l’arresto e pe­ne severissime per una moglie (anche minoren­ne) in fuga da un matri­monio forzato. O per Pe­rwiz Kambakhsh, condan­nato a vent’anni di galera per «blasfemia», che poi erano solo articoli a favo­re dei diritti delle donne. O per il carcere (fino alla pena di morte) per gli omosessuali. O per l’infi­nità di proibizioni di ogni genere d’opinione giudi­cata «oscena». Non è sta­to detto nulla e non si di­rà nulla perché ogni paro­la di critica e di protesta sarebbe apparsa come un attentato al «dialogo», o addirittura come la mani­festazione proterva di un colonialismo culturale inaccettabile.
Del resto Tariq Rama­dan, un intellettuale che incomprensibilmente go­de fama di «ponte» cultu­rale tra il mondo occiden­tale e l’islamismo, ha scritto sul «Riformista» che la pretesa di far «ac­cettare » ai musulmani l’omosessualità «rivela un nuovo dogmatismo», oscuramente alimentato da non meglio precisate «lobby» e addirittura non privo «di un qualche sen­tore coloniale antico per­sino xenofobo». Fossero state pronunciate (anche in una formulazione più tenue) da qualche espo­nente del mondo cristia­no, ci sarebbe stata una sollevazione energica con­tro un esempio arrogante di omofobia clericale. Ma le ha argomentate un lea­der intellettuale del fon­damentalismo islamico, e dunque la prudenza del silenzio prevarrà anche in questo caso, come per gli stupri legalizzati in Afgha­nistan. Ci si domanda so­lo — ed è il caso di do­mandarlo anche al mini­stro Frattini di cui pure si conosce la sensibilità nei confronti dei temi atti­nenti alla libertà dei sin­goli e delle nazioni — fin dove arriva la soglia di ac­cettazione per questo spa­ventoso arretramento nel­la difesa dei diritti umani fondamentali. Fin dove il realismo politico può ignorare l’abisso di op­pressione in cui cadono anche regimi considerati «amici».

Il GIORNALE - Souad Sbai:  " La fatwa non potrà fermarmi "

«La mia battaglia per i diritti delle donne musulmane non si ferma. Non è certo la fatwa di alcuni imam nostrani e “fai da te” che purtroppo controllano anche alcune moschee italiane, a farmi paura. Del resto, non è una novità, ci sono tante donne, anche nei paesi arabi, che ricevono fatwe perché non stanno in silenzio, ci sono pure tantissimi giornalisti che vengono querelati perché parlano di Islam e di diritti umani. Chi minaccia sono gli estremisti cosiddetti islamici che sono anche qui in Italia e che alimentano l’odio. Ma noi andiamo avanti».
È abbastanza serena l’onorevole Souad Sbadi, deputata Pdl e presidente dell’associazione Donne marocchine in Italia. Serena e al tempo stesso determinata al massimo a non lasciarsi intimidire dalla campagna di odio che negli ultimi mesi l’ha presa di mira, tanto che è stato necessario metterla sotto scorta. Una campagna che in questi giorni ha avuto una recrudescenza, con un’escalation di minacce. Intimidazioni che non impediscono comunque alla deputata Pdl di origine marocchina di continuare a svolgere tutte le sue attività, di andare alla Camera, di accompagnare i figli a scuola.
Rabbia per essere costretta a una vita blindata per le minacce di persone che, almeno in teoria, provengono dalla stessa cultura, dalla stessa religione? «No, non c’è tempo per la rabbia. Io – sottolinea l’onorevole Sbai – sono laica di cultura islamica. E mi ritengo fortunata, perché vivo in un paese civile, dove i diritti sono riconosciuti e rispettati, dove esiste la sacralità della vita. Se guardiamo invece come vivono le donne afghane lì si che davvero la rabbia esplode. Le donne che vivono nei territori arabi e che hanno la forza di dire la loro sui diritti quelle sì che sono coraggiose. Non sarà una fatwa a fermare il mio impegno. Con questi sistemi non metteranno a tacere né me né i moderati, che sono la maggioranza, che la pensano come me».

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