mercoledi` 14 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






La Stampa-Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.03.2009 Obama: la lotta al terrore continua con ancora più forza
gli articoli di Maurizio Molinari e Guido Olimpio

Testata:La Stampa-Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari-Guido Olimpio
Titolo: «Al Qaeda vuole colpirci - Il doppio gioco di Omar»

Sulla lotta al terrore, niente affatto scomparsa neppure nel lessico di Obama, e alle nuove strategie per combatterlo, riprendiamo due articoli. Il primo, di Maurizio Molinari, dalla STAMPA di oggi, 28/03/2009, a pag.8, dal titolo " Al Qaeda vuole colpirci ", il secondo, di Guido Olimpio, dal CORRIERE della SERA, a pag.1, dal titolo " Il doppio gioco di Omar ":

La Stampa- Maurizio Molinari- "  Al Qaeda vuole colpirci "

Sconfiggere Al Qaeda nei santuari pakistani e ricostruire l’Afghanistan con un esercito di insegnanti, giudici e agricoltori: sono i pilastri della nuova strategia militare americana che Barack Obama ha illustrato a Washington, attirandosi le ire dei taleban che lo hanno paragonato «all’Urss sconfitta».
Al termine di 64 giorni di revisione delle politiche di Bush, Obama ha incentrato il suo approccio all’Afpak - la regione afghano-pakistana - sull’obiettivo di «distruggere, smantellare e sconfiggere Al Qaeda» parlando di «causa giusta» perché «l’America non ha voluto questa guerra ma Al Qaeda ci ha attaccato l’11 settembre uccidendo tremila cittadini» e «pianifica altri attacchi dai santuari in Pakistan». E’ la prima volta dall’elezione a presidente che Obama descrive con chiarezza Al Qaeda come il nemico degli Stati Uniti e ha scelto di farlo sottolineandone due aspetti. Primo: «E’ un cancro dentro il Pakistan». Secondo: «Le sue vittime sono state in maggioranza musulmane».
E’ un approccio che punta ad esercitare la massima pressione sul governo di Islamabad per indurlo a cooperare come negli ultimi otto anni non ha fatto. I memorandum dell’intelligence sulle complicità fra alcuni elementi dei servizi pakistani e i taleban - svelati proprio ieri dal New York Times - lasciano intendere quali sono le informazioni sulla base delle quali Obama dice «non daremo assegni in bianco a Islamabad», offrendo al Pakistan 1,5 miliardi di dollari annui d’aiuto solo in cambio «dell’impegno a sconfiggere Al Qaeda» ed a contribuire a catturare Osama Bin Laden e Ayman al-Zawahiri che si rifugiano probabilmente nelle regioni montagnose di confine «che sfuggono al governo».
Mai prima un inquilino della Casa Bianca aveva messo sotto una simile pressione i pakistani: se Bill Clinton si fidò di Islamabad e George W. Bush ne accettò le condizioni ora Obama vuole far capire all’alleato che dovrà porre fine ad ogni complicità con i gruppi jihadisti perché sono proprio le loro basi che consentono ai taleban inseguiti dalla Nato di riarmarsi e riorganizzarsi.
Sul fronte afghano Obama da un lato schiera i 17 mila nuovi soldati combattenti per incalzare i taleban nelle regioni del Sud e dell’Est e dall’altra disegna un approccio teso ad accelerare la ricostruzione: partiranno altri 4000 soldati al fine di riuscire ad addestrare entro il 2011 un esercito di 134 mila uomini ed un corpo di polizia con 82 mila agenti, ma ancora più importante è l’esercito di agricoltori, giudici, insegnanti e ingegneri che la Casa Bianca vuole impegnare «in maniera massiccia» per accelerare lo sviluppo civile. Obama dice di voler «investire sul futuro» con scelte tese a convincere gli afghani che la ricostruzione offre maggiori opportunità del sostegno alla guerriglia. In questa cornice i comandi cercheranno il dialogo «con i gruppi disposti a isolare Al Qaeda» in «ogni provincia» ripetendo la strategia applicata con successo dal generale David Petraeus in Iraq.
Il discorso di Obama preannuncia una raffica di mosse diplomatiche: il Segretario di Stato Hillary Clinton sarà lunedì all’Aja per invocare la collaborazione internazionale più vasta, dalla Russia all’Iran; il presidente giovedì sarà al summit della Nato per chiedere non solo più truppe ma anche ingenti fondi per l’imponente programma di ricostruzione civile; l’inviato Richard Holbrooke chiederà a sauditi ed Emirati, finanziatori di Islamabad, di entrare in un nuovo «Gruppo di Contatto sull’Afpak». Paesi alleati, amici, rivali o avversari degli Stati Uniti sono chiamati a dire se sostengono o meno la strategia di Obama.
Le prime reazioni sono arrivate dai taleban che in un comunicato dal Pakistan hanno paragonato le parole del presidente alla «strategia dell’uso della forza che non bastò all’Urss». A rispondergli è stato Bruce Reidel, uomo-intelligence di Obama: «Il Mullah Omar è nervoso, teme le crepe fra i fedelissimi».

Corriere della Sera- Guido Olimpio- " Il doppio gioco di Omar "

Gli insorti non hanno atteso il piano di Barack Obama per formare il loro «quadrato» sul campo di battaglia. Di solito individualisti, con interessi contrastanti, sospettosi l'uno dell'altro, i capi lungo i due lati del confine hanno formato, un mese fa, una santa alleanza.Lo hanno fatto — come sottolineano loro stessi — per «il bene di Dio».
Il leader dei talebani afghani, l'imprendibile Mullah Omar, ha inviato in dicembre e febbraio una delegazione di sei elementi nell'area tribale pachistana per stringere un patto con i miliziani locali.
Un negoziato affidato — come ha rivelato il New York Times —
a un abile oratore e guerriero, il mullah Zakir. Dopo aver combattuto gli americani nel 2001, è stato catturato e spedito a Guantanamo. Di nuovo libero — nel 2007 — è tornato nelle file integraliste. E reso ancora più importante dalla lunga detenzione, si è rivelato un prezioso mediatore che ha portato alla nascita del Consiglio dei Mujaheddin unificati.
È un «cartello» del quale fanno parte, oltre ai talebani afghani, alcune importanti formazioni. Al primo posto i talebani pachistani guidati da Jalaluddin Haqqani e dal figlio Siraj (sulla sua testa c'è da poco una taglia di 5 milioni di dollari). Grandi amici di Osama, si sono dedicati per mesi alle azioni contro le forze pachistane. Quindi ci sono i militanti di Beitullah Mehsud, il capo sospettato di essere coinvolto nell'uccisione di Benazir Bhutto e in una lunga serie di azioni suicide. Al suo fianco i suoi due ex rivali, Maulvi Nizar e Gul Bahadur.
Il terzo lato del «quadrato» è composto da alcuni dirigenti qaedisti piuttosto attivi. Abu Yahya al-Libi, star dei video di propaganda e ideologo del movimento. Abu Kasha al Iraqi che — secondo nostre informazioni — agisce in stretto contatto con i miliziani locali e ha la sua base nel Waziristan del Nord. Pochi giorni fa sarebbe sfuggito a un raid americano. Una di quelle incursioni cerca-e-distruggi che hanno allarmato gli estremisti: si racconta che diffidano di certe bustine di tè perché potrebbero nascondere dei «sensori» che attirano i missili dei Predator statunitensi. La realtà qaedista conterebbe, sul territorio afghano, sugli appoggi di Gulbuddin Hekmatyar, vecchia volpe del conflitto.
Il quarto segmento è più sfumato perché coinvolge elementi dei servizi pachistani. Fonti americane hanno accusato in modo esplicito il Dipartimento S del-l'Isi di aiutare i terroristi. Un link che potrebbe rivelarsi devastante non solo nel teatro di operazioni.
A Washington sospettano che gli 007 «infedeli» possano tentare manovre di destabilizzazione nella regione usando alcune formazioni contigue alla nebulosa qaedista. Come i separatisti del Lashkar-e-Toiba, gli estremisti indiani e quelli uzbeki, segnalati anche in Germania: in quest'ottica la strage di Mumbai e il successivo attacco contro la squadra di cricket dello Sri Lanka a Lahore sarebbero l'inizio di una tendenza. La possibilità di iniziative spettacolari affidate a elementi che si muovono come commandos sono ritenute probabili.
Il Pentagono guarda anche con inquietudine al ripetersi di attacchi kamikaze in Pakistan, una pressione dei terroristi su Islamabad perché non collabori con gli Usa. I numeri dicono tanto: 56 azioni suicide nel 2007, 61 nel 2008, oltre una dozzina nei primi mesi del 2009. In Afghanistan è cresciuto, invece, del 50 per cento l'impiego di ordigni improvvisati: oltre 3600 nel 2008. Quasi due terzi dei 48 soldati uccisi nel primo quarto del 2009 sono da imputare alle micidiali bombe improvvisate (IED).
Accanto a un buon arsenale, gli insorti dispongono di risorse economiche cospicue che sgorgano da due sorgenti. Il traffico di droga e quelli che una fonte di Washington ha indicato come «generosi donatori» del Golfo Persico.
In fuga Il mullah Omar, l'imprendibile leader talebano, già «sodale» di Osama Bin Laden
Per inviarela propria opinione a Stampa e Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti.


lettere@lastampa.it
lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT