Sull'UNITA' di oggi, 28/03/2009, a pag.37, un editoriale di Umberto De Giovannangeli dal titolo " Israele e l'azzardo di Barak", nel quale Udg esprime la propria tristezza nel vedere un laburista in un governo di "destra". Eppure Udg mastica affari israeliani da molti anni, non si accorge che l'uso di termini quali destra e sinistra hanno in Israele un significato diverso da quello italiano ?. Si direbbe quasi che Udg scrivendo di Israele pensi in realtà all'Italia. Ecco il pezzo, ridondante comunque di molte imprecisioni:
ll «piccolo Napoleone» vince la battaglia delle poltrone. A un prezzo altissimo: la disintegrazione del partito che per decenni ha fatto la storia dello Stato d’Israele, il Labour. Di certo, il voto lacerante con cui il Comitato Centrale laburista ha avallato nei giorni scorsi l’intesa di governo con il Likud di Benjamin Netanyahu, segna un passaggio cruciale per il partito che ha segnato la storia del movimento sionista. Un punto di non ritorno. Per Ehud Barak si è trattato di unsacrificio necessario. Necessario per frenare una deriva a destra del nascente esecutivo. Necessario per non entrare in rotta di collisione con la nuova politica mediorientale dell’Amministrazione Obama. Necessario per far fronte a una recessione che potrà avere ricadute devastanti per le fasce più deboli della società israeliana. Verità parziali che, messe insieme, non danno conto di un azzardo che rischia di seppellire politicamente ciò che resta della sinistra israeliana. Trasformare una disfatta elettorale in una vittoria politica. È la scommessa del «piccolo Napoleone». Travolto dal voto del 10 febbraio, che ha portato il Labour al suo minimo storico (13 eletti alla Knesset), Barak ha puntato tutto sulla massimizzazione della sua presenza nel nascente esecutivo a guida Likud. In chiave interna e, soprattutto, internazionale. Un’operazione spregiudicata, che sconta una probabile scissione all’interno del partito in nome di una «governabilità» che, nei piani di Barak, dovrebbe riportare a casa quei voti persi dal Labour in favore di Kadima, il partito centrista della ministra degli Esteri Tzipi Livni, che ha scelto, contro l’ala «governativa» del partito, la via dell’opposizione, puntando su una rapida dissoluzione della variegata maggioranza messa assieme da Netanyahu. Nel «sacrificio di Ehud» è condensato il malinconico tramonto del Partito che fu di David Ben Gurion, Golda Meir, Yitzhak Rabin. Nel suo azzardo c’è l’assunto che si conta solo se si manovrano le leve del potere. Le radici della sinistra vengono recise. La «garanzia sono io», sembra voler affermare Barak. Io che ho guidato sapientemente la guerra di Gaza, giocando sul terreno proprio della destra, quello della forza militare come garanzia della sicurezza d’Israele. Il voto non l’ha premiato, maquesto sembra essereun dettaglio insignificante per il soldato più decorato d’Israele. Al governo per dimostrare di esistere. Di contare. L’emergenza economica e quella (perenne) della sicurezza, finiscono così per cancellare ogni riflessione seria nella sinistra israeliana sulle ragioni profonde della sua progressiva marginalità sociale, culturale, identitaria in un Paese che da tempo non è più quello egemonizzato dalle èlite ashkenazite e dal modello socialista dei kibbutz. Si governa per non morire.Masi «muore» nel governare contro la propria storia e i valori, i princìpi, che hanno segnato il Labour. Sinistra addio.
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