Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/04/2009, l'editoriale di Pierluigi Battista dal titolo " Lo sfregio dei diritti " sulla legge afghana che legittima lo stupro in famiglia e sul silenzio dei Paesi presenti alla conferenza sull'Afghanistan di due giorni fa e, dal GIORNALE, a pag. 10, l'articolo dal titolo " La fatwa non potrà fermarmi " con le dichiarazioni di Souad Sbai, la quale non si è lasciata intimidire dalle minacce di morte dei fondamentalisti islamici e continuerà a battersi per i diritti delle donne. Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista : " Lo sfregio dei diritti "
Se il presidente afghano approva la reintroduzione legale del diritto di stupro domestico presso le comunità sciite, è un rinfocolamento di uno sconsiderato «scontro di civiltà» chiedere ai governi democratici di non restarsene silenziosi e acquiescenti? Se, con la scusa delle prescrizioni coraniche, le donne dell’Afghanistan sono maltrattate dalla legge locale come esseri inferiori, gli amici occidentali del presidente Karzai (Italia compresa) avrebbero o no il dovere di subordinare il loro aiuto alla certezza che a Kabul e dintorni non si restauri una cupa tirannia di tipo talebano? E le donne liberate dell’Occidente si acconciano davvero così facilmente al ripristino di una norma che obbliga le mogli oppresse dell’Afghanistan a «non rifiutarsi di avere rapporti sessuali » imposti contro la volontà della donna dalla prepotenza del marito-despota?
Interrogativi retorici, anzi pateticamente retorici, perché la risposta appare ovvia e scontata: nessuno chiederà conto al presidente Karzai del precipizio oscurantista in cui sta nuovamente sprofondando l’Afghanistan «liberato » nel 2001 e tenuto in piedi solo grazie al (peraltro doveroso) sostegno militare occidentale. Nessuno ha chiesto conto delle condanne a morte comminate per «apostasia». O per il codice di famiglia tutto particolare in vigore presso la comunità sciita che prevede l’arresto e pene severissime per una moglie (anche minorenne) in fuga da un matrimonio forzato. O per Perwiz Kambakhsh, condannato a vent’anni di galera per «blasfemia», che poi erano solo articoli a favore dei diritti delle donne. O per il carcere (fino alla pena di morte) per gli omosessuali. O per l’infinità di proibizioni di ogni genere d’opinione giudicata «oscena». Non è stato detto nulla e non si dirà nulla perché ogni parola di critica e di protesta sarebbe apparsa come un attentato al «dialogo», o addirittura come la manifestazione proterva di un colonialismo culturale inaccettabile.
Del resto Tariq Ramadan, un intellettuale che incomprensibilmente gode fama di «ponte» culturale tra il mondo occidentale e l’islamismo, ha scritto sul «Riformista» che la pretesa di far «accettare » ai musulmani l’omosessualità «rivela un nuovo dogmatismo», oscuramente alimentato da non meglio precisate «lobby» e addirittura non privo «di un qualche sentore coloniale antico persino xenofobo». Fossero state pronunciate (anche in una formulazione più tenue) da qualche esponente del mondo cristiano, ci sarebbe stata una sollevazione energica contro un esempio arrogante di omofobia clericale. Ma le ha argomentate un leader intellettuale del fondamentalismo islamico, e dunque la prudenza del silenzio prevarrà anche in questo caso, come per gli stupri legalizzati in Afghanistan. Ci si domanda solo — ed è il caso di domandarlo anche al ministro Frattini di cui pure si conosce la sensibilità nei confronti dei temi attinenti alla libertà dei singoli e delle nazioni — fin dove arriva la soglia di accettazione per questo spaventoso arretramento nella difesa dei diritti umani fondamentali. Fin dove il realismo politico può ignorare l’abisso di oppressione in cui cadono anche regimi considerati «amici».
Il GIORNALE - Souad Sbai: " La fatwa non potrà fermarmi "
«La mia battaglia per i diritti delle donne musulmane non si ferma. Non è certo la fatwa di alcuni imam nostrani e “fai da te” che purtroppo controllano anche alcune moschee italiane, a farmi paura. Del resto, non è una novità, ci sono tante donne, anche nei paesi arabi, che ricevono fatwe perché non stanno in silenzio, ci sono pure tantissimi giornalisti che vengono querelati perché parlano di Islam e di diritti umani. Chi minaccia sono gli estremisti cosiddetti islamici che sono anche qui in Italia e che alimentano l’odio. Ma noi andiamo avanti».
È abbastanza serena l’onorevole Souad Sbadi, deputata Pdl e presidente dell’associazione Donne marocchine in Italia. Serena e al tempo stesso determinata al massimo a non lasciarsi intimidire dalla campagna di odio che negli ultimi mesi l’ha presa di mira, tanto che è stato necessario metterla sotto scorta. Una campagna che in questi giorni ha avuto una recrudescenza, con un’escalation di minacce. Intimidazioni che non impediscono comunque alla deputata Pdl di origine marocchina di continuare a svolgere tutte le sue attività, di andare alla Camera, di accompagnare i figli a scuola.
Rabbia per essere costretta a una vita blindata per le minacce di persone che, almeno in teoria, provengono dalla stessa cultura, dalla stessa religione? «No, non c’è tempo per la rabbia. Io – sottolinea l’onorevole Sbai – sono laica di cultura islamica. E mi ritengo fortunata, perché vivo in un paese civile, dove i diritti sono riconosciuti e rispettati, dove esiste la sacralità della vita. Se guardiamo invece come vivono le donne afghane lì si che davvero la rabbia esplode. Le donne che vivono nei territori arabi e che hanno la forza di dire la loro sui diritti quelle sì che sono coraggiose. Non sarà una fatwa a fermare il mio impegno. Con questi sistemi non metteranno a tacere né me né i moderati, che sono la maggioranza, che la pensano come me».
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